01/03/2013
245. IL SERVITORE DI PIETRO L'annuncio del ritiro di Benedetto XVI cambia anche la prospettiva del papato e rende ipotizzabili nuovi sviluppi di Johannes Röser 1 (Caporedattore di Christ in der Gegenwart - Herder)
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Fa parte del corso naturale della vita, che le persone invecchino, si indeboliscano e divengano fragili. Ed è la cosa più naturale del mondo che quanti occupano le sfere elevate della società abbandonino le loro mansioni di servizio, se le forze fisiche e le facoltà mentali diminuiscono notevolmente. È solo per il ministero petrino del vescovo di Roma che non è questo il caso?

L’annuncio delle dimissioni di papa Benedetto XVI, che era stato eletto a “vicario di Cristo in terra” in età molto avanzata, è stata una sorpresa. E davvero non poteva sorprendere. Già nel 2010 il papa ebbe a dire nel libro-intervista Luce del mondo 2: «Quando un papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi». E già allora fece sapere: «Però mi accorgo anche che le forze vanno diminuendo» 3.

Rimane incerto se questo passo insolito, finora il primo fatto nella storia della chiesa – per quanto ne sappiamo – introdurrà una “rivoluzione” del papato. Certamente il gesto attuale significa un frammento di demitologizzazione, di desacralizzazione della più alta autorità del magistero, che in singoli casi pretende addirittura la piena autorità dell’infallibilità di prescrivere “la verità” di Dio in un certo qual senso in nome della chiesa. In effetti la demitologizzazione – fino a questo momento dimenticata o addirittura repressa – si è imposta con il successore storico di Pietro. La cui grandezza si manifesta, pur nella possibilità di sbagliare e nella fallibilità, nel fatto che egli tra tutti, che pur negò il suo Maestro nel momento decisivo, è stato capace di rafforzare i fratelli e le sorelle nella fede.

Anche il suo successore, il supremo capo della chiesa cattolica, è umano e non sovrumano.

[…]


Potere e impotenza

A quanto pare la pressione di riforma costituitasi nella chiesa a livello mondiale dopo la letargia della fase finale del pontificato del predecessore ha rafforzato alla fine una certa stanchezza nel ministero. In effetti, Benedetto XVI ha visto che la crisi della chiesa è associata in modo interagente ad una sostanziale crisi di fede, ad una secolarizzazione accelerata che nel frattempo è divenuta dominante anche nel Terzo mondo. Ciò promuove una cultura del dibattito e del processo decisionale che richiede più energie, molto più di quelle che un pontificato in ogni caso potrebbe ancora fare in pochi anni. In vario modo non si tratta in alcun modo solo di interessi particolari di tedeschi, francesi, svizzeri, olandesi, brasiliani, nigeriani, ecc. ma di questioni che vanno affrontate solo a livello di chiesa mondiale, ma alla fine devono pur essere trattate. Benedetto XVI comprende la complessità di tali temi e procedure di accordo che un papa non ha in mano. «In una questione come la fede e l’appartenenza alla chiesa cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente. Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il papa non ha divisioni e non può intimare o imporre nulla. [...] In questo senso, da un lato il papa è una persona assolutamente impotente. Dall’altro ha una grande responsabilità. Egli è, in un certo senso, il capo, il rappresentante e allo stesso tempo il responsabile del fatto che quella fede che tiene uniti gli uomini sia creduta, che rimanga viva e che rimanga integra nella sua identità. Ma unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede» 4.


Fare o non fatto?

Il papa non si è mai visto – probabilmente in modo un po’ diverso da Giovanni Paolo II – come un “uomo d’azione”. Spesso ha detto che la fede non si può “fare”, così la spiritualità o la liturgia. Ha confidato nel lungo respiro della tradizione, e non si è fidato dell’ispirazione. In un certo senso è stato anche un papa marcatamente “evangelico”, simile a Lutero, che non ha creduto alla giustizia delle prestazioni religiose, secondo cui l’essere umano produce con le sole sue forze i veri princìpi religiosi. Piuttosto, per Benedetto XVI la fede è essenzialmente grazia, un dono, consegnato all’uomo da Dio.

Quindi Benedetto ha visto se stesso e il servizio petrino più “passivamente” come una sorta di istanza “modesta” di trasmissione, sottolineando più la figura del portavoce che quella di un annunciatore: «Cristo ha affidato la sua parola alla chiesa. Questa parola vive nella chiesa. E se nel mio intimo la accolgo e vivo la fede di questa chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo per Lui, anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze. Quel che conta è che io non  esponga le mie idee, ma cerchi di pensare e di vivere la fede della chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente» 5.

Quanta soggettività è tollerata dall’oggettività dell’ufficio, e quanto è oggettivo ciò che soggettivamente compie chi detiene la carica? Benedetto XVI si è mosso in questo come su una linea sottile. Perché la pretesa di non predicare le proprie idee, in realtà, è prossima al pericolo di caricare il divino della mentalità quasi infallibile propria, e di dichiarare ciò come “dato”, e non quale “fatto”. Quando parla poi effettivamente l’individuo, il papa, e quando parla Cristo?

Papa Benedetto non ha avuto timore di promuovere con vigore delle preferenze personali, ad esempio per la liturgia – sino alla concessione, universalmente molto contestata anche da alti prelati, della liturgia tridentina. È tornato a scegliere alcune delle insegne e degli abbigliamenti che si erano perduti nel tesoro della chiesa per render chiaro anche esternamente attraverso gli accessori che nulla va perso nella vita della fede nonostante alcuni cambiamenti, che non può esserci alcuna vera rottura e che tutto rimane legato ad una continuità di duemila anni.

Non c’è proprio nessun fondamentale cambiamento di paradigma? È stato doloroso per Benedetto XVI, senza ombra di dubbio, che il suo tentativo di conciliarsi con il tradizionalismo del popolo dei lefebvriani e quindi di sanare un rottura, non sia riuscito. La Fraternità San Pio X gli ha mostrato una generale “freddezza”, anche se, con la revoca senza alcuna condizione preliminare della scomunica dei suoi vescovi si era andati lontano al punto che la parte significativa della chiesa mondiale gli insorse contro. Ma la dialettica della storia e dell’agire storico non segue chi era ben intenzionato, ma neppure secondo quello che è stato fatto bene o non bene. Inoltre, i fedeli del popolo di Dio si sono sentiti e si sentono abbandonati, non presi sul serio, in molte cose che da decenni vengono discusse e sono state presentate a Roma quasi con urgenza con la richiesta di un’approvazione. Benedetto XVI non può sfuggire al fatto che da tempo non ci sono più i “progressisti” di un tempo che pretendono riforme decise nella fede e nella vita della chiesa, ma il centro del cattolicesimo è costituito piuttosto dai fedeli “conservatori”. Il papa tedesco, che non è solo un papa per i tedeschi, ha dovuto accorgersi che anche in questo senso il mondo della chiesa della sua infanzia, una volta apparentemente ben ordinato, è mutato drasticamente.

Se il pontificato di Benedetto XVI sia stato  una delle occasioni mancate, se irrecuperabilmente si sia chiusa una finestra del tempo per il rinnovamento della fede, non potranno che essere le generazioni future a valutarlo. Ad ogni modo è triste, anzi semplicemente tragico, che un papa della terra della Riforma, cinque secoli dopo la scissione, durante la sua visita ufficiale in patria abbia provocato scalpore per una parola più di rifiuto che di invito. Dal monastero agostiniano di Erfurt, dove è stato onorato il monaco Lutero, cattolico e in cerca di Dio, e non proprio il riformatore successivo, è risuonata l’infelice affermazione del papa che non ha potuto portare alcun «dono ecumenico dell’ospite» 6: una tale speranza rappresenterebbe «un fraintendimento politico della fede e dell’ecumenismo» 7.

Con Benedetto XVI, in cambio, sono stati allacciati nuovi, promettenti contatti con la chiesa ortodossa, soprattutto con il patriarcato di Mosca, cosa che altrove ha tuttavia suscitato qualche “gelosia” in merito alla “revoca dell’amore”. Se e come potranno maturare i frutti tra le chiese sorelle, che fondamentalmente concordano sulla comprensione dei sacramenti, resta una questione aperta.


Neppure nella comunità delle nazioni

La risonanza mediatica all’annuncio delle dimissioni ha reso chiaro quanto sia cambiata tra la gente l’attenzione al papato e come poco giochi ancora un ruolo l’aspetto religioso effettivo nella cultura del divertimento che si alimenta di sensazioni. Al posto dell’onore precedente, a volte addirittura papalistico, dell’uomo di Dio da parte del popolo della chiesa è subentrata ora in larghi strati, in particolare nell’ambiente dei più giovani, l’attrattiva di ciò che è ancora l’esotico nel cattolicesimo. Nella coscienza di molti, “Roma” è l’ultima e unica monarchia che possiede una considerazione a livello mondiale, perché raccoglie in tutto il mondo i suoi “sudditi”, da ogni nazione, in quasi tutti i paesi. Questo non è mai stato e non è paragonabile alla storia umana, neppure nella comunità delle nazioni. Ma come utilizza la chiesa cattolica il suo potere di un tempo, in gran parte passato? quali insegnamenti si tirano dai pontificati degli ultimi cinquant’anni? business as usual – andare avanti come sempre o avviare almeno le riforme strutturali?


Vicario a tempo

Molte proposte sono sul tavolo, come ad esempio il fatto che il papato potrebbe trasformarsi in una sorta di moderno ministero petrino. Proprio come l’episcopato nei primi tempi della chiesa fu modellato ad immagine degli alti amministratori della provincia secolare romana, si potrebbe imparare dai laici che oggi detengono le presidenze: come una scelta a tempo, eventualmente per sei anni, con la possibilità di un’unica rielezione. Ciò darebbe o potrebbe dare anche ai candidati più giovani una possibilità, senza il timore che stiano con la loro competenza direttiva a capo della chiesa e promuovano la propria visione troppo a lungo – fino alla fine della vita. Non si dovrebbe trascurare il problema che il più stretto numero di persone di governo della chiesa cattolica che decidono o più spesso che non decidono è costituito da uomini celibi, per lo più anziani, che a volte negli anni migliori si sono allontanati anche molto dai sentimenti e dal mondo della vita delle generazioni – in particolare si sono estraniati dalle esperienze delle donne.

Le dinamiche della modernità sociale e culturale possono essere sondate di routine nei consigli vaticani e nelle istituzioni scientifiche anche regolarmente, ma tutto questo sembra avere poca influenza sullo sviluppo della fede e della chiesa e sulle dichiarazioni del magistero. Si dice che papa Benedetto XVI personalmente abbia un buon rapporto con le scienze. Ma è innegabile il suo profondo scetticismo verso le innovazioni e i risultati spettacolari della ricerca, come dimostrano i suoi frequenti avvertimenti nei confronti di un pensiero progressista, che “oscurerebbe” l’umano, secondo una sua espressione preferita. Sarà possibile prima o poi organizzare anche l’elezione di un papa su base più ampia di elettori ed elettrici al di là del numero tradizionale dei cardinali, pure con rappresentanti della scienza, dell’arte, del mondo del lavoro, di diversa provenienza dalla società mondiale?

Questi “sogni” al momento sembrano assurdi. Eppure nella crisi globale del cristianesimo la rivitalizzazione del principio sinodale, come successe all’inizio della sequela di Cristo, potrebbe essere utile, o almeno essere un primo passo che indichi che qualcosa si muove. Questo non risolve di certo i grandi problemi di fede delle persone. Pertanto il tempo spinge ad un concilio veramente globale della fede, che dovrebbe essere preceduto da un più lungo processo conciliare, come ad esempio sulla questione religiosa, sulla comprensione di Dio in un orizzonte mutevole di esperienza del mondo, e su altro.

Benedetto XVI ha avuto dei “sogni sulla chiesa”. Ha voluto e vuole stimolare la comunità di fede a non farsi eguale al mondo, ma a ricordarsi di ciò che è il suo senso originario: riattualizzare l’opera salvifica di Cristo sulla terra, portare l’amore di Cristo agli umani, la gioia e la speranza della risurrezione, che dissolve in una luce diversa del mondo, la luce di Dio, tutte le oscurità della vita – da ultimo, quelle della morte di ogni individuo. Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ha cercato a volte con ansia, a volte fiduciosamente una “chiesa santa”, al di là degli accomodamenti. Più precisamente, ha voluto incoraggiare la chiesa dei santi, una chiesa che, “demondanizzata”, riscopra e porti di nuovo nella vita di tutti i giorni  il mistero del Dio sconosciuto e l’icona del Dio invisibile – mettendo Cristo al centro.


Con Cristo nella transizione

Il fare riferimento a Cristo, l’impulso verso Cristo muove Benedetto XVI nella forza come nella debolezza. Per questo ha scritto, come “opera della vecchiaia”, i suoi libri su Gesù, come libri spirituali, come una sorta di testamento spirituale. Sono stati concepiti meno come prodotti di erudizione storico-critica, e più come lettura per tutti coloro che vogliono restare mentalmente e spiritualmente inquieti, e così giovani, che vogliono trarre dalla lettura delle sacre Scritture la forza vitale del vangelo come un grande tesoro. Gesù era giovane. Cristo rimane giovane – anche se Pietro diventa vecchio e con lui la chiesa.

Benedetto XVI è stato definito già con la sua elezione un “papa di transizione”. A rigor di termini ogni papa è un papa di transizione, e l’intera storia della fede è una transizione, in cui molte cose – per buoni motivi – sono consegnate all’oblio ed altro viene scoperto come nuovo, e in qualche modo come vero. Anche nella storia del papato, ad ogni nuova generazione molto affonda nel buio. Che cosa sanno oggi i cinquantenni di Giovanni XXIII o di Paolo VI? quanto è in realtà rimasto nella memoria di Giovanni Paolo II, un tempo salutato come amico degli uomini, e politicamente audace? Papa Benedetto XVI è pure a questo riguardo realista. Nessuna realtà terrena dura eternamente. Riguardo a se stessa la chiesa dovrebbe rimanere modesta. Questa è la sua eredità.

Non è Pietro che lava i piedi di Cristo, ma è Cristo che lava i piedi a Pietro. Benedetto XVI, come sacerdote, teologo, infine come vescovo di Roma nella forza come nella debolezza, ha dato espressione all’esperienza che il servitore di Pietro come “vicario di Cristo” non è in prima linea colui che porta Cristo, bensì è chi lo riceve. Al di là di una idealizzazione sacrale, il papato potrebbe in tale consapevolezza guadagnare credibilità. Papa Benedetto, che ha una così alta considerazione della tradizione, attraverso le sue dimissioni paradossalmente ha rotto con la tradizione, al fine di chiarire ciò che è importante: aprire come servitore di Pietro con tutta la forza della ragione e della fede le vie per il vero Servo di tutti gli esseri umani, Cristo, il Redentore e il Liberatore – ieri, oggi e per l’eternità. Anche la grande storia dei papi è molto piccola di fronte a questa storia.


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1. [Gli interessi di JOHANNES RÖSER, 1956, teologo e giornalista, caporedattore di Christ in der Gegenwart, con una notevole attività pubblicistica, riguardano la religione, la teologia, la società e l’ambito delle scienze, oltreché l’America Latina e l’Africa].
2. [trad. it., Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi -  Una conversazione con Peter Seewald, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, 53].
3. [Ibid., 29].
4. [Ibid., 21s.].
5. [Ibid., 22].
6. [Atto ecumenico a Erfurt, in Osservatore Romano del 25 settembre 2011, 9].
7. [Ibid.].



© Christ in der Gegenwart (Herder, Freiburg i. Br.) 7/2013
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Traduzione dal tedesco della Redazione Queriniana
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)

Joseph Ratzinger
INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO
Lezioni sul Simbolo apostolico
18° edizione
Books – 
pagine 368

 

 

 

 

 

 

 

 

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