08/05/2012
220. UN SAGGIO DI TEOLOGIA FONDAMENTALE POSTMODERNA di Rosino Gibellini
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Il teologo domenicano messicano, docente nella Facoltà di teologia di Città del Messico e di Friburgo/Svizzera,  Carlos Mendoza-Álvarez ha pubblicato presso Les Éditions du Cerf di Parigi il libro “Deus absconditus. Désir, mémoire et imagination eschatologique. Essai de théologie fondamentale postmoderne (Préface de Rosino Gibellini)”. Proponiamo la traduzione italiana della Prefazione di questo libro, nuovo nella sua impostazione.

 

Il libro del giovane teologo messicano Carlos Mendoza reca un titolo Deus absconditus, che indica già in limine libri uno stile teologico, che procede con discrezione, rinunciando ad ogni sicurezza argomentativa e totalizzante, alla ricerca del mistero ineffabile (e affidabile), che è «il segreto» nascosto del mondo (Jüngel). Si pratica, così, uno stile teologico, che persegue la verità, intesa come «evento discreto» (Duquoc). 

Lo studio si presenta come un saggio di teologia fondamentale, che non intende entrare nella trattazione dei singoli contenuti della rivelazione cristiana – compito demandato ad una dogmatica (Barth), o teologia sistematica (Tillich). Si tratta di una teologia fondamentale, che non si autocomprende come un sistema difensivo del cristianesimo, ma che si interroga su come dire Dio nel nostro tempo, caratterizzato da contrapposte cifre culturali, secolarismo e nichilismo da una parte; ritorno del religioso, dall’altra. Ne deriva che l’esposizione si divide chiaramente in due parti: la prima, che comprende i primi quattro capitoli, è diagnostica della situazione culturale (Tillich), in cui viviamo all’inizio del nuovo millennio; e la seconda, costituita dal quinto capitolo conclusivo, propone le linee della nuova teologia fondamentale. 

La prima parte mi richiama un celebre articolo del teologo cattolico nordamericano David Tracy, On Naming the Present (1999), «Quale nome dare al presente», nel tentativo di situare il messaggio cristiano nel nostro tempo. Secondo le dettagliate e documentate analisi del presente studio, il tempo che viviamo, è caratterizzabile come tarda modernità (Habermas), o anche come postmodernità (Lyotard), o tempo del fragmento (Derrida). L’analisi della situazione culturale non è condotta sul registro di una critica indifferenziata e censoria delle tendenze del nostro tempo, ma nel tentativo di individuare – si direbbe – i «punti di inserzione» (categoria elaborata dal colto teologo di Zurigo, Brunner, nella sua polemica con Barth) della parola della fede. Da una parte, il ritorno del religioso è interpretato come ritorno allo spirituale, nel senso di apertura ad un’altra dimensione della realtà. Dal lato opposto, il nichilismo del secolarismo è interpretato come espressione di un pensiero debole (Vattimo), che è critico di ogni forma di totalitarismo, è attento alle differenze, pratica la decostruzione (Derrida, Nancy), e si apre, sulla scorta di Lévinas, all’Altro, agli altri, a storie altre, censurate dalle pretese totalizzanti della razionalità moderna: è questa la nuova possibilità di un «ritorno di Dio» – non di un Dio pensato dall’io, ma del Dio della rivelazione (da interpretare secondo una appropriata ermeneutica: Ricœur, Schillebeeckx) – nella postmodernità. 

Nel capitolo finale sono presentate le linee di una nuova teologia fondamentale nel tempo della postmodernità come disciplina di frontiera tra fede e ragione. Essa si articola su tre parole-chiave (Stichworte nel linguaggio di Adorno), e precisamente: memoria, desiderio, immaginazione escatologica, che sono enunciate nel sottotitolo dell’opera. «Memoria», ricupera la categoria illustrata dalla teologia politica europea (Metz e Moltmann), dilatata alla memoria delle vittime, approfondita dalla teologia della liberazione (Gutiérrez, Dussel, Sobrino). «Desiderio» è la categoria introdotta dal filosofo René Girard, e il libro rappresenta una prima utilizzazione teologica dell’opera dell’antropologo francese (di grande interesse, in questo senso, è l’Annesso finale, che riproduce una intervista teologica a Girard, che risponde a precise domande teologiche dell’autore di questo libro). «Immaginazione escatologica» come visione di un mondo riconciliato e di una creazione nuova, ricupera tutta la linea del ripensamento dell’escatologia, operato dalla teologia del XX secolo. 

La nuova teologia fondamentale, proposta nelle sue linee progettuali generali in questo libro colto, scritto da un teologo della nuova generazione, si propone di mostrare la pertinenza della fede nel tempo della postmodernità, non tanto confrontandosi prevalentemente con la ragione critica della modernità, come in Rahner; o con la ragione pratica post-illuministica, come in Metz; ma con la ragione debole postmoderna, praticando la teologia come conversazione, nella linea di Peukert, Tracy e Duquoc, alla ricerca della possibilità di una nuova espressione del cristianesimo, in termini di gratuità, donazione, e koinonia.




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