17/04/2013
249. LA CROCE E L'ALBERO DEL LINCIAGGIO di Rosino Gibellini
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Il cinema sta proponendo in queste settimane – a dimensione internazionale – il tema della schiavitù praticata in particolare negli Stati meridionali degli Stati Uniti prima della guerra civile (1860-1865) con due film.

Il duro film di Tarantino, Django unchained, che, attraverso la finzione di un celebre schiavo, cui sono tolte le catene, permette una rivisitazione dei campi di lavoro di cotone e tabacco, e delle fattorie, dove lavoravano gli schiavi, sottoposti anche a pratiche di estrema e perversa disumanità, ricostruite nel film con verismo. Rimane un documento contro il razzismo spietato dell’America bianca. Uno storico ha scritto: «Un regno di terrore prevaleva in molte parti del Sud» (cf. alcuni saggi ritornati di attualità storiografica, del dossier sulla Teologia nera, Giornale di teologia 109, 1978).

Il dotto film di Spielberg – quasi un contrappunto al film di Tarantino – dal secco titolo Lincoln, ricostruisce tutto il processo, anche tortuoso, per arrivare, sul finire della guerra civile, all’approvazione del famoso 13° emendamento alla Costituzione americana, che abolisce la schiavitù (1865) in tutti gli Stati Uniti, compresi i tredici stati americani secessionisti del Sud (Alabama, Arkansas, Carolina del Nord, Carolina del Sud, Florida, Georgia, Louisiana, Mississipi, Tennesee, Texas, Virginia). Il film termina con il suono delle campane, per la duplice vittoria riportata – fine della guerra (600mila morti) e abolizione della schiavitù – ma anche con l’uccisione del presidente Lincoln, tre giorni dopo la vittoria.

Certo, altri cadaveri seguiranno nel tempo – in connessione con la causa dei Neri – Martin Luther King, Malcolm X, il presidente Kennedy.

La lotta per la dignità dei neri nell’America della arrogante supremazia dei bianchi è anche un capitolo della teologia del XX secolo – la Black Theology – che ho illustrato in un capitolo, redatto nella biblioteca specializzata nei Black Studies, dell’International Theological Center di Atlanta (Georgia), per la Teologia del XX secolo (1992, 2007 6 aum., 411-445).

La teologia nera è ora impegnata, culturalmente, a studiare gli slave narratives, i racconti del tempo della schiavitù, che contengono una teologia, dove la fede in Dio e nel Cristo viene espressa dalla comunità nera con il linguaggio ancestrale della cosmovisione africana.

Tra i testi recenti della black theology è da annoverare il libro di James Cone, dedicato a un sofferto confronto, La croce e l’albero del linciaggio (New York 2011).

Il linciaggio era una forma di barbaro supplizio per gli schiavi, che per punizione (al di fuori di ogni regolamento di legge) venivano fatti morire appiccati ad un albero, tra la derisione dei bianchi. Gli storici della schiavitù numerano ad alcune migliaia i casi di pratica del linciaggio di neri.

Ora James Cone, il principale rappresentante della teologia nera, l’autore di Una teologia nera della liberazione (1970), e di Il Dio degli oppressi (Queriniana 1978) sviluppa nel suo nuovo libro la storia del linciaggio, con ampia documentazione storica, accompagnata da una intensa riflessione teologica.

È stato definito: «Un libro devastante e redentivo».

Citiamo la pagina finale del libro del teologo metodista, nativo dell’Arkansas, docente allo Union Theological Seminary di New York: «La croce di Gesù e l’albero del linciaggio delle vittime nere non sono letteralmente lo stesso – storicamente e teologicamente. E tuttavia questi due simboli o immagini sono strettamente connessi al significato spirituale di Gesù per la vita nera e per la vita bianca vissuta insieme in quella che lo storico Robert Handy ha chiamato “l’America cristiana”. Neri e bianchi sono legati insieme in Cristo nel loro incontro brutale e bello in questa terra. Né i bianchi né i neri possono essere compresi pienamente senza riferimento all’altro a causa della loro comune eredità religiosa, così come dalla loro congiunta relazione all’esperienza del linciaggio. Ciò che è accaduto ai neri è accaduto ai bianchi. Quando i bianchi linciavano i neri, essi stavano linciando letteralmente e simbolicamente se stessi – i loro figli, figlie, cugini, madri e padri, e la schiera dei loro parenti. I bianchi potevano essere dei cattivi fratelli e sorelle, assassini della loro pelle nera, ma essi erano nondimeno le nostre sorelle e i nostri fratelli. Noi siamo uniti insieme in America dalla fede e dalla tragedia. Tutto l’odio che abbiamo espresso l’uno verso l’altro non può distruggere il profondo mutuo amore che fluisce profondamente tra noi – un amore che dà il potere ai neri di aprire le loro braccia per ricevere i molti bianchi che hanno avuto il potere dallo stesso amore per rischiare le loro vite nella lotta nera per la libertà. Nessuno tra i due popoli in America ha avuto incontri così violenti e amanti della gente nera e bianca. Siamo stati resi fratelli e sorelle dal sangue dell’albero del linciaggio, dal sangue dell’unione sessuale, e dal sangue della croce di Gesù. […]

L’albero del linciaggio è una metafora della crocifissione operata dall’America bianca del popolo nero. Esso è il punto di guardatura che meglio rivela il significato religioso della croce nel nostro paese. Il questo senso, i neri sono figure del Cristo, non perché hanno voluto soffrire ma perché non avevano altra scelta. Proprio come Gesù non aveva altra scelta nel suo cammino verso il Calvario, così la gente nera non aveva altra scelta per sfuggire al linciaggio. Le forze del male dello Stato Romano e della supremazia bianca lo hanno voluto. E tuttavia, Dio ha preso il male della croce e dell’albero del linciaggio per trasformarli entrambi in una trionfante bellezza del divino. Se l’America ha il coraggio di affrontare il grande peccato e la perenne eredità della supremazia bianca con il pentimento e con la riparazione c’è speranza “oltre la tragedia”» (165-166).




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