08/07/2011
197. PERCHÉ LA CHIESA LOCALE VA CONSERVATA di Petro Müller, Würzburg (Germania)
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Continuano le riflessioni del teologo di Würzburg, Petro Müller, autore dell’opera Eine kompakte Theologie der Gemeinde, oggetto di vivace riflessione nella pastorale di lingua tedesca. 



Una difesa della comunità quale chiesa in un luogo: motivazioni teologiche

La minaccia di una massiccia perdita di luogo è quasi palpabile nelle ristrutturazioni attualmente messe in atto in Germania. La tendenza va verso la struttura più grande, verso il livello prossimo più elevato. Sul piano ecclesiologico ci si occupa di nuovo della chiesa locale attorno al vescovo, come prima forma fondamentale di chiesa, eventualmente per potere, nell’argomentare a livello teologico, lasciare da parte le altre comunità locali. Proprio per questo ci si deve porre la domanda importante: “Perché la chiesa locale deve essere conservata” 9, per quale ragione ogni comunità va presa sul serio e perché il diritto di esistenza e l’esigenza evangelizzatrice-missionaria di ognuno vanno rafforzati?


Se si vuole dire semplicemente perché la chiesa locale deve essere conservata si potrebbe rispondere: perché essa deve stare vicina alle persone! È il suo compito, se l’affermazione di papa Giovanni Paolo II, ripresa dalla sua prima enciclica Redemptor hominis, è corretta: “L’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione” 10.

Alcune motivazioni teologiche, dal punto di vista cristologico, trinitario, teologico-sacramentario e ecclesiologico, intendono qui tenere aperte le prospettive secondo cui le comunità cristiane – nelle e al di fuori delle parrocchie – sono soprattutto la base irrinunciabile per la communio della chiesa 11:



1. La motivazione cristologico-soteriologica

La rivelazione di Dio in Gesù di Nazaret non avviene né individualmente né impersonalmente. In virtù del suo carattere di interpellanza essa è una comunicazione viva e personale, e ha come destinatari gli uomini nelle loro situazioni relazionali. Dio si rivolge agli uomini a partire da se stesso (si pensi alle chiamate dei profeti, dei discepoli, alla sequela). Si tratta della esigenza di Dio, della sua benevolenza verso gli esseri umani,  che vuole essere vitalmente presente sempre di nuovo nello spazio e nel tempo tra persone concrete. La comunità umana, che deve essere sperimentabile anche in quanto tale, è perciò la più diretta destinataria della comunicazione di Dio avvenuta in Gesù. Dio instaura una comunione (koinonia/communio) che corrisponde alla sua manifestazione all’esterno. Egli la inaugura e preme perché si realizzi tra di noi. Dio abita tra gli uomini e opera così la sua salvezza. Già l’incarnazione mostra questa assoluta vicinanza agli uomini! Cristo è il portatore della salvezza di Dio, il Sanctus, che chiama, raccoglie, unisce, guida e vuole così condurre all’unità tutta l’umanità 12.

Modello originario di questa comunione è la comunità dei discepoli con Gesù, e a partire da Pasqua con il loro Signore elevato. La conoscenza della fede, che noi siamo “i santificati di Dio in Gesù Cristo” (Paolo) dà continuità alla comunità di Cristo. Nelle comunità locali questo “noi” si esprime nel modo migliore.


2. La motivazione teologico-trinitaria

Se la natura di Dio – per quanto difficile da conoscere – è comunione (così affermano parecchie teologie trinitarie), questa comunione si riflette nella comunità umana. La comunione trinitaria viene spesso descritta come comunione interpersonale di amore tra Padre, Figlio e Spirito, come “alleanza d’amore” e come comunione relazionale, dunque una realizzazione pura dell’interpersonalità. Bella e molto espressiva è l’immagine della “pericoresi”, la reciproca compenetrazione e l’essere una nell’altra (circuminsessio) delle persone divine.

Quanto più intima è la comunione, è possibile dirlo anche antropologicamente e sociologicamente, tanto più realmente essa viene vissuta. La sua concreta sperimentabilità si mostra nella sua realtà effettiva. Se la comunione intratrinitaria si manifesta all’esterno e in Gesù si comunica nella comunità di esseri umani, ciò significa che Dio uno e unico ci dona di partecipare a lui stesso. Vale a dire, nel reciproco “tu” e nel “noi” che ne scaturisce Dio si manifesta come l’uno e trino tra di noi. In altre parole: il Dio santo, in sé infinitamente ricco di relazioni, non vuole rinviare soltanto a se stesso, poiché la relazione vuole essere sempre condivisa, ma anche all’uomo da lui creato e alla creazione. Così egli si sceglie dei partner ai quali si comunica e precisamente nel modo dell’amare e dell’attrarre (“Dio con noi”), così che i partner interpellati si aprano a lui e gli uni gli altri, poiché la sua esigenza è a sua volta condivisibile e comunicabile. Da qui nasce la chiesa.


In modo totalmente semplice lo esprime già Tertulliano (ca. 160-220): dove sono Padre, Figlio e Spirito, lì è la chiesa 13. Dal momento che, sul piano concreto della koinonia, la chiesa mostra il suo volto più comprensibile in un luogo, ogni comunità è di conseguenza una creazione dell’amore di Dio.


3. La motivazione teologico-sacramentale

Soteriologia e teologia trinitaria (motivazione 1 e 2) si rendono visibili nei segni della salvezza che ci sono stati donati. I sacramenti sono segni celebrati di questa presenza di Dio, di Cristo e della salvezza in mezzo a noi. Dove, altrimenti, se non nelle comunità quali chiesa in un luogo, dovrebbero essere celebrati i sacramenti come segni della vicinanza di Dio, e precisamente in un’autentica “participatio actuosa”, come dice la Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium?

Poiché i sacramenti sono “segni della salvezza” o della “vicinanza di Dio”, la sua salvezza si manifesta attualmente e realmente presente in un luogo. Essa incontra persone concrete nella modalità del segno. La partecipazione donata diventa visibile in simboli reali. Coloro che sono interpellati rispondono. La loro celebrazione dei sacramenti è partecipazione visibile, donata e accolta, ricezione e risposta. Pertanto, tutti i sacramenti fanno riferimento alla comunità.

La comunità perciò, dal punto di vista teologico-sacramentale, è importante, poiché essa è il “luogo di relazione” dei sacramenti e le persone interpellate rispondono alla salvezza nella loro celebrazione dei sacramenti. La partecipazione alla salvezza ha bisogno persino di essere gestita in luogo, di una concretizzazione nel tempo e della comunione personale: “Qui noi vogliamo dire di sì a questo dono di Dio!”.


4. La motivazione ecclesiologica

Questa motivazione ci fornisce il parallelo e al tempo stesso la prosecuzione delle motivazioni finora esposte, poiché la chiesa e i suoi sacramenti derivano dal mistero trinitario-cristologico-soteriologico: God meets human beingsNoi celebriamo qui, nei suoi segni, il Signore incarnato, crocifisso, risuscitato ed elevato. Questo evento diventa afferrabile in un luogo.

Senza la loro presenza “in tutte le comunità locali legittime” e “in ogni comunione di altare” 14, la chiesa universale e la chiesa locale (diocesi) diverrebbero un fantasma! La chiesa non “sussiste [soltanto] nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” 15, ma ugualmente e tanto più concretamente a livello delle chiese locali (le cui guide sono i vescovi) e delle comunità locali. Entrambi i piani sono, fin dai tempi del Nuovo Testamento, poli di pari diritto dell’unica chiesa.

Una ecclesiologia senza il discorso delle comunità come realizzazione della chiesa sarebbe, di conseguenza, un’opera incompiuta.  Se le comunità scompaiono, la chiesa perderebbe addirittura la sua caratteristica essenziale, ad esempio la cattolicità, poiché questa esprime il fatto che la chiesa deve essere presente ovunque nel mondo in virtù della sua missione 16.

Riassumendo
, proprio in considerazione dei tentativi attuali di centralizzazione, ciò significa: una chiesa che pensa di poter rinunciare alla multiformità e molteplicità delle proprie comunità locali o che trascura questa realtà, si depriva del luogo di rivelazione, del luogo dei sacramenti e della visibilità di se stessa!

Perciò la chiesa, nonostante la costrizione a risparmiare e la mancanza di personale, deve assolutamente restare locale. È opportuno rafforzare le comunità, anzi dovrebbero nascerne di nuove, a partire dal compito affidato di radunare gli uomini e dalla missione! Esistono possibilità di affrontare i cambiamenti strutturali da questo punto di vista?



Note

9) Così il titolo della difesa, degna di essere letta, di J. Werbick, Donauwörth 2002.
10) GIOVANNI PAOLO II, enciclica Redemptor hominis (del 04.03.1979), nr. 14.
11) Cfr. più diffusamente i fondamenti dogmatici di una teologia della comunità del presente e del futuro, in Ernstfall 895-991.
12) Cfr. LG 13,1: “Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale … volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi”
13) Cfr. TERTULLIANO, bapt. 6.
14) Cfr. LG 26.
15) LG 8.
16) Viceversa la comunità ha bisogno però, per essere comunità ecclesiale, sempre anche della caratteristica di chiesa nel suo complesso, per non scadere in un congregazionalismo. Nessuna comunità può essere luogo isolato della salvezza. Una comunità che si comprendesse come la sola vera chiesa avrebbe praticato già una sectio – un “tagliare in pezzi” o “isolare” –, e correrebbe dunque il rischio di diventare una “setta”.



© 2011 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi 
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)

 

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