29/06/2012
225. LA CHIESA DISTACCATA DAL MONDO È UNA CHIESA CHE SI ADATTA AL MONDO Il discorso di papa Benedetto XVI nel Konzerthaus di Friburgo, il 25.09.2011 di Tiemo Rainer Peters
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Il discorso di papa Benedetto alla comunità cattolica di Friburgo, Brisgovia, nel suo ultimo viaggio in Germania, ha fatto molto discutere per l’uso di una parola, Entweltlichung der Kirche, distacco della chiesa dal mondo. Molti interventi sono usciti, raccolti in un volume edito da Herder nella collana “TheologieKontrovers” con il titolo appunto Entweltlichung der Kirche? (Herder 2012). Tra i vari interventi segnaliamo il commento del teologo domenicano Tiemo Rainer Peters, emerito della Facoltà cattolica dell’università di Münster e rappresentante anche della teologia politica in Germania. Nel catalogo Queriniana, è autore in collaborazione con Johann Baptist Metz del breve libro Passione per Dio. Vivere da religiosi oggi (Meditazioni 99).

Sul tema si possono fare alcune osservazioni: 

1. Il papa nel suo famoso discorso di Friburgo raccomanda un «distacco della chiesa dal mondo», evidentemente nel senso di una «de-mondanizzazione» della chiesa. Per usare l’espressione di Kasper in Chiesa cattolica, la chiesa deve ritornare sempre alla sua «essenza», da vivere certo nella «realtà» del mondo. Questo è un compito perenne della chiesa, a cui richiama il discorso del papa. 

2. Il «distacco della chiesa dal mondo» non può essere interpretato, come ha sempre ammonito la teologia politica, come una privatizzazione della fede senza riferimento al mondo, nel senso che nell’incarnazione il Figlio ha assunto il mondo, e per questo la chiesa si fa strumento di redenzione; una chiesa distaccata dal mondo, nel senso di vivere nella privatizzazione della fede cristiana, diventa una chiesa che si adatta al mondo, che domanda alla chiesa di non interferire nel mondo.

3. Una chiesa che pratica «il distacco dal mondo» è una chiesa che nel ricupero della sua essenza, si espone al mondo e pratica una molteplice critica nei confronti della società secolare. 
Il senso della discussione sul discorso del papa ha sottolineato che ci si deve tenere lontani sia dal fondamentalismo (una chiesa che vive la sua fede nella privatizzazione della comunità), sia dal secolarismo (una chiesa che si mondanizza nel contatto con il mondo). Il discorso di Friburgo del papa, breve ma intenso, ha offerto l’opportunità, come risulta dall’articolo che proponiamo in traduzione italiana, di una riconsiderazione del rapporto chiesa e mondo nel tempo della secolarizzazione.



Chi vorrebbe contestare a papa Benedetto il fatto che un cristianesimo mondanizzato non può promettere molto? I semplici concetti di modernizzazione, con cui in tutto il paese si chiede di riformare la chiesa cristiana, conducono di norma ad un cristianesimo che si adatta e si è adattato, non però ad un cristianesimo necessario – necessario perché offre ed esige qualcosa che da tempo non viene fatto da altri non solo prima, ma spesso anche meglio. Che cosa può avere spinto il papa a vedere la soluzione di tali problemi nel «distacco» della chiesa e della fede dal mondo È tempo,  egli disse nel discorso tenuto nel Konzerthaus di Friburgo davanti alle cristiane e ai cristiani impegnati, di trovare «il vero distacco dal mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella chiesa». Se ciò fosse preso seriamente e non si trattasse solo di un’affermazione destinata a orecchi modernisti, si dovrebbe, tanto per iniziare, chiudere il Vaticano e  fare piazza pulita di tutti i privilegi della chiesa, a partire dalle tasse per la chiesa. Allo stesso modo, però, in cui questa parola d’ordine, carica di storia, della «de-mondanizzazione», è stata intesa, essa contraddistingue una tendenza e si renderà autonoma. Con essa è necessario confrontarsi seriamente.

La situazione è proprio drammatica così come il papa la percepisce e la descrive con parole energiche. Per una teologia contemporanea, comunque, che è consapevolmente passata attraverso illuminismo e «maggiorennità», la soluzione può consistere soltanto in una secolarità ancora più profonda e più radicale, non in un ritiro dal mondo, per quanto ben fatto. È possibile verificare le idee del papa  e chiarire le proprie affrontando tre questioni: la questione della secolarizzazione moderna,  quella del rischio dell’auto-privatizzazione del cristianesimo e quella della necessità di un’interpretazione secolare della fede.


La secolarizzazione non è divisibile

Benedetto XVI parte dalla secolarizzazione (si intende piuttosto la mondanizzazione)  come «un radicale distacco della chiesa dal mondo», la quale ora «si riprende totalmente la sua povertà mondana» e così, dall’esterno, viene rinviata  alla sua realtà più intima. Mentre la teologia della secolarizzazione degli anni 1950 vedeva ancora nella fede cristiana il fondamento vero e proprio della libertà e della secolarizzazione del mondo – il principio dell’incarnazione come principio di secolarizzazione – in Benedetto XVI, quasi all’opposto, sarà la secolarizzazione a liberare la fede a se stessa. E che cosa questa fede è, la chiesa lo sa assolutamente senza il mondo e i suoi presupposti di pensiero. Essa ha semplicemente bisogno di «immergersi»  nel processo della incarnazione del Figlio, che ha assunto il mondo; essa deve essere solamente «strumento della redenzione».

Friedrich Gogarten, pioniere della teologia della secolarizzazione, nel 1953 aveva enunciato la seguente tesi: «Se la secolarizzazione  si mettesse a rivendicare per sé ciò che è proprio della fede, essa non rimarrebbe nella secolarità, ma diverrebbe secolarismo» (Verhängnis und Hoffnung der Neuzeit [Destino e speranza dell’età moderna], 1953, 139). Benedetto XVI dice oggettivamente una cosa simile, soltanto all’opposto: se la fede si mettesse a rivendicare per sé ciò che appartiene al mondo, essa non sarebbe più la fede, ma diventerebbe quella moderna pseudo-fede che, dal punto di visita del papa, oscura così tanto l’immagine della chiesa nelle società occidentali. Soltanto la fede che ha preso distanza dal mondo può perciò essere realmente fede.

Qui entra in campo la critica della nuova teologia politica. Per essa un cristianesimo che non si espone al mondo, cade in sospetto di essere nient’altro che ideologia, ripetizione simbolica di ciò che accade in ogni caso.  Max Frisch, nella sua lezione di poetica del 1981, lo aveva espresso così: «Chi non vuole sapere nulla di politica ha già fornito il suo contributo politico: egli si mette al servizio del partito di volta in volta dominante». Di conseguenza, sarebbe richiesta una fede aperta al mondo, politicamente sensibilizzata. Essa metterebbe in grado di considerare le situazioni così obiettivamente da poterle riconoscere nei loro potenziali liberanti e così criticamente da poter vedere anche i lati ombra della sua emancipazione. In ogni caso, una fede distaccata dal mondo può essere, in definitiva, soltanto acritica.


Chiesa in autodifesa

Nell’argomentazione di Benedetto XVI la chiesa potrebbe, tuttavia, dovere la sua nuova libertà al processo di secolarizzazione che essa non approva. Libera dalla zavorra mondana, essa diventerebbe capace di trasformare il mondo e dovrebbe, nel far questo, non escludere nulla della «verità dell’oggi». La sua ipotesi è realistica,  oppure egli dimentica o rimuove il fatto che il mondo stesso secolarizzato è quello che causa questo ritiro della chiesa – e precisamente non per volere essere ora da essa ammaestrato, bensì per essere libero da essa? Benedetto XVI, con il suo messaggio relativo al distacco dal mondo, può apparire come avvocato coraggioso di una chiesa critica nei confronti del mondo e della modernità. In sostanza, nei suoi discorsi recenti egli si adegua proprio a questo mondo e alle sue esigenze di privatizzazione. Egli rappresenta una chiesa fattasi insicura, che sembra abbia paura di non essere più all’altezza del mondo moderno.

Dietrich Bonhoeffer, nel 1944, lasciò al suo figlioccio una parola che fa il bilancio della situazione, ma che allo stesso tempo potrebbe essere scritta per l’oggi: «la chiesa, che in questi anni ha combattuto soltanto per la propria autoconservazione, come se fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice della parola di riconciliazione e di redenzione per gli uomini e per il mondo» (Werkausgabe 8, 1988, 435). Johann Baptist Metz completa questo documento critico nei riguardi della chiesa: mentre il protestantesimo, secondo lui, rischia, con l’ «autosecolarizzazione», di rendere il cristianesimo quasi superfluo, egli sospetta la chiesa cattolica di lavorare, con «l’autoprivatizzazione», costantemente alla propria scomparsa dalla sfera pubblica pluralista. Dove però chiesa e cristianesimo si occupano soltanto di se stessi, lì il comandamento divino viene indebolito e le verità della fede perdono importanza.

Nella condizione di una secolarizzazione sempre più fallimentare, tutti gli interessati, incluse le chiese, dovrebbero sapere che essi hanno bisogno gli uni degli altri. Anche per questo le dispute sul ritiro,  come perlomeno suonano nell’appello al distacco della chiesa dal mondo, non sembrano essere d’aiuto. Particolarmente non per la chiesa, il cui compito, anzi, non sta solo nella cura del proprio patrimonio di fede. Essa è anche responsabile di ciò che si è fatto, nel mondo,  di questa fede: in primo luogo da parte dei cristiani, che si sono adeguati acriticamente alla società moderna, poi e soprattutto da parte di questa società stessa, che notoriamente usurpa il religioso e lo strumentalizza per i propri interessi.


Il problema della mediazione

Le differenze e le tensioni tra fede e mondo, tra chiesa e società non devono essere solo dimostrate, esse vanno anche mediate e rese produttive. Schierarsi  categoricamente per una delle due parti, avrebbe come conseguenza per la fede il fondamentalismo e per il mondo il «secolarismo». Quando il papa si fissa su questo secondo pericolo, trascura il primo: quello di una fede privata del mondo, che in fondo lascia il campo ad un mondo secolarizzato. «Le parole divine», si legge in Gregorio il Grande, «crescono con il lettore». La fede cresce soltanto là dove viene vissuta e «letta» sempre di nuovo nella testimonianza. Non è perciò sensato, dice Bonhoeffer, interpretare i contenuti della fede cristiana esclusivamente in senso «religioso», dunque in una ripresa dei propri modelli di pensiero e di spiegazione. Sarebbe un continuo ruotare su se stessi. Questi contenuti devono essere interpretati tenendo conto del «mondo», incluse dunque le posizioni di fondo e le problematiche di quel mondo post-cristiano nel quale pure essi vanno mediati: del nostro mondo d’oggi, che va alla ricerca di senso e consolazione, e non è inaccessibile ad un incontro con ciò che promette di essere qualcosa di più di esso stesso.

Dell’adattamento al mondo secolare il papa ha una paura fondata. Ma il ritiro da lui raccomandato, per quanto possa essere chiaro, è l’adattamento molto più pericoloso e duraturo. La chiesa distaccata dal mondo comprenderebbe sempre di meno, stando nel suo mondo a parte, le leggi del mondo e non le toccherebbe nemmeno più con la sua critica. In effetti la chiesa, come assicura credibilmente il papa nel Konzerthaus di Friburgo, vuole «rivolgersi in modo veramente cristiano a tutto il mondo». Ma non accosterebbe piuttosto il suo mondo della fede, dall’esterno, alle esperienze e ai bisogni degli uomini, oppure non lo rovescerebbe semplicemente sopra di essi, come già accaduto? Nel primo caso essa non raggiungerebbe gli uomini, nel secondo questi alla lunga andrebbero per essa perduti. Le due situazioni caratterizzano già da lungo tempo il non-rapporto tra la chiesa e il mondo secolare, che il papa con la sua visita non ha assolutamente cambiato in positivo.

A lungo andare l’uomo non può vivere in un mondo religioso apparente, senza ammalarsi. La fede è un «atto vitale», afferma di nuovo Dietrich Bonhoeffer, dunque qualcosa di globale e di indivisibile, non una provincia religiosa, nella quale ci si possa ritirare. La speranza di Benedetto XVI, di poter trasformare il mondo attraverso un «distacco» della chiesa dal mondo, difficilmente dunque si realizzerà. Il papa non può neppure sperare di rafforzare così in modo durevole la fede dei cristiani. Infatti il suo cristianesimo non incontra il mondo in modo convincente, non lo prende appassionatamente sul serio, non sembra neppure approvare senza dubbi «la chiesa nel mondo contemporaneo», come il concilio Vaticano II l’ha descritta nella sua Costituzione pastorale.

Resta da constatare: la fede cristiana richiede una comprensione secolare e una corrispondente interpretazione della sua verità – non per falsificare la verità o per cercare d’ingraziarsi la modernità, bensì per riconoscersi nel mondo e riconoscere il mondo in sé e nelle sue convinzioni. Possiamo credere solo ciò che si lascia comprendere e esprimere nei concetti della nostra esperienza e possiamo comprendere solo ciò che noi siamo anche disponibili a fare – in mezzo al mondo – non nella separatezza di una chiesa senza mondo. Chi mai vorrebbe contestare che ciò è un progetto estremamente esigente, che ci provoca, e spesso persino supera le nostre forze?




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Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)

 

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