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La nonviolenza della fede
Roberto Mancini

La nonviolenza della fede

Umanità del cristianesimo e misericordia di Dio

Prezzo di copertina: Euro 13,50 Prezzo scontato: Euro 12,80
Collana: Giornale di teologia 381
ISBN: 978-88-399-0881-0
Pagine: 200
© 2015

In breve

«In queste pagine vorrei delineare il profilo del cristianesimo – senza intenti apologetici – come una fede che, nella sua espressione fedele, sconfessa ogni complicità con la violenza e, anzi, vede realizzarsi la verità che annuncia ovunque vi sia una fioritura d’umanità. Questa fede lascia trasparire l’umano nel suo pieno valore e, per svariate vie, ne promuove l’inveramento nella storia».

Descrizione

Il cristianesimo vissuto nella nonviolenza e con spirito fraterno dà un contributo insostituibile all’umanesimo oggi necessario. Quando si giunge a credere in modo nonviolento e accogliente, la vita è rinnovata dall’amore. Il cristianesimo e ogni altra fede onesta svolgono tale cammino se sperimentano la conversione all’umanità, scegliendo il bene di ognuno, di tutti e del creato.
Questa conversione è generata dalla misericordia di Dio, la cui natura deve finalmente essere compresa meglio che in passato, secondo l’esortazione profetica di papa Francesco. Finora infatti la misericordia è stata ridotta a un sentimento di pietà femminile per come è giudicato dallo sguardo maschile. In confronto, giustizia retributiva e verità dottrinale sono sembrati valori più alti. Invece la rivelazione biblica indica che la misericordia è l’amore di Dio. Non va “collegata” con la giustizia e la verità, perché sono un’unica cosa: Dio non ha altra giustizia né altra verità che la sua misericordia. Essa non abbandona nessuno: è fedele anche con l’infedele, sconfigge il male, suscita persone e realtà nuove, è forza di risurrezione.

Recensioni

La religione è intrinsecamente incline alla violenza, o è in se stessa pacifica? Se lo chiede il filosofo di Macerata Roberto Mancini nel volume La nonviolenza della fede. Un legame tra religione e violenza c’è sempre stato. In particolare la fede cristiana, in questa stagione storica, come si pone? La radice di ogni violenza, per Mancini, è nel misconoscimento dell’umanità, dell’unica famiglia di popoli, e della dignità di ogni persona. Istituzioni e media vanno spesso sotto la soglia di “sostenibilità antropologica”, cioè di qualità umana, come quando la vita è ridotta al mercato. Le religioni non sono innocenti: non sempre si impegnano a scardinare questo blocco. Ogni fede autentica (non monopolio del cristianesimo) ama l’umanità come la ama Dio.

Seguendo Maurice Bellet, Mancini dice che credere in Dio implica una fede nell’uomo (“La fede in Dio fallisce finché non include in sé la fede nell’umanità”), che fonda concretamente la convivenza ripudiando la violenza e le tendenze distruttive che possono trovarsi nella teologia e nella religione. L’immagine di Dio deve essere purificata e “spostata” dalla religione alla fede nella sua vita di amore e di pace comunicata a rinnovare l’uomo.

Mancini propone la categoria di “filialità” come fondamento della possibile comunione tra gli umani: da qui la scoperta della fraternità e sororità senza esclusioni, al di là delle identità particolari autocentrate e aggressive. L’Autore vede nella misericordia, alternativa radicale alla violenza, l’identità del Padre di Gesù: “Oltre la mente c’è il mistero, ma oltre il mistero c’è la misericordia” (Heschel). Riprendendo da Karl Barth la “umanità di Dio” delinea quella che chiama “umanità del cristianesimo”, nel quale, più che una religione, vede “un cammino di gestazione dell’umanità compiuta”.

Il riferimento all’umano non si coglie facilmente, di là da modelli determinati: l’“umano” è un concetto generativo, una “coscienza anticipante” (Ernst Bloch), un seme da coltivare, una promessa da mantenere. Più che di “natura umana” (o cattiva, nel peccato originale; o positiva, nel mito del progresso), si parla di un nucleo dinamico aperto a sviluppi diversi. Dunque, né pessimismo antropologico giudicante e disperante, né ottimismo superficiale e idealizzante. Su queste strade opposte non si incontra la dignità umana: la si coglie al di là della religione e dell’ateismo, “fratelli nemici”, posizioni conchiuse sul terreno immaginario e proiettivo. Si tratta invece di diventare noi stessi una via di compimento di umanità, disponibili all’esperienza di una fede che unisce. La fede nell’umano ci consente di nascere “fino in fondo”, impresa non privata ed estetica, ma promotrice della nascita di una comunità umanizzata. Ecco, questa fede unisce. Riconoscere la dignità umana comune a tutti è gestazione di una convivenza più giusta e ci eleva a scoprire la profondità divina del nostro essere. È una fede perché va al cuore dell’invisibile, crede nell’umanità anche se molti la tradiscono, crede in Dio non fuori e sopra ma dentro di noi e tra tutti. Si ricorda della comunione tra l’umano e il divino. È fede nella relazione in cui l’amore continuamente generativo trasfigura dall’interno, in libertà, le persone che si aprono; in cui l’apertura indefinita dell’umano è segno di una presenza che chiama e genera.

La fede nell’umano non è un ideale, ma un fermento. Se partecipiamo a un’esperienza di comunione in questa opera critica, possiamo crescere oltre lo scetticismo, quello economico (il capitalismo è insuperabile), quello politico (credulità in un capo, perché noi non possiamo cambiare le cose), quello spirituale (il male è più forte del bene). Se non diventa questa esperienza, la fede è immaginazione. La scoperta dell’umano consente l’intesa tra fedi diverse e il dialogo tra le religioni.

Il cristianesimo umano non perde la sua specificità, anzi, è ritorno a Gesù, anche se “per nessuno è così difficile il ritorno a Gesù quanto per i cristiani”. Ritorno che non è restauro confessionale, ma incontro universale e profondo con tutto l’umano. Gesù non è riducibile a una definizione dottrinale, è un compimento dell’umano che apre la strada al nostro compimento. Mi fa percepire nel fratello ciò che mi permette di uscire dalla violenza. Gesù è “disceso agli inferi”, cioè ha portato umanità viva e piena nella sorgente nera del male mortale, Thànatos, che è dentro di noi, ed è la volontà di potere come dominio sull’altro. Infatti, noi siamo morti quando, pur vivendo, aderiamo alla morte che è il potere omicida. Per questo i cristiani credono che Gesù ha vinto la morte.

La teologia, osserva Mancini, prima che disciplina interna al sistema religioso, è l’attitudine a pensare Dio, radicata nell’apertura umana a un senso dell’esistenza, ed è la ricerca di un interlocutore nel nostro anelito essenziale, quel “tu innato” (Martin Buber) che è in noi, per cui non siamo noi stessi senza l’altro, e un altro sempre ulteriore. La teologia come apertura antropologica è condizionata dalla istituzione religiosa e spesso tende di fatto a legittimarne gli aspetti rigidi, fino a forme violente. La tendenza umana a cercare sicurezza nel potere porta a immaginare Dio come potenza assoluta e la religione come ordine sacrale del mondo, realizzato in una civiltà, un impero, una economia, cioè in una violenza religiosa. Insieme a ciò le tradizioni religiose portano anche veri tratti di profezia e di umanizzazione. Allora Mancini propone di non parlare più di “religione” ma di fede. Egli vede nell’esperienza di Bonhoeffer quella “teologia senza religione che si schiude nei vangeli”, i quali sono “folgorante rivelazione di un’umanità in totale comunione con Dio”, poi travisata nel paradigma occidentale della divisione anziché della comunione universale.

La religione come invidia del potere divino prende il posto di Dio e produce la violenza della divisione gerarchica (sacerdoti, uomini, donne, creature inferiori) e del sacrificio. Mancini ha già scritto con energia su questo tema. “Dove c’è religione c’è sacrificio”, cioè violenza, perciò “dove c’è religione in qualche misura c’è violenza”. Ma il Dio che emerge dalla tradizione biblica ed è rappresentato da Gesù è amore appassionato e liberante, l’opposto di ogni violenza. L’impulso del mondo è negare questo Dio, o uccidendolo in Gesù, o sacralizzandolo nella religione potente e sacrificale. I tratti di questa religione sono la logica sacrificale, il primato dell’ortodossia, l’esclusivismo, il maschilismo, la centralità dell’obbedienza, l’aspirazione al potere politico (conservatore, centrista), l’amnesia storica e sociale, la difesa di princìpi e valori più delle persone. Una teologia della fede dialoga con ogni fede e ogni coscienza, ed è alternativa ad ogni violenza compiuta in nome di Dio.

Nel capitolo sulla filialità, l’Autore discute la dottrina del peccato originale, per la quale siamo dei “pregiudicati”, “non creature nascenti, ma esseri posti sotto il dominio della morte”. Tale critica non sfocia in un umanesimo trionfalista che sopravvaluta le nostre capacità di bene, ma evita tre cadute: il cinismo di molti credenti sul miglioramento della storia; il dualismo tra male dominante e bene rinviato all’aldilà; il disprezzo sacrale dell’umanità. Così si oscura l’idea di essere figli di Dio, nelle diverse identità. Il sentimento di indegnità tarpa lo sviluppo delle coscienze e accresce la dipendenza dal potere.

La filialità evangelica indica in ogni altro un fratello o sorella, mentre la “autonomia” tipica della modernità (che del 1789 ha dimenticato la fraternité) vede in ogni fratello o sorella un “altro”. Ma la mentalità esclusivista ha operato anche nel tracciare il confine tra cristiani e non cristiani, entro l’universale famiglia umana. La globalizzazione, poi, unifica i vertici ma impone profonda divisione nella comunità umana. Eppure, nel Novecento è cresciuta in pensieri ed esperienze la coscienza dell’amore e della pace giusta come nucleo vitale dell’umanità. Filialità non è dipendenza, ma essere amato, desiderato, “atto d’amore”. L’amore diviene adulto nella dedizione.

La fede nonviolenta, il credere in Dio che è misericordia, è la più radicale forza alternativa alla violenza. Più che nella teologia e nella liturgia, l’agire di Dio si rivela nell’agire degli esseri umani convertiti all’amore. La novità del Padre rivelato da Gesù è la fedeltà all’infedele, l’amore per chi non è amabile e non ama. La misericordia è il nucleo propulsivo anche dell’amore politico, che non elude il conflitto, ma è nemico della logica iniqua e non dell’vversario. L’amore per i nemici rinnova totalmente l’idea di politica, in una umanità senza esclusi né barriere.

La teologia della retribuzione e la credenza nell’inferno si fondano sulle minacce e le maledizioni di Gesù, ma non vedono che, anche quando minaccia, egli non porta mai morte e disperazione, come i genitori fedeli all’amore non spezzano mai la relazione col figlio degenere. Il Vangelo esce dalla trappola del giudizio su meriti e colpe: il giudizio è Cristo stesso che, mentre mette in luce le nostre contraddizioni, le abbraccia nell’azione salvifica tenace e definitiva.


In Serenoregis.org 17 marzo 2017

Roberto Mancini, nacido el año 1958, es profesor ordinario de Filosofía Teórica en la Universidad de Macerata (Italia). Su bibliografía es muy extensa en libros y enorme en artículos diversos (228, hasta eI 17 de julio 2016). Los temas que trata están en eI campo de la economía, la política, la ética, la paz, la "crisis" actual de humanidad en sus aspectos económicos y, por último, la religión, la fe y la violencia. El libro que presento se pregunta, en primer lugar, "si la religión es intrínsecamente inclinada a la violencia" o es pacífica (p. 5), porque hoy día la violencia parece tener muchas veces raíces o componentes religiosos. El análisis social describe actualmente una sociedad violenta con migraciones forzosas de masas, un profundo desorden ecológico que destruye las condiciones sobre la tierra, violaciones de los derechos humanos casi en todas partes, falta de relaciones entre las generaciones, el sacrificio de los jóvenes, la total indiferencia hacia las generaciones futuras y la caída de la capacidad de esperanza y de creatividad histórica (p.9 s.). Ante esta situación, "dónde están las religiones en un momento histórico tan peligroso?” (p.9). Mi reflexión, dice el a., tendrá en cuenta el elemento religioso pero "se fjjará en particular sobre la suerte del cristianismo" (p.9.). Como hipótesis de trabajo, el a. opina que "las raíces comunes de todos estos fenómenos de desintegración de la comunidad humana" (p. 10) está en el desconocimiento de la humanidad. Es decir, hay una ignorancia antropológica de la ética sobre "la realidad de la dignidad humana", en especial "como única familia indisoluble" y "un desprecio y agresión al mundo natural" (p. 11). El a. constata "un proceso de desintegración de lo humano" (p. 11), que se potencia con "la burocratización del estado moderno" y la prioridad absoluta "del sistema financiero en la sociedad" (p. 12). Esto crea, además, "la banalización de lo que ofende nuestra dignidad" (p. 13). Ante estas perspectivas, hay que decir que la religión puede tener y ha tenido muchos elementos que favorecen la violencia. Pero "el punto no es si los creyentes aman a Dios, sino si aman como Dios" (p. 14). Finalmente, el a. afirma que parte del presupuesto de que "en razón de nuestro origen, cuyo reconocimiento es fundante por la fe, lo humano es humano-divino. La Ilamada "naturaleza humana" y la misma vida son la relación con Dios" (p. 15). Y por eso Mancini hablará sobre ''humanidad del cristianismo y misericordia de Dios”.

Después de esta introducción (pp.5-20), realmente programática, el libro se desarrolla en cuatro capítulos de profundo contenido ético-filosofico y, también, exegético-teologico. Capítulo I: El humanismo necesario (pp. 21-57): la fe se dirige no sólo a Dios, sino que también implica la fe en lo humano. Capítulo 2: La teología como cultura de la paz (pp.59-99): Hay que pensar en Dios y en las tendencias destructivas en la teología y en la religión (en especial: "De la violencia a la fidelidad, pp.93-97). Capítulo 3: La filiación evangélica (pp.101-141): Desarrolla la visión evangélica de la humanidad a la luz de la categoria de la filiación, que afirma el hecho de que todos somos hijos e hijas de Dios. Capítulo 4: Dios de la misericordia (pp. 143-196): A partir de la identidad del Padre de Jesús se desarrolla el sentido de Dios y la modalidad fundamental de su actuar en su misericordia. Solo la misericordia de Dios es capaz de romper las estructuras violentas de la religión. La misericordia es "una relación transformadora gracias a la cual Dios se hace presente en la historia" (p.20). Es decir, la misericordia siempre transforma y, de este modo, también salva. El sentido de Dios -la fe- incluye siempre la transformación del corazón humano. De aquí nace el fantástico poder humanizador de la fe cristiana, que presupone y fundamenta siempre la libertad humana. El a. profundiza de modo teológico y creativo en esta iluminadora visión de la misericordia de Dios. Libro denso, positivo, muy apto para plantearse reflexiones antropológicas, exegéticas y teológicas que pueden repercutir en nuestro modo de pensar éticamente la economía y la política en el mundo actual, globalizado.


H. Vall, in Actualidad Bibliografica 2/2016, 282

Le riflessioni di Mancini partono dalla constatazione che il senso di Dio resta esterno, irrilevante, nello scenario culturale contemporaneo. Le cause di questo fatto sono molteplici e alla base si riscontra una serie di dualismi non risolti, come ad esempio il contrasto tra ragione e fede, le violenze commesse in nome della religione e il ritorno di fondamentalismi pericolosi per la pace e la convivenza fra i popoli.

Perciò l'autore sottolinea la necessità di riconoscere la dignità della persona umana come fondamento sul quale costruire un'unica famiglia di esseri intelligenti, capaci di pratiche e di comportamenti che siano «sostenibili» dal punto di vista antropologico globale e non solo sotto il profilo economico.

In questo compito di costruzione dell'umano, il cristianesimo e la fede possono svolgere un ruolo efficace e valido solo se si impegnano concretamente per scardinare il sistema insostenibile della società odierna, impostata sul mercato, sulle potenze finanziarie e sulle armi. Ciò significa rinuncia assoluta alla violenza, che è inaccettabile in quanto crimine contro l'umanità e ripugnante davanti agli occhi di Dio. In tal modo si supera il dualismo tra umano e divino, proprio perché nel cristianesimo si professa la fede in Cristo, il Dio fatto uomo.

Dunque anche nell'umano c'è il divino: non sono in opposizione, ma la fede può far maturare in pienezza tutti quei germi di bontà, verità e amore che sono in ogni essere umano. Ciò viene illustrato efficacemente nel primo capitolo (pp. 21 -57), riprendendo la tesi fondamentale di Maurice Bellet, per il quale credere in Dio significa anche fede nell'umano.

Il secondo capitolo (pp. 59-99) si sofferma sulla necessità di liberarsi radicalmente dalla violenza in ogni ambito della convivenza umana, per costruire una comunione fraterna e sororale. Per raggiungere questo obiettivo, la visione evangelica della comune natura di «figli di Dio», rivelatasi in Gesù, fornisce la base per un'antropologia universale delineata nel capitolo terzo (pp. 101-141): in ogni essere umano c'è una scintilla del divino, che va onorata e rispettata.

Questo agire pieno di misericordia viene ampiamente approfondito nel capitolo quarto (pp. 143-196), soprattutto in riferimento alla giustizia e alla verità. A volte si è tentati di apporle alla misericordia, mentre la misericordia realizza pienamente la giustizia: è la giustizia dell'amore ed è la verità profonda che ci salva dal male. La misericordia «non è un correttivo che mitiga l'inesorabile giustizia divina», ma è una caratteristica essenziale dell'amore divino, che diventa anche un criterio e una norma per il nostro agire umano.

È questa l'antropologia dinamica e relazionale che il cristianesimo è chiamato a sviluppare, perché «la misericordia è la luce dell'amore vero: è la verità in atto che attrae a seguirla e a diventare veri» a nostra volta. La misericordia non è giustizia retributiva, ma restitutiva, risanatrice: raddrizza chi è curvato e purifica il peccatore. È una forza di risurrezione che può generare un mondo nuovo, perché il cristianesimo «è un cammino di gestazione dell'umanità compiuta» (p. 20).

Mi sembra che il pregio di questo splendido volume, a cui auguro ampia diffusione, sia ben riassunto in queste parole piene di speranza e di fiducia nella sorte umana, che non è destinata al fallimento, ma alla pienezza di vita.


L. Dal Lago, in CredereOggi 215 (5/2016) 151-153

«A me interessa evidenziare in che modo, anche sul piano teologico, questa fede (quella cristiana) lasci trasparire l’umano nel suo pieno valore e ne promuova l’inveramento nella storia» (p. 15). Queste parole, tratte dall’Introduzione, rivelano fin dall’inizio la questione che sta a cuore all’A. e che costituisce il filo conduttore dei quattro capitoli del presente volume.

L’obiettivo è quello di mostrare come nella fede cristiana, colta nella sua autenticità, l’invito ad amare Dio non possa che corrispondere all’invito ad amare come Dio, impegnandosi a creare una società nella quale la logica del potere e della violenza venga sostituita dalla logica dell’amore misericordioso grazie alla conversione dei rapporti di dominio e di oppressione in rapporti di fraternità e di sororità. In tal modo il cristianesimo, pur senza avanzare nessuna pretesa di monopolio, può offrire il suo «apporto essenziale all’avvento di quel “nuovo umanesimo”» (p. 17), a quella fioritura d’umanità che corrisponde alla volontà salvifica di Dio.

Nel primo capitolo, facendo riferimento alle tesi proposte dal filosofo e teologo francese Maurice Bellet, l’A. invita a spingersi al di là sia della religione che dell’ateismo, «questi due fratelli nemici che si muovono sul terreno immaginario, rappresentativo, proiettivo» (p. 37) e che tendono a dar luogo a un sistema di potere caratterizzato dalla violenza, per «rendersi disponibili all’esperienza di una fede che unisce, quella appunto che sceglie l’umanità» (p. 38). È appunto tale fede, in base alla quale va misurata ogni nostra credenza, che sta al centro dell’annuncio cristiano. Gesú nel vangelo non ha voluto proporre se stesso come l’oggetto di culto di una nuova religione, ma piuttosto ci ha donato, con le sue parole e i suoi gesti, l’indicazione di una «direzione di vita incarnata dalla sua persona» (p. 48) e orientata, mediante l’amore, alla piena realizzazione della vita umana fino alla salvezza universale e definitiva.

Nel secondo capitolo, sulla scia di Maria Zambrano, viene sottolineata con forza la complicità della religione, e della teologia a essa interna, con la violenza, sia in forma diretta che indiretta. Questa nasce quando l’uomo, posto di fronte alla inaccessibilità e alla maestà del sacro e divenuto consapevole della sua indegnità, avverte il bisogno di una mediazione che trova la sua espressione nella forma del sacrificio, di un sacrificio che ha bisogno di vittime. In tale quadro la figura di Gesú, che con la sua vita e la sua morte sostituisce alla logica sacrificale la logica del dono e della fedeltà, rappresenta uno scandalo e una novità radicale che ci permette di recuperare il senso autentico della teologia come attitudine umana a pensare Dio e ci costringe a operare una netta distinzione tra fede e religione.

La novità e l’originalità dell’annuncio di Gesú rispetto alla storia religiosa dell’umanità vengono ribadite pure nel terzo e quarto capitolo. Il vangelo, infatti, riportando gli esseri umani alla loro condizione originaria e rivelandone la dignità in quanto figlie e figli di Dio, «non narra la fondazione di una nuova religione, ma la generazione di una nuova umanità» (p. 111). Dio Padre appare cosí non come colui che, con la sua maestà, annichilisce e opprime le persone, ma colui che le aiuta a raggiungere la loro maturità e ne porta a compimento l’umanità. Un Padre sempre disposto a dare fiducia ai suoi figli, a «restituire vita vera a chi è stato mortificato e speranza ai disperati» (p. 191). La giustizia divina, a sua volta, non è altra cosa da quella prossimità fedele nella quale consiste la sua misericordia, una misericordia che, facendoci fare esperienza di resurrezione, ci dischiude la possibilità di stabilire relazioni misericordiose e rigenerative di vita con gli altri uomini e di risanare situazioni di conflitto e di discordia.

In quest’anno in cui la chiesa cattolica celebra il giubileo della misericordia, anche grazie a questo volume possiamo riscoprire il senso autentico della fede cristiana e le sue conseguenze umanizzanti nell’ambito dell’esistenza personale e della vita della società.


V. Bortolin, in Studia Patavina 63 (2016) 2, 528-529

Un prof. de philosophie à l’Univ. de Macerata (Perugia) nous entretient ici de la non-violence de la foi chrétienne dans un monde sécularisé. Il commence par préciser la qualité d’humanisme nécessaire aujourd’hui: celui de Jésus. Il présente ensuite la théologie comme culture de la paix et développe le caractère filial de la foi évangélique. Il termine son exposé par un message de résurrection et une invitation à vivre la miséricorde divine.

Une bouffée de jeunesse et de fraîcheur vitale émanant d’une foi vivante surgie de l’évangile dans un monde déshumanisé à la recherche de son âme. Un antidote aux pollutions ambiantes à laisser pénétrer doucement dans le cœur.


In Nouvelle Revue Théologique 138 (3/2016) 508

La religione è intrinsecamente incline alla violenza? – si chiede Roberto Mancini. E in questa prospettiva, come si delinea il profilo autentico della religione cristiana?

Per rispondere alla prima domanda occorre distinguere tra religione e fede. La prima ha sempre avuto uno sconcertante legame con la violenza. La seconda, invece, e in particolare la cristiana, no.

La questione della violenza a motivazione religiosa va letta nella giusta prospettiva cioè considerando la radice comune di tutti i fenomeni di disintegrazione della comunità umana che purtroppo caratterizzano il nostro tempo. Tale radice consiste nel misconoscimento dell'umanità, intesa sia come realtà della dignità umana sia come un'unica famiglia indissolubile. L'umanità non vede se stessa: è questo il vizio d'origine sotteso a tutti i fenomeni distruttivi, compresa l'aggressione e la distruzione del mondo naturale. Prevale il contagio dell'incoscienza, sulla cui base sono costruite forme organizzative e logiche istituzionali ostili all'umanità e al creato. Molte istituzioni religiose, politiche, economiche, giuridiche, anziché preservare la vita umana, invece di servire la società, si specializzano in chiave puramente autoreferenziale, superando il limite della sostenibilità antropologica. I processi di disintegrazione dell'umano hanno luogo nell'ambiente sociale e in quello mentale, negli stili di vita e nei comportamenti, e nei grandi sistemi organizzativi della società.

In tale contesto le religioni del mondo sono a un bivio: o alimentano questo sistema insostenibile (sarebbe il loro peggio), o danno il loro apporto per scardinarlo.

L'autore, partendo da queste considerazioni, delinea il profilo del cristianesimo come di una fede che, nella sua espressione coerente, sconfessa ogni complicità con la violenza e vede realizzarsi la verità che annuncia ovunque vi sia una fioritura di umanità.

Egli non intende, tuttavia, rendere esclusive le caratteristiche del cristianesimo ma comprenderle nell' apertura «comunionale» alle altre fedi e verso chiunque. Parla dunque di umanità del cristianesimo senza intenderla in un regime di monopolio.

Il rifiuto di ogni violenza è direttamente proporzionale all'apertura all'umano. Tale apertura è alla base del cristianesimo, che si fonda sull'incarnazione di Dio e, quindi, sulla «divinizzazione» dell 'umano. Per questo la fede cristiana ha natura pienamente nonviolenta e radicalmente umana, è una fede che spezza la spirale della violenza con la forza dell'amore misericordioso. Nel volume s'intende, naturalmente, parlare della fede, liberando il cristianesimo da tutti gli equivoci che l'hanno configurato come religione o, più ampiamente, come civiltà cristiana o cristianità. È un compito non semplice, perché è difficile orientarsi sulla differenza tra ciò che è cristiano e ciò che non lo è. Tuttavia un criterio esiste, e va cercato in una costellazione di elementi che riguardano la persona di Gesù, la Sua umanità, la qualità misericordiosa e nonviolenta dell'amore del Padre che egli ha testimoniato, lo statuto trinitario della verità di tale amore.

Il cristianesimo, in questa prospettiva, è inteso come relazione fedele con il «Padre materno» di Gesù: per questo non c'è coincidenza tra esso e la cristianità divenuta nei secoli sinonimo della civiltà europea e occidentale.

Impostata così la riflessione, risulta chiaro che credere in Dio non può tradursi in un credere solo in Dio, perché deve anche implicare la fede nell'umano. Il che non significa cadere in un generico umanesimo, ma tornare a Gesù come in ogni tempo devono fare i cristiani. Il cristianesimo che «torna a Gesù» costituisce un apporto essenziale all'avvento di quel «nuovo umanesimo» che oggi viene auspicato più che compreso: un «nuovo umanesimo» che intende essere «vero» perché proteso a maturare la comunione con le altre fedi, come pure con gli ateismi leali verso la dignità umana.

La comunione fraterna e sororale aumenta quando, e nella misura in cui, la violenza arretra e questo diventa possibile proprio seguendo Gesù e, quindi, purificando l'immagine di Dio per potersi sciogliere nell'esperienza del suo amore. Non si arriva a tale immagine perché lo si vuole o lo si progetta e ci si sforza di raggiungerla: a un certo punto ci si trova nel suo amore, in fondo senza nemmeno sapere come si è arrivati sin lì, e grazie a questo evento siamo accolti in una vita nuova. La fede in Dio e la violenza appariranno in tal modo radicalmente diverse. Infatti l'identità del Padre di Gesù si manifesta fondamentalmente nel suo agire nella misericordia, quindi in modo totalmente alternativo alla violenza. La fede nonviolenta vive di questa qualità decisiva dell'amore vero.

La «paternità materna» del Dio di Gesù, si apre poi alla possibilità di comprendere la categoria di «filialità» di cui i racconti evangelici mettono in luce il valore antropologico universale. Proseguendo in questa direzione, l'autore mette in luce l"'umanità del cristianesimo", che consiste sia nella sua naturale rispondenza a ciò che è universalmente proprio dell'umano, sia nella sua vocazione al bene comune.

Il cristianesimo che viene delineato nella riflessione di Mancini è, in definitiva, più che una religione, un cammino di gestazione dell'umanità compiuta.

La misericordia ne è il criterio e il fondamento. Essa è l'''amore estremo" che sa rispondere anche al fallimento radicale, quando la comunione è spezzata, gli esseri umani sono perduti completamente e il male ha sprigionato tutta la sua potenza. L'amore misericordioso è un abisso rispetto a tutti i nostri criteri e limiti d'intelligenza. È il vero punto d'inizio dell'altra vita. È la porta stretta del vangelo.

Diventando amore per i nemici, l'amore misericordioso assume un valore radicalmente "politico" dove la politica ha il significato di «cura del bene comune» che s'impegna a riscattare innanzitutto l'esistenza di chi è impoverito ed emarginato. Tale amore coincide con la forza di dare il perdono ed è giusto perché, oltre a perdonare, ispira scelte e comportamenti di riscatto degli oppressi.

La caratteristica strutturale dell'azione della misericordia, spesso misconosciuta, si rivela quindi come la capacità di generare un mondo nuovo: un ordine di convivenza dove nessuno sia costretto a vergognarsi della propria condizione di vita.

Anche la Chiesa che vuole essere fedele è una Chiesa della misericordia. In essa impariamo che solo l'amore rivelato da Gesù resta ed è eterno e che, quindi, l'umanità è il senso di Dio e il creato è al centro del suo desiderio.


P. Bertezzolo, in Note Mazziane 2/2016, 44-45

Il cristianesimo vissuto nella nonviolenza e con spirito fraterno dà un contributo insostituibile all'umanesimo oggi necessario. Quando si giunge a credere in modo nonviolento e accogliente, la vita è rinnovata dall'amore. ll cristianesimo, e ogni altra fede onesta, svolgono tale cammino se sperimentano la conversione all'umanità, scegliendo il bene di ognuno, di tutti e del creato. Questa conversione è generata dalla misericordia di Dio, la cui natura deve finalmente essere compresa meglio che in passato, secondo l'esortazione profetica di papa Francesco. Finora, infatti, la misericordia è stata ridotta a un sentimento di pietà femminile per come è giudicato dallo sguardo maschile. In confronto, giustizia retributiva e verità dottrinale sono sembrati valori più alti. Invece la rivelazione biblica indica che la misericordia è l'amore di Dio. Non va "collegata" con la giustizia e la verità, perché esse sono un'unica cosa: Dio non ha altra giustizia né altra verità che la sua misericordia. Passo dopo passo, nel libro si chiariscono i termini di questa visione evangelica, ancora oggi sconcertante per molti cristiani.


L. Cabbia, in Rogate Ergo 11/2015

Il rapporto fra religione e violenza è rintracciabile spesso nella storia e l’a. individua nelle teocrazie e nelle religioni civili, che si sono incarnate in tanti momenti di tutti i popoli, la causa dell’intolleranza e delle guerre. Mancini però, con stile rigoroso ma lineare, non si sofferma su questa constatazione e percorre una lettura del Vangelo che riesce a disinnescare questo mostro storico rappresentato dal binomio Dio-forza. Il Gesù di Nazaret non ha mai detto: «Credetemi», il che avrebbe significato l’istituzione di una sua religione con un suo culto particolare, ma ha invitato i suoi discepoli ad amare come lui li ha amati. Questo significa rompere i processi di inclusione e di esclusione che sono alla base della violenza.


In Il Regno 9/2015

Quanto è stretto il nodo tra violenza e religione? Il ritorno prepotente del religioso sulla scena contemporanea ha prodotto anche una nuova, feroce, parossistica, insorgenza della violenza politica? Questa è radicalmente “altra” oppure, in qualche modo, interna alla sfera del sacro? O, come si chiede sinteticamente il filosofo Roberto Mancini, «la religione è intrinsecamente incline alla violenza. O al contrario è in se stessa pacifica e priva di legame con i gruppi dei fanatici Violenti?». Un dilemma dal quale si può uscire (è la via suggerita da Mancini in questo volume) solo attraverso una vertiginosa operazione di ricerca: quella che consente di arrivare a scorgere il volto di Dio. «Il punto - scrive il filosofo - non è se i credenti amano Dio, ma se amano come Dio. Questo però richiede che abbiano compreso la qualità e il senso del suo amore. Finché la violenza, interpretata come sovranità e giustizia dell'Assoluto, viene immaginata come già presente in lui, allora la natura di una religione tende a coincidere col settarismo, il fanatismo, lo spirito di persecuzione». Ma qual è il volto di Dio, così come esso è custodito dal cristianesimo? Come arrivare a specchiarsi «nel senso di Dio» e nella «modalità fondamentale del suo agire»? Ebbene, annota l'autore, «quei frammenti di luce che possiamo cogliere rispetto al modo di essere di Dio non si trovano nel sovrannaturale, oltre la nostra condizione, ma nella profondità ontologica del creaturale, lì dove gli individui diventano veramente persone e cominciano a trattarsi da fratelli e sorelle». Mancini coglie un nesso genetico tra la misericordia, «qualità fondamentale e distintiva dell'amore di Dio», e la giustizia, che assieme si confondono e si intrecciano nel volto di Dio. Come ha scritto Paolo De Benedetti, il senso dell'agire di Dio è tutto raccolto in un attributo di Jhwh: è la misericordia che la Bibbia ebraica «esprime con parole e immagini di amore paterno, materno, sponsale, e, in modo tutto particolare, con i vocaboli derivati dalla radice r.ch.m. che sta per "grembo materno”, "visceri", e quindi "misericordia”. Come testimonia il Salmo 136, «il movente, ora palese ora occulto, dell'operare divino è chen, chesed, rachamim: grazia, pietà, misericordia». Scrive allora Mancini: «L’atteggiamento misericordioso rappresenta il criterio dirimente e distintivo della stessa identità di Dio, di questo padre che ama con viscere di madre. Infatti se "Dio è amore" (l Gv 4,8), la misericordia ne esprime la qualità fondamentale e l’orientamento specifico». Ma, avverte il filosofo, si è spesso misconosciuto «il valore radicalmente politico della misericordia», che disarma l’odio e capovolge il conflitto nell'invito, rivoluzionario, ad amare il proprio nemico. Esso si esprime nel perdono, al quale Hannah Arendt riconosceva la custodia della libertà dell'uomo («Solo attraverso questa costante mutua liberazione da ciò che fanno, gli uomini possono rimanere agenti liberi»). Il perdono allora, conclude Mancini, «attua un processo salvifico».


L. Miele, in Avvenire del 6 novembre 2015

«La misericordia è l'amore di Dio, tutt'uno con giustizia e verità. L'essenza del cristianesimo è la nonviolenza, che svela e si dirige verso l'umanità di ognuno. “La fede lascia trasparire l'umano nel suo pieno valore e, per svariate vie, ne promuove l'inveramento nella storia”. Questo non significa che il cristianesimo sia l'unica religione - nota l'autore - ma che la sua essenza sia proprio quella di essere aperta a ogni altro culto, in ascolto e in cammino, nella “gestazione dell'umanità compiuta”».


In Jesus 10/2015