06/12/2005
61. I mulini di Dio macinano lentamente A 40 anni dalla conclusione del concilio Vaticano II e dalla fondazione della rivista di Rosino Gibellini
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Nella vasta letteratura teologica del XX secolo vorrei indicare una annotazione del teologo francese Yves Congar, che si legge nella prefazione alla seconda edizione del 1968 di una sua opera, sospetta quando fu pubblicata nel novembre del 1950, Vera e falsa riforma nella Chiesa. Scriveva Congar nell’immediato post-concilio: «Giovanni XXIII, in meno di qualche settimana, e in seguito il concilio, hanno creato un clima ecclesiale nuovo. L’apertura maggiore è venuta dall’alto. Come d’improvviso forze di rinnovamento, che stentavano a manifestarsi apertamente, potevano svilupparsi». È stata questa infusione di fiducia nel corpo ecclesiale e nella comunità teologica internazionale, che ha permesso alla chiesa cattolica di affrontare l’impresa del concilio.

Nei suoi 16 documenti il concilio (1962-1965), guidato da Giovanni XXIII e da Paolo VI, ha operato una svolta dottrinale e pastorale, da una chiesa che si autodefiniva con i termini giuridico-sociali di società gerarchicamente strutturata, ad una chiesa che, più biblicamente, si autocomprende come popolo di Dio e come comunione. Per l’ecclesiologia di comunione ogni membro è discepolo del Cristo, soggetto davanti a Dio, testimone del vangelo. Il concilio della chiesa sulla chiesa ha finito, come nota uno storico francese, per «relativizzare» la chiesa, nel senso di porla più strettamente in relazione con la sua origine, che è la Parola di Dio, e con la sua missione di evangelizzazione e di solidarietà con «le gioie e le speranze, i lutti e le angosce» dell’umanità. Ne è uscita una chiesa, più evangelica, più dialogica e più solidale.

Vorrei qui ricordare il grande discorso di Yves Congar, tenuto a Strasburgo (la città che lo aveva accolto negli anni dell’esilio) in occasione del 20° anniversario dell’indizione del concilio, il 23 gennaio 1979, in cui affermava che il Vaticano II aveva operato «una sorta di decentramento dell’Urbs sull’Orbis, della Città sul Mondo, per il fatto che l’Orbis prendeva possesso dell’Urbs». Non si è trattato, come si affermava polemicamente in un libro degli Anni Settanta, del fatto che il Reno si è gettato nel Tevere, quanto del fatto che la chiesa ha preso atto più profondamente della sua cattolicità e universalità.

In un libro puntuale di memorie e di analisi il teologo tedesco-canadese Gregory Baum, in Amazing Church. A Catholic Theologian Remembers a Half-Century of Change (Toronto – New York 2005) [Chiesa sorprendente. Un teologo cattolico ricorda mezzo secolo di cambiamenti] ricostruisce il cambiamento intervenuto nella chiesa cattolica, a livello di documenti ufficiali del magistero post-conciliare, nei confronti del mondo secolare, del mondo della povertà, del mondo cristiano, dell’ebraismo e delle religioni mondiali, che hanno portato all’emergenza di «una nuova forma di cattolicesimo» (p. 138), che definisce con espressiva formulazione francese, Le catholicisme solidaire. È una espressione intraducibile in inglese, dove vige la distinzione e la contrapposizione di conservatore e liberal, ma che invece è ben traducibile in lingua italiana: il cattolicesimo solidale. Per questo Gregory Baum (già perito conciliare, membro del comitato scientifico della rivista internazionale di teologia Concilium, e consigliere dell’episcopato canadese) si mostra ottimista anche nei confronti del futuro per le riforme attese, quali un decentramento nell’esercizio dell’autorità nella chiesa, l’equiparazione tra uomo e donna anche nella chiesa, e la revisione della dottrina circa la sessualità.

Dal fervore teologico del concilio nasceva anche la rivista internazionale di teologia Concilium, come forum internazionale di riflessione teologica al servizio della prassi nella chiesa e nella società. Ideata al termine della seconda sessione (1962) del concilio Vaticano II da un gruppo di teologi: Karl Rahner, Yves Congar, Edward Schillebeeckx, Hans Küng e Johann-Baptist Metz, iniziava le sue pubblicazioni, in sette lingue, nel gennaio 1965, e così celebra quest’anno il suo 40° di fondazione.

Nel primo editoriale di presentazione della rivista (1965), firmato da K. Rahner e E. Schillebeeckx, si dava questa giustificazione della fondazione della nuova rivista: «In confronto ai compiti immani della chiesa in ogni paese, ogni nazione è “teologicamente sottosviluppata”. In questa rivista la teologia di ciascun paese intende aiutare quella delle altre nazioni a svilupparsi. La rivista vuole essere così espressione della responsabilità che la teologia cattolica porta nei riguardi della vita reale della chiesa». E Congar rendeva questa testimonianza al programma internazionale ecumenico e pastorale della rivista: «Concilium tenta di essere un radar, che prolunga, nella mutazione contemporanea, la grande tradizione teologica. La teologia è sempre in ricerca. Ciò è importante nel momento in cui siamo aggrediti da tanti problemi nuovi».

Alcuni fascicoli meritano di essere ricordati, perché hanno concorso a segnare una nuova soglia nella ricerca teologica: il fascicolo Conosciamo gli altri? (2/1966), che dava inizio anche in campo teologico a un’impostazione storiografica dialogica nel valutare figure e movimenti del protestantesimo e della teologia evangelica; il fascicolo Futuro dalla memoria della passione (6/1972), che introduceva la prospettiva della teologia narrativa, destinata ad avere una profonda incidenza nell’ambito della teologia sistematica; il fascicolo Prassi di liberazione e fede cristiana (6/1974), che ha costituito la prima presentazione a livello internazionale della teologia latinoamericana della liberazione; il fascicolo Le donne nella chiesa (1/1976), dove veniva acutamente posto il problema, che più tardi si sarebbe presentato sotto forma di teologia femminista; il fascicolo Teologie del terzo mondo: convergenze e divergenze (5/1988), che nasceva dalla collaborazione della direzione di Concilium con l’Associazione ecumenica dei teologi del terzo mondo (EATWOT).

Nella storia della rivista si possono individuare alcune tappe: nel primo decennio, 1965-1972, Concilium si articolava in dieci numeri annuali scanditi secondo le discipline teologiche, e ha interpretato i grandi temi conciliari in chiave ecumenica; nel secondo decennio, 1973-1983, è stata introdotta la dimensione dell’interdisciplinarietà. Congar scriveva nel bilancio del primo ventennio di attività (10/1983): «Concilium ha già fatto uno sforzo efficace per uscire dal monopolio europeo. Non soltanto gli Stati Uniti, ma l’America Latina, l’Africa, le religioni asiatiche hanno preso la parola nella rivista. Forse non è che un inizio. Ma l’avventura è cominciata».

Su questa linea nel terzo decennio, 1984-1996, la rivista ha introdotto due produttive sezioni: la sezione della teologia del terzo mondo e la sezione della teologia femminista, concorrendo decisamente ad ampliare gli orizzonti teologici. In una quarta fase, che prende inizio nel 1997, la rivista affronta i grandi temi del dibattito culturale e teologico, coniugando interdisciplinarietà e interculturalità, articolandoli in cinque aree tematiche: 1) fede cristiana; 2) etica e forma di vita; 3) chiesa ed ecumene; 4) religione e religioni; 5) prospettive globali, corrispondenti a cinque fascicoli annuali.

Nel fascicolo celebrativo del 35° di fondazione è stato sviluppato il tema delle Questioni non risolte, proponendo una visione di chiesa come conciliarità ecclesiale, come spazio di sperimentazione di esperienze e di comunicazione per apprendere «la sempre più grande umanità di Dio, che sfida la nostra disumanità».

Il 40° di fondazione viene ricordato e celebrato con due fascicoli: il primo, 4/2005, Vaticano II: un futuro dimenticato?, inteso a ripercorrere la Wirkungsgeschichte del grande evento conciliare; e il secondo, 1/2006, Questioni ancora aperte, che intende essere prospettico anche in considerazione della nuova situazione in cui viene a trovarsi la chiesa cattolica, con l’inizio di un nuovo pontificato. Di fronte alle questioni ancora aperte si può far riferimento alle celebri Domande a Roma, formulate nel 1966 dal teologo evangelico Karl Barth, dopo aver attentamente esaminato i documenti del concilio Vaticano II: «I mulini di Dio, al di qua e al di là delle mura, macinano lentamente». L’allusione è alle mura vaticane entro il cui recinto, 40 anni fa, si era celebrato il concilio; ma anche, con discrezione, alla fatica delle riforme da affrontare.



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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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