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Teologia della speranza
Jürgen Moltmann

Teologia della speranza

Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana

Prezzo di copertina: Euro 32,00 Prezzo scontato: Euro 30,40
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Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 6
ISBN: 978-88-399-0306-8
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 392
Titolo originale: Theologie der Hoffnung. Untersuchungen zur Begründung und zur den Konsequenzen einer christlichen Eschatologie
© 1970, 20179

In breve

La Teologia della speranza offre una miniera di informazioni e di critiche: di ogni questione dibattuta l'Autore presenta un'ampia rassegna storica e, attraverso una analisi critica delle posizioni dei teologi che l'hanno preceduto, egli apre un varco alla teologia della speranza.

Descrizione

Nel momento in cui si rendevano palesi le crepe e la crisi del mondo borghese dell'epoca moderna e si facevano avanti nuove idee rivoluzionarie, veniva riscoperta anche l'escatologia biblica. È stata l'opera di uomini come A. Schweitzer, J. Weiss e F. Overbeck. Ma ci volle del tempo prima che le nuove impostazioni esegetiche e storiche potessero affermarsi in teologia sistematica. Nei grandi progetti di Barth e Bultmann, ma anche di Rahner e di Balthasar, l'escatologia biblica è ancora irretita in categorie astoriche. Solo la teologia più recente ha operato il tentativo di affrontare di petto la struttura-di-speranza della fede cristiana.
Il documento più significativo di questa svolta della teologia contemporanea – svolta che le imprime un orientamento 'politico' – è Teologia della speranza di Jürgen Moltmann. Il recupero della dimensione escatologica e della struttura-di-speranza della fede cristiana avviene in costante dialogo con i grandi filosofi e tologi dell'epoca moderna e contemporanea: Hegel, Marx, Bloch, Barth, Bultmann, Pannenberg.

Commento

«Il libro di Moltmann rappresenta la conquista di una posizione avanzata, attestata in un continente inesplorato e quasi inaccessibile, e il segno di una nuova problematica che va delineandosi e va investendo tutto l'impianto della teologia» (Ernst Käsermann).

Recensioni

Eschaton, ultimo in greco. Da cui l'escatologia cristiana, «dottrina delle cose ultime». In pieno Concilio Vaticano II, nel 1964, il protestante Jürgen Moltmann dedicò alla questione un libro che avrebbe cambiato la teologia. Nelle prime pagine l’allora trentottenne ricordava come «queste cose ultime» fossero gli «eventi che alla fine del tempo avrebbero investito il mondo, la storia, gli uomini; includevano il ritorno di Cristo in gloria, il giudizio universale e l'avvento del Regno, la risurrezione dei morti e la nuova creazione di tutte le cose».

Il teologo tedesco criticava l'interpretazione consolidata che relegava tutto ciò fuori dalla storia e confinava gli studi sulle cose ultime negli «sterili capitoli finali della dogmatica cristiana», in un'«appendice disorganica divenuta apocrifa e Irrilevante». Spiegava che quanto più il cristianesimo aveva sostituito «la religione diStato romana sostenendone inflessibilmente le esigenze», tanto più «l’escatologia e gli effetti mobilitanti, rivoluzionari e critici che essa esercita sulla storia che dobbiamo vivere nel presente, venivano abbandonati alle sette entusiastiche e ai gruppi rivoluzionari». La critica di Moltmann poneva qui la questione della speranza: «La fede cristiana eliminava dalla propria vita quella speranza futura che ne costruisce il nerbo e trasferiva il futuro in un aldilà o nell'eternità». La speranza, concludeva l'autore, «emigrava fuori dalla Chiesa».

Moltmann proponeva ora di rimettere al centro l'escatologia e dunque la speranza.

«L'escatologia», scriveva, «è la dottrina della speranza cristiana, che abbraccia tanto la cosa sperata quanto l'atto dello sperare che questa suscita». DI qui il rovesciamento di prospettiva che avrebbe scosso generazioni di cristiani: «Il cristianesimo è escatologia dal principio alla fine, e non soltanto in appendice: è speranza, è orientamento e movimento in avanti e perciò è anche rivoluzionamento e trasformazione del presente».

Sono passati sessant'anni da Theologie der Hoffnung, la Teologia della speranza. Sintesi delle esigenze di un'epoca, il volume poneva le basi per la public theology dei decenni successivi. Alla speranza di Moltmann avrebbero guardato generazioni di cristiani sensibili ai drammi del mondo e più In particolare lateologia della liberazione e la teologia black, la teologia femminista e più di recente la teologia queer. Ne risultava sfidato anzitutto il mondo protestante, cui apparteneva lo stesso Moltmann, alle prese con l’individualismo cui può condurre la dottrina della predestinazione. I teologi che oggi, da quel mondo, propongono una riflessione sulla speranza per la nostra società riconoscono il debito verso l'opera di Moltmann e le sue successive attraverso le quali l'autore ha sviluppato e precisato il suo pensiero.

Risto Saarinen, sessantaquattrenne teologo dell'università di Helsinki, conferma a «La Lettura» l'importanza del passaggio da una speranza «individualistica e ultramondana» a una speranza che si fa etica. Saarinen racconta di essere rimasto sorpreso per il successo di pubblico del suo saggio del 2020 Sulla speranza (Oppi toivosta, pubblicato da Gaudeamus, non tradotto). Nella sua Germania, prima descrizione degli abitanti dell'odierna Finlandia, Tacito ha descritto le genti dell'ultima Thule come prive di paura e di speranza. Saarinen spiega di esser partito da lì per un approccio alla speranza che si ispira a Immamuel Kant: «Ciò che posso sperare, dipende dalla mia conoscenza e dalla mia moralità».

Steven van den Heuvel, trentottenne olandese dell'Evangelische Theologische Faculteit di Lovanio, nel Belgio fiammingo, usa l'aggettivo «trasformativa» per definire la speranza di Moltmann. Sollecitato da «La Lettura», il teologo curatore di Historical and Multidisciplinary Perspectives of Hope (Springer, 2020) vede in quell'«innovazione teologica» in parte il riconoscimento della domanda del nostro tempo, cui aveva già dato voce tra il 1954 e il 1959 l'opera Il principio speranza del filosofo marxista Ernst Bloch, e in parte la risposta di una teologia capace di parlare a un uomo contemporaneo non necessariamente religioso. Il «Progetto speranza» (The Hope Project) cui lavora van den Heuvel mette insieme teologi, psicologi, filosofi e anche economisti. Il progetto include l'esperimento del «barometro della speranza» che misura online il tasso di speranza di un individuo. Van den Heuvel sta chiudendo l'Oxford Compendium of Hope, opera di più di mille pagine in uscita entro fine anno, curata insieme ad Anthony Scioli, psicologo del Keene State College del New Hampshire e autore con Henry Biller di Hope in the Age of Anxiety (Oxford University Press, 2009). A Moltmann, precisa van den Heuvel, si ricollega una distinzione essenziale per chi lavora sulla speranza a cavallo dei saperi: vi è da un lato l'ottimismo che è deterministico, passivo e non comporta un margine di intervento per la persona; e vi è dall'altro lato la speranza che è attiva perché «invita la persona ad agire».

Entrambi protestanti, il finlandese Saarinen e l'olandese van den Heuvel hanno un rapporto privilegiato con il lavoro di Moltmann; ma il teologo tedesco ha avuto un potente impatto anche sul mondo cattolico. Rosino Gibellini, storico direttore letterario della casa editrice Queriniana, ha ricordato in merito all'uscita del libro nell'ottobre del 1964 di «averlo intercettato alla sua uscita alla Buchmesse di Francoforte di quell'anno, pubblicato dal Christian Kaiser Verlag di Monaco di Baviera, l'editore di Dietrich Bonhoeffer». Il libro, ha scritto Gibellini, «mi fu presentato dal direttore della casa editrice Fritz Bissinger. L'opera sarà pubblicata in traduzione Italiana, condotta sulla terza edizione tedesca (1965), aumentata di una importante Appendice, e inserita nella «Biblioteca di teologia contemporanea», nel 1970, in una puntuale traduzione del teologo valdese Aldo Comba».

L'influenza della speranza di Moltmann sul mondo cattolico appartiene alla storia delle tensioni di questi decenni. Si teme da un lato che collocata la speranza cristiana nella storia, nell'orizzonte dell'agire umano, venga meno il senso della Provvidenza, forse anche il senso di Dio stesso. Dall’altro lato, si teme invece che, tagliati i ponti con la svolta teologica degli anni Sessanta, demonizzata da tanto cattolicesimo successivo, le nuove generazioni non abbiano più risorse teologiche e siano così condannate al nazionalismo religioso identitario, all'intimismo spirituale o a speranze effimere orfane di Dio.

Il 20 aprile 2014, a cinquant'anni dalla pubblicazione del libro di Moltmann, monsignor Gianfranco Ravasi ricordava il nucleo del pensiero del teologo tedesco: «Nella risurrezione di Cristo sono gettate le basi del futuro dell'umanità», scriveva il cardinale, «ma per impedire che la speranza evapori in utopia o in un vago ideale, è necessario radicarsi alla realtà storica della morte e risurrezione di Gesù, Figlio di Dio». Sette anni prima, Benedetto XVI aveva dedicato al tema l'enciclica Spe salvi, densa di consapevolezza del dibattito tedesco, da Bloch a Moltmann e oltre: «La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti», scriveva Joseph Ratzinger: «Essa ci dà già ora qualcosa della realtà attesa».

Non è un caso se nel 2022 Papa Francesco ha scelto il motto Pellegrini di speranza per un Giubileo del 2025 votato a «recuperare il senso di fraternità universale». Oggi novantasettenne, Jürgen Moltmann continua a sfidare i cristiani con la sua speranza: «Orientamento e movimento in avanti e perciò anche rivoluzionamento e trasformazione del presente».


M. Ventura, in La Lettura 24 marzo 2024, 7

«Nella domenica di Pasqua vorremmo evocare un particolare anniversario: cinquant’anni fa, nel 1964, veniva pubblicata per la prima volta l’opera di un teologo evangelico tedesco, Jürgen Moltmann, 88 anni, emerito della prestigiosa università di Tubinga, uno dei teologi più letti del nostro tempo. Quel saggio s’intitolava Teologia della speranza e il sottotitolo specificava Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana. […] Moltmann, esaltando il primato della speranza cristiana, proiettava lo sguardo del cristiano oltre l’orizzonte del concreto nel quale sono impantanati i nostri piedi: “Nella vita cristiana, la priorità appartiene alla fede, ma il primato alla speranza”. Tra parentesi ricordiamo che l’opera fu tradotta nel 1970 in italiano e vinse subito il Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba. Era evidente che il teologo tedesco dialogava con il suo connazionale filosofo marxista Ernst Bloch che pochi anni prima (1954-1959) aveva elaborato i tre tomi del suo Principio speranza. Ora, quella dell’Israele biblico – a cui peraltro, Bloch apparteneva almeno per matrice etnico-culturale – è agli occhi di Moltmann una religione della promessa, dell’attesa, non della presenza definitiva divina, tant’è vero che l’anima di quella fede è il messianismo, visto come meta futura. Il vangelo non è tanto il pieno adempimento di quelle promesse, quanto piuttosto la loro convalida che Cristo suggella efficacemente protendendoci però verso un ulteriore necessario compimento, l’escatologia appunto. Alla domanda della Critica della ragion pura di Kant, “Che cosa posso sperare?”, la risposta cristiana è nell’evento storico della risurrezione di Cristo: essa fa intuire in modo esplicito quale sarà il futuro definitivo dell’umanità, che non sarà una dissoluzione nel nulla ma una nuova vita, una risurrezione. In sintesi potremmo dire che la cosiddetta “cristologia escatologica” di Moltmann proclama questo asserto: nella risurrezione di Cristo sono gettate le basi del futuro dell’umanità. Ma per impedire che la speranza evapori in utopia o in un vago ideale, è necessario radicarsi alla realtà storica della morte e risurrezione di Gesù, Figlio di Dio».



G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore del 20 aprile 2014