28/02/2014
276. CIÒ CHE RIMANE DI RATZINGER di Peter Hünermann (Facoltà cattolica di Teologia, Tubinga - Germania)
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Hunermann

Un anno fa si concludeva il pontificato di papa Benedetto XVI. Il teologo Peter Hünermann vede nell’intervista in Joseph Ratzinger un mediatore tra tradizione e riforma. Egli ha fatto storia soprattutto con il suo ritiro.



- Professor Hünermann, dal momento che ora Benedetto XVI ha lasciato il suo ministero, possono la sua persona e la sua azione ritornare più fortemente alla ribalta?   Che cosa rimane di Joseph Ratzinger?

HÜNERMANN: Joseph Ratzinger svolge un ruolo molto importante nei processi di riforma della chiesa cattolica del secolo XX e nella comprensione del concilio Vaticano II. Nella serie dei papi egli è l’ultimo che ha partecipato al concilio. E’ significativo che l’ultimo atto del suo ministero, prima del ritiro, sia consistito nel presentare ancora una volta al clero romano il concilio dal suo punto di vista di testimone di quel tempo.



- Che cosa c’è di singolare in questo?

HÜNERMANN: Una concezione additiva del concilio, che potrebbe conciliare due aspetti: il vecchio e il nuovo, tradizione e riforma. Come i suoi predecessori nel ministero papale, Joseph Ratzinger ha compreso il concilio come un evento che ha segnato un passaggio. Ciò dipende strettamente dalla sua biografia: egli è cresciuto nella vecchia epoca, con la vecchia teologia precedente il concilio. E ha voluto assumere e tenere insieme le due anche in una nuova epoca. Il cambiamento epocale vero e proprio, però, che il concilio segna, egli l’ha perciò compiuto solo con una certa difficoltà – sia nella sua teologia, realmente intelligente, come anche nell’esercizio del suo ministero.




- Allora la sua grandezza sta nello stare in equilibrio tra le due realtà?

HÜNERMANN: Sì, ma non intenda ciò solamente come una esteriorità. Qui sono in discussione questioni del tutto essenziali, questioni di fede e di comprensione della chiesa. Io credo che Benedetto XVI ha visto chiaramente questa responsabilità.



Ratzinger/Congar/Rahner- Come si concilia lo sforzo per questa capacità della chiesa “di tenere insieme”, come lei la chiama, con il proverbiale rigore di Ratzinger nel tempo in cui fu Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede?

HÜNERMANN: Lì si manifestava esattamente questa coscienza di essere responsabile per la conservazione della tradizione. La nuova formulazione dell’autocomprensione ecclesiale, che si esprime nel concilio, non fu subito patrimonio dei teologi e della prassi dei vescovi. Una parte si poneva con stupore di fronte a questo “evento mondiale”, come Karl Rahner ha chiamato il concilio, perché la chiesa integrava per la prima volta il mondo nella riflessione su se stessa. L’altra parte continuava a viaggiare – come al solito – sui vecchi binari. E in Josepf Ratzinger Lei trova entrambi le posizioni.



- Da che cosa lo si può vedere?

HÜNERMANN: Ad esempio, dal suo sforzo incessante e in definitiva vano di reintegrare la Fraternità San Pio X nella chiesa cattolica. Io ho avuto l’impressione che egli non abbia semplicemente saputo comprendere perché questa gente non ha assolutamente voluto ritornare. Appunto perché essa– all’opposto di Ratzinger – era attaccata al vecchio binario, e anzi non voleva neppure azionare l’uno o l’altro scambio.




- Fu egli, come papa, l’uomo giusto al momento giusto?

HÜNERMANN: Sì, questo lo affermerei. Nonostante tutti i limiti personali e di carattere, le sue decisioni essenziali furono delle pietre miliari per la chiesa nel suo cammino in questo tempo.



- Che cosa risalta qui per lo più?

HÜNERMANN: Il fatto di ritirarsi, chiarissimamente il ritiro. Confronti questo gesto con la fase finale del pontificato di Giovanni Paolo II, il quale ha compreso la sua malattia, fino a rimanere pubblicamente senza parola il giorno di Pasqua del 2005, come personale testimonianza di fede da dare nel suo ministero. A ciò Benedetto XVI ha opposto una comprensione del ministero essenzialmente diversa, quando disse: Io non sono più nelle condizioni di prestare il servizio a me affidato. Questa è una nuova definizione, pragmatica nel senso migliore del termine, del ministero di papa, senza che la teologia del ministero ne fosse toccata.



- Questo non è forse in singolare contraddizione con lo stile marcatamente sacro, rituale, con cui Benedetto XVI si è presentato come papa?

HÜNERMANN: Già. E’ vero, egli è stato propriamente del tutto caratterizzato da un concetto sacro e monarchico di chiesa, di ministero ordinato e di papato. Tanto più sorprendente, per il fatto che egli alla fine si è liberato di questa zavorra, vecchia di 1000 anni, in modo più radicale di tutti i suoi predecessori. Rifletta: Giovanni XXIII nel 1958 e Paolo VI cinque anni più tardi si sono lasciati ancora incoronare con la tiara, la triplice corona papale. E sia Paolo VI e poi anche Giovanni Paolo II, nonostante il venir meno delle forze personali, si sono attenuti strettamente al loro ministero – semplicemente perché essi credevano di non doverlo lasciare per motivi teologici.



- La rinuncia fu dunque una forma di rivoluzione benedettina dall’alto?

HÜNERMANN: Perlomeno un passo in avanti del tutto essenziale, che ora apre anche nuove prospettive. Nel pontificato di papa Francesco ciò è chiaramente visibile, già dopo un solo anno.



- Da che cosa è visibile, per esempio?

HÜNERMANN: Ad esempio, dalla sua convocazione di questo gruppo di consulenti, fatto di otto cardinali provenienti da tutti i continenti. O dalla sua valorizzazione del sinodo dei vescovi. Il segnale è, tutte due le volte, lo stesso: Francesco vuole compiere il suo servizio di governo in forma collegiale. Egli ridefinisce il primato del papa del concilio Vaticano I in modo istituzionale, e precisamente così come lo ha voluto il concilio Vaticano II.



- Vale a dire?

HÜNERMANN: Il papa è e rimane il primo, ma egli intende essere un primo “inter pares”, perché uno da solo e isolato non può affatto guidare la chiesa.




- E anche non vuole prendere nessuna decisione da solo?

HÜNERMANN: Esatto. Ci si deve ricordare che Paolo VI, che di sicuro è stato realmente un uomo della riforma, ha ancora sottratto al concilio la questione della contraccezione o anche quella dell’obbligo del celibato con la motivazione che problemi così delicati non potevano essere decisi in concilio. Francesco va esattamente per la strada opposta e fa in modo che il problema certamente maggiore irrisolto della chiesa dopo il concilio – ossia la morale sessuale – venga chiarito sinodalmente. Questo è un cambiamento di paradigma profondamente appassionante, reso possibile solo dopo Benedetto XVI. Ma Benedetto XVI ha, in certo qual modo, gettato un ponte sul quale ora cammina Francesco.



- Come vedranno i cattolici Benedetto XVI, fra cento anni?

HÜNERMANN: Come l’ultimo teologo importante del secondo millennio sulla cattedra di Pietro e come l’ultimo papa di un’epoca della storia della chiesa che sta finendo.





© Berliner Zeitung (10.02.2014)
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Traduzione dal tedesco di GIANNI FRANCESCONI
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