22/07/2005
54. La religione nella società post-secolare Il dibattito Habermas-Ratzinger di Rosino Gibellini
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Da qualche anno circola il termine “post-secolare” per caratterizzare la nostra civiltà occidentale, ed è entrato anche nel dibattito tra il filosofo della politica Jürgen Habermas e il teologo Joseph Ratzinger, tenutosi nel gennaio del 2004 all’Accademia Cattolica di Monaco di Baviera, che ha avuto vasta eco sulla stampa, e che ora, dopo l’elezione del card. Ratzinger al pontificato, ha conosciuto anche svariate edizioni in molte aree linguistiche. L’espressione “post-secolare” entra a più riprese sia nell’intervento del filosofo sia nell’intervento del teologo.

Nel bel mezzo del dibattito sulla secolarizzazione e sui suoi effetti sulla religione, era stato il teologo nord-americano Harvey Cox, nel suo bestseller La città secolare (1965), ad accogliere con entusiasmo i cambiamenti sociali in corso nella tecnopoli moderna. Ma circa vent’anni dopo, in Religion in the Secular City (1984), il teologo di Harvard registrava il ritorno della religione nella città secolare; posizione che ha ulteriormente ribadito nel libro Fire from Heaven (“Fuoco dal cielo”, 1995), fino al suo recente saggio, The Myth of the Twentieth Century (“Il mito del XX secolo”, 1999). E, del resto, sociologi della religione come Peter Berger e Thomas Luckmann, si erano sempre dimostrati piuttosto diffidenti nei confronti della categoria della secolarizzazione. Il sociologo di Chicago, Andrew Greely, edotto dalle riflessioni del grande storico delle religioni Mircea Eliade, aveva edito un libro contro-corrente: L’uomo non-secolare. La persistenza della religione (1974).

Ora il tema ritorna in altro contesto: il 1989 ha registrato la caduta delle ideologie del progresso indefinito e della rivoluzione; l’11 settembre 2001 ha fatto sentire la minaccia del terrorismo di matrice islamista alle democrazie occidentali; i grandi flussi migratori hanno portato l’Islam e altre religioni in Europa; la globalizzazione economica capitalista sta minando la solidarietà; il progresso della tecno-scienza nell’ambito della bio-medicina aprono varchi all’eugenetica e al bio-mercato. La religione, dal canto suo, persiste, per usare l’espressione di Andrew Greely (1974), anzi si fa percepire con una nuova visibilità, e chiede di partecipare al discorso pubblico, portando un suo contributo.

Nel suo discorso di Monaco di Baviera, e nella sua analisi, Habermas – uno dei principali rappresentanti, insieme all’americano Rawls, della filosofia politica contemporanea – ripropone la questione già posta dal filosofo Böckenförde, che in un saggio del 1967 constatava che lo Stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che esso, da solo, non può garantire. Habermas riprende questo tema, che ora, in filosofia della politica, va sotto il nome di “teorema Böckenförde”. È una previsione che aveva, in altra forma, già espresso Romano Guardini in La fine dell’epoca moderna (1951): «Il non-credente deve uscire dalle nebbie della laicizzazione. Deve rinunciare all’”usufrutto” che, pur negando la Rivelazione, si appropria dei valori e delle forze che essa ha elaborato».

Secondo Habermas, una società democratica per mantenersi ha bisogno della solidarietà del cittadino, ma tale solidarietà potrebbe esaurirsi «a causa di una secolarizzazione dai caratteri aberranti». Sorge allora la questione, evocata da Böckenförde: dove può attingere la società democratica secolare, che fonda autonomamente se stessa da se stessa, ispirazione e forza per mantenere questo indispensabile tessuto connettivo? C’è un fatto visibile, che si impone all’attenzione: la religione persiste; e per Habermas, essa deve essere assunta come una «sfida cognitiva». Non si tratta solo, da parte della filosofia politica, di prendere atto del fatto di questa persistenza, ma di assumerlo positivamente come «sfida cognitiva», in quanto la religione e le religioni hanno la capacità di «alimentare la coscienza normativa e la solidarietà dei cittadini».

Ma è necessaria un’operazione di traduzione dei «contenuti di significato» della religione in termini universalmente comprensibili e recepibili nel discorso pubblico, per incorporarli nel discorso pubblico al servizio della società. La società democratica è secolare, e rimane tale, ma può attingere linfa dalla religione; non subordina a sé la religione, non la passa in eredità (come nel caso di Bloch), la rispetta nella sua alterità di sapere rivelato, ma attinge da essa ciò che è traducibile in linguaggio pubblico, universalmente comprensibile. Un esempio di questa traducibilità è l’affermazione biblica secondo la quale l’uomo è stato creato a immagine di Dio, che Kant ha tradotto nel linguaggio filosofico a tutti comprensibile, della dignità dell’essere umano, da considerare sempre come fine e mai come mezzo.

Habermas, come si era espresso nel grande discorso di Francoforte 2001, dal titolo di risonanze hegeliane, Fede e sapere, all’indomani dell’abbattimento delle Twin Towers, è preoccupato per una «secolarizzazione distruttiva»; per una «secolarizzazione che deraglia»; per «l’entropia delle scarse risorse» concettuali e spirituali; e, insieme, per le previsioni di «scontro di civiltà» come esito del confronto nel pluralismo di culture e religioni. E avanza questa proposta nell’intento di mediare tra la tesi del fondamentalismo e dell’integralismo, che nega la società secolare; e la tesi del secolarismo (Blumenberg, Löwith), che, nella tolleranza, relega la religione nella sfera del privato. La proposta di Habermas riconosce alla religione una funzione pubblica: «La frontiera di quello che la religione può portare nella vita sociale del nostro tempo è una frontiera da esplorare nel dialogo a due».

Il card. Ratzinger, nel suo discorso di Monaco di Baviera (2004), manifesta un «ampio accordo con ciò che Habermas ha esposto sulla società post-secolare, riguardo la disponibilità ad apprendere e la autolimitazione da entrambe le parti, e avanza, dal canto suo, la proposta di una «correlazione polifonica», secondo la quale «ragione e fede, ragione e religione […] sono chiamate alla reciproca chiarificazione e devono fare uso l’una dell’altra e riconoscersi reciprocamente». La proposta del card. Ratzinger, certo, va oltre la proposta di Habermas della «sfida cognitiva». Ma entrambe le proposte convergono nella valorizzazione della religione per la sfera pubblica nel nuovo contesto della società post-secolare.


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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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