28/11/2016
355. RIFORMA E CHIESA ECUMENICA di Rosino Gibellini
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Oggi è diventato corrente il discorso sulla Riforma, in occasione del 500° anniversario (31 ottobre 2017) – ma si possono individuare analisi più antiche e ben orientate, come quella del teologo evangelico Wolfhart Pannenberg (1928-2014), in una serie di scritti ecclesiologici di trent’anni fa, che ho sintetizzato nel profilo dedicato a questo teologo nel 1980, che aveva richiamato l’attenzione dell’ecumenista padovano Luigi Sartori.

 

 

S'impone per il teologo luterano una riconsiderazione radicale del significato e dell'eredità della Riforma, com'egli sostiene nella conferenza di Monaco, Reformation zwischen gestern und morgen[1] [Riforma tra ieri e domani] (1968) i cui motivi sono ripresi nell'articolo Reformation und Einheit der Kirche [Riforma e unità della chiesa] (1975), che si apre con queste significative parole: «Le celebrazioni dell'anniversario della Riforma nel secolo XIX guardavano ad essa come all'avvenimento che aveva superato la chiesa papale medioevale e come all'origine del cristianesimo moderno. Si celebrava la riscoperta dell'evangelo della libera grazia di Dio e la libertà, fondata nell'evangelo, della coscienza individuale e della fede. Oggi non ci è più possibile la fierezza di una simile trasfigurazione della Riforma. Noi non possiamo più, come faceva il protestantesimo del secolo XIX, considerare la chiesa cattolico-romana come un fossile del medioevo, come una forma di cristianesimo in linea di principio già superata dalla storia. La nuova sensibilità ecumenica del nostro secolo ci fa percepire più chiaramente le ombre che accompagnano la luce della conoscenza propria della Riforma»[2].

Una valutazione globale storico-teologica, dal punto di vista ecumenico, della Riforma si articola nei seguenti punti: a) la Riforma è anche fenomeno medioevale, in quanto la sua problematica, a cominciare dalla dottrina centrale della giustificazione, affonda le sue radici nelle forme di vita e di pensiero del medioevo; b) l'epoca moderna è in parte conseguenza non voluta della Riforma: la Riforma mirava a riformare l'intera chiesa, ne è derivata invece la divisione della cristianità, le guerre di religione e il conseguente stato secolare, che ha emarginato il religioso nella sfera privata della coscienza; c) i problemi moderni sono estranei all'orizzonte culturale e teologico della Riforma: «Il problema religioso centrale dell'epoca moderna non è più il problema della giustificazione dell'uomo di fronte a Dio, bensì la realtà stessa di Dio, che i riformatori presupponevano ancora come pacifico possesso e che per loro aveva una forma concreta nell'autorità della sacra Scrittura e del suo contenuto»[3]; d) e tuttavia è da sottolineare pure il permanente significato della Riforma per il presente e per il futuro, ed esso viene colto nel concetto di libertà cristiana: «Questo concetto della libertà cristiana costituisce la più importante eredità della Riforma, che le odierne chiese della Riforma devono conservare e introdurre come loro proprio contributo in una nuova coscienza cristiana universale, che forse un giorno troverà la sua espressione nella più vasta cattolicità di una forma di chiesa che unisca tutti i cristiani e che offra spazio per le loro differenti tradizioni»[4]. L'obiettivo storicamente e «provvisoriamente»[5] fallito della Riforma ritorna nella visione di una chiesa ecumenica: «Solo così la Riforma può trovare compimento attraverso il superamento delle divisioni ereditate in una nuova chiesa ecumenica, che sia chiesa veracemente cattolica di tutti i cristiani»[6].

Per il nostro teologo, l'«utopia ecumenica»[7] di una chiesa veracemente ecumenica non è una illusione, ma compito storico adeguato alla «coscienza escatologica della tradizione cristiana»[8]. Essa infatti, rapportandosi al regno di Dio, alla «pienezza del mistero del futuro di Dio»[9], relativizza, nell'unità della confessione centrale, le differenze di dottrina e di forme di vita delle singole chiese cristiane[10], apre alle tradizioni religiose delle religioni non cristiane, e pone l’unità della chiesa al servizio della comprensione fra gli uomini e dell’unità dell’umanità.

 

 

 









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[R. Gibellini, Teologia e ragione. Itinerario e opera di Wolfhart Pannenberg, Queriniana, Brescia 1980, 195-197]

 

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[1] W. Pannenberg, Reformation zwischen gestern und morgen, Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 1969.

[2] W. Pannenberg, Reformation und Einheit der Kirche (1975), in Ethik und Ekklesiologie, V&R, Göttingen 1977, 254.

[3] W. Pannenberg, Reformation zwischen gestern und morgen, 17.

[4] W. Pannenberg, Reformation und Einheit der Kirche, in Ethik und Ekklesiologie, 261.

[5] W. Pannenberg, Die Augsburger Konfession und die Einheit der Kirche, in Confessio Augustana: Hindernis oder Hilfe?, Pustet, Regensburg 1979, 278.

[6] W. Pannenberg, ib., 264. Sul rapporto tra Riforma ed epoca moderna cf. W. Pannenberg, La legittimità cristiana dell'evo moderno (1968), in Questioni fondamentali di teologia sistematica, Appendice, 537-549.

[7] W. Pannenberg, Einheit der Kirche und Einheit der Menschheit (1973), in Ethik und Ekklesiologie, 323.

[8] W. Pannenberg, ib., 331.

[9] W. Pannenberg, ib., 323.

[10] Cf. W. Pannenberg, Die Geschichtlichkeit der Wahrheit und die ökumenische Diskussion, in Begegnung, Festschrift für Heinrich Fries, Styria Verlag, Graz-Wien-Köln 1972, 31-43.

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