01/11/2022
520. IL SIGNORE DEGLI ANIMALI? di Silvia Schroer
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Di solito, nei nostri rapporti con il mondo degli animali, ci spostiamo a pendolo fra due estremi. Da un lato, li accarezziamo come partner simil-umani, come veri e propri compagni di dialogo. Dall’altro, ne disponiamo considerandoli all’insegna dell’utilità che possono avere per noi. Il nuovo fascicolo della rivista internazionale Concilium si concentra proprio su questo «rapporto ambivalente» fra animali umani e animali non-umani: «Alcuni animali vengono trattati come membri delle nostre famiglie: con loro viviamo un’esperienza di relazione, in loro riconosciamo intelligenza, gioia, dolore. Altri animali, invece, vengono considerati poco più che cose, oggetti privi di senso, di cui servirsi per soddisfare i bisogni dell’uomo». Gli autori e le autrici analizzano questa relazione, essenzialmente antropocentrica, da una prospettiva filosofica, teologica e interreligiosa. Per dare ai lettori e alle lettrici un semplice assaggio del lavoro sviluppato in quelle pagine, ascoltiamo la voce di Silvia Schroer, che nel suo articolo (qui riportato in forma parziale) mette a fuoco la presenza degli animali nelle Scritture ebraiche.



Il variegato mondo animale nell'Antico Testamento


Nell’Antico Testamento il mondo animale è onnipresente: nei racconti, nella poesia, in testi legislativi. In questo si rispecchia la sua importanza nel mondo reale di Israele. Animali selvatici e animali da allevamento fanno parte della vita quotidiana, ma sono presenti anche nelle rappresentazioni di Dio, nelle metafore, nella filosofia o teologia di questa cultura dell’Antichità.

All’epoca, tutte le persone, anche quelle che vivevano in ambiente urbano, erano continuamente a contatto con gli animali. Animali domestici come pecore, capre, manzi e asini vivevano spesso fianco a fianco con i proprietari, facevano per così dire parte della famiglia. Una relazione particolarmente intima con un animale domestico, una pecora, come membro della famiglia viene descritta nella parabola di Natan (2 Sam 12,3). I piccoli animali da cortile, in particolare, servivano all’approvvigionamento e all’alimentazione. Latte e lana, pelle e carne o grasso, persino corna, nulla restava inutilizzato e pochissimo non veniva consumato. Del benessere degli animali e della loro riproduzione si occupavano tutti, le famiglie e le tribù. Gli animali dovevano essere condotti al pascolo durante il giorno ed essere difesi dai predatori, andavano munti e tosati, avevano bisogno di acqua sufficiente e di un riparo sicuro per la notte. La cura delle greggi scandiva le giornate e le stagioni, come anche le feste, per esempio quella della tosatura (1 Sam 25), per le famiglie contadine. Non meraviglia quindi il significato altamente simbolico del compito dei pastori: un gregge senza pastori è sinonimo di abbandono. Nel Medio Oriente antico divinità e sovrani vengono descritti o raffigurati come pastori degli animali e degli esseri umani. Davide viene preso dalla custodia del gregge per essere unto re (1 Sam 16,11). La benedizione per gli animali del gregge proviene dalle dee del bestiame minuto (Dt 7,13). Nei salmi Dio viene descritto come pastore degli oranti e delle oranti (Sal 23; 79,13; 95,7; 100,3). I profeti criticano i prìncipi e i re di Israele come pastori miserabili (Ez 34,1-31), che abbandonano il loro gregge, fin quando Dio stesso non lo raduna e guida nuovamente […].

Accanto agli animali da allevamento, anche gli animali selvatici erano molto vicini agli esseri umani. Chi era in viaggio fra un villaggio e l’altro, andava a caccia di una gazzella o conduceva un gregge di capre sulla collina vicina poteva venir sorpreso da un leone, una pantera o un orso. Anche a chi si trovava al riparo dentro casa gelava il sangue nelle vene quando sentiva ruggire un leone nelle vicinanze (Am 3,8; Pr 22,13; 26,13). Nei campi e nelle case serpenti o scorpioni costituivano un pericolo, ma si temevano anche le cavallette perché divoravano i raccolti. Si osservavano con molta attenzione e spesso con meraviglia gli animali selvatici per le loro capacità sovrumane e il loro modo di vivere. In vari modi ogni animale domestico o selvatico è presente nel mondo dell’Antico Testamento.

Parecchi animali si portano dietro significati simbolici o mitici di tradizioni vecchie di millenni o di secoli. La colomba come animale da compagnia di dee dell’amore e animale simbolo del loro tempio è diventata l’immagine dell’amore erotico, l’asino come pacifico animale da soma è diventato la controimmagine del potere imperiale, collegato invece al cavallo. Il leone era il superbo accompagnatore e animale simbolo dei re, ma rappresentava anche il pericolo e il caos che dovevano essere tenuti in scacco. Il toro aveva, accanto al suo significato nella vita quotidiana, un legame tradizionale con gli dèi che si credevano sovrintendere alle condizioni meteorologiche. I serpenti e le sfingi, come i serafini e i cherubini ebraici, svolgevano il compito di custodi nei templi e un ruolo importante nelle rappresentazioni di Dio.



Verso la fine di una storia di sottomissione?


Anche se il comando divino «soggiogate la terra» al tempo della redazione dei testi biblici non era un lasciapassare per il dominio dispotico sul mondo animale, è avvenuto proprio questo: dominazione e sfruttamento fino alla distruzione. Potremmo dire che Gen 1,28 non è stato il motore, ma neppure il freno, di questo sviluppo. Oggi noi siamo alla fine, non all’inizio, di una storia di sottomissione. E, al tempo stesso, mai nella storia la conoscenza degli animali ha raggiunto un tale livello. Dagli anni Sessanta del secolo scorso la ricerca sul comportamento ha avvicinato molto più di quanto si sia mai immaginato prima di allora essere umano e animale. Oggi non si considerano più i comportamenti degli animali e gli impulsi che li spingono ad agire dettati da semplici “istinti”, come si faceva fino a pochi decenni fa. Da molti punti di vista, l’homo sapiens non è più così unico come aveva per molto tempo pensato di essere. Tutti questi spostamenti fondamentali hanno avuto ripercussioni sia sui discorsi filosofici e teologici sia sugli interessi della ricerca scientifica sull’Antichità.

Oggi anche le domande che rivolgiamo ai testi biblici sono diverse da quelle di un secolo fa. Che cosa hanno in comune esseri umani e animali, che cosa li divide? Come viene pensata in origine – da Dio, fin dalla creazione – la loro relazione e come si è sviluppata? Quale responsabilità hanno gli esseri umani per gli animali, se l’essere umano è il partner superiore nella relazione con l’animale? 



Gli umani: simili a Dio e (quindi) incaricati di regnare sugli animali


Il primo racconto della creazione sottolinea, nonostante tutta la parentela biologica presupposta, delle differenze fra essere umano e animale terrestre. Solo gli esseri umani, non gli animali terrestri, ricevono la benedizione per moltiplicarsi. Agli esseri umani viene affidato questo compito (Gen 1,28): «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e rendetela coltivabile, regnate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Qui, come anche nel Sal 8,7-94, non si parla di violenza e sfruttamento; si dovrebbe aver pensato casomai a un regnare paternalistico, responsabile. Con il “rendere coltivabile” si fonda il diritto di cacciare e uccidere gli animali selvatici e con il “regnare” (un addomesticare, potremmo dire) si fonda il diritto di utilizzare i prodotti e la forza degli animali. Dopo il diluvio si aggiunge il diritto al consumo della carne (Gen 9,3) e da allora l’essere umano semina il terrore nel regno animale con la sua dominazione (9,2). Nello sviluppo del testo la legittimazione del predominio sul mondo animale deriva dalla somiglianza dell’essere umano con Dio, che non viene attribuita agli animali.

Non si può cogliere esattamente la causalità di questo insieme, ma essa sembra aver a che fare con la “biologia”: gli esseri umani sono imparentati non solo con gli animali, ma anche con Dio; essi sono, secondo il Sal 8,6, «poco meno di un dio». Anche se il primo racconto della creazione non vede l’essere umano come coronamento della creazione – la conclusione che “corona” l’azione divina è piuttosto il sabato (Gen 2,2s.) –, in questo modo si stabilisce fra l’essere umano e l’animale una gerarchia che deriva dalla parentela fra Dio e l’essere umano.

Sullo sfondo della storia della religione il tópos a noi familiare dell’“immagine e somiglianza” dell’essere umano con Dio è in un certo senso sorprendente: tradizionalmente nell’antico Oriente e nell’alto Egitto le rappresentazioni di Dio non sono affatto solo antropomorfiche-sociomorfiche, ma spesso teriomorfe (a figura di animale). Leone, toro, serpente, avvoltoio o colomba: molte tracce di questa vicinanza fra animale e divinità si trovano anche in testi biblici. Ma nel suo complesso la tradizione anticotestamentaria lascia sullo sfondo la somiglianza fra animale e Dio.



Conclusione


Non si può negare l’antropocentrismo di importanti testi biblici riguardo al mondo degli animali. Come si comportano le cristiane e i cristiani con il fatto che certamente anche per questo il mondo degli animali non viene espressamente tematizzato nel messaggio del regno di Dio di Gesù e della chiesa nascente? È effettivamente l’essere umano, come “prescrive” Gen 1,29 all’inizio della Torah, l’unica creatura che può pretendere per sé la somiglianza con Dio? E, se sì, quali diritti e doveri si possono derivare oggi da questo dato, contrariamente al tempo della composizione dei testi biblici? Nel rispondere a questa enorme domanda si devono perlomeno considerare i testi meno antropocentrici dell’Antico Testamento.





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