«Per noi Abramo è più di ogni altra persona della storia greca o tedesca». A sorpresa ad emettere questa dichiarazione è nientemeno che Nietzsche, nell'opera Aurora (1881), forse memore della sua matrice biblica luterana. Certo è che il progenitore ideale delle tre religioni monoteistiche apre il sipario su storia di fede che lascia alle spalle la drammatica genealogia di Adamo peccatore per divenire il padre dei credenti, come ribadirà l'apostolo Paolo annodando la sua riflessione attorno a un celebre versetto della Genesi: «Abramo credette al Signore e ciò gli fu accreditato a giustizia» (15,6).
Da quel giorno in cui una voce trascendente lo sradicò col suo clan dalla splendida città mesopotamica di Ur e lo lanciò in un avventuroso percorso lungo le piste del deserto per approdare nella terra di Canaan, fino alla morte e alla sepoltura nella grotta di Macpelah, la sua vicenda è nei cc. 11-25 della Genesi, in pagine che hanno la tonalità di una saga. Chi la vuole seguire criticamente procedendo sul crinale sottile che si dirama tra storia e teologia, tra eventi e simboli, tra panorami terrestri e squarci celesti, ha ora a disposizione una guida affascinante allestita da uno dei maggiori biblisti americani, l'ormai patriarcale Joseph Blenkinsopp, classe 1927 (come papa Ratzinger). Egli l'ha approntata quasi novantenne (l'originale è del 2015)! Le scene si snodano come in un filmato, iniziando proprio da quel viaggio nel deserto «senza sapere dove andava», come suggerirà la neotestamentaria Lettera agli Ebrei (11,8), per avanzare poi in mezzo a una folla di personaggi, dalla moglie Sara alla schiava Agar e al nipote Lot, dai due figli del patriarca, Ismaele e Isacco, fino alla nuora Rebecca e a tre ospiti misteriosi. Il tutto affidato a un lampeggiare di eventi dalla trama avvincente che è difficile esemplificare perché li si spoglierebbe dei colori tipici della saga e dei paramenti sontuosi della teologia.
Sì, perché Dio è sempre in agguato con un volto radioso ma, come vedremo, anche con un profilo sconcertante, immergendosi in vicende umane persino scandalose, come l'incesto padre-figlie subito daI nipote Lot, parabola provocatoria dell'etnogenesi di due tradizionali avversari di Israele, le tribù di Moab e Ammon. Un Dio che suggella il suo legame con Abramo attraverso la promessa di un figlio (Isacco, in ebraico «sorridente»), con l'atto sacrale della circoncisione, ma anche con un imperativo immorale e fin blasfemo: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, lsacco, e offrilo in olocausto» (Genesi 22,2).
E qui siamo all'apice della fede assoluta di Abramo che si consuma sulla cima di un monte, Moria. Ma per questo momento tragico lasciamo la voce a un poeta, a p. David M. Turoldo, che in una sorta di ballata sacra così seguiva la scena del patriarca: «Una quercia fulminata era il Vegliardo. / Volavano sulla fronte nubi /come a una vetta alta e nuda. / Ma legato il basto al giumento / tagliò con lucida calma la legna. / Indi la mano del fanciullo / perduta nella sua grande mano, I prese l'ombra di lui I a ondeggiare sull'altopiano... / O vecchio, com'era il volto del Dio? / forse un lenzuolo di sangue? /o una roccia nera, cratere in fiamme?... I O Signore mio, amato e crudele!». […]
G. Ravasi, in
Il Sole 24 Ore 5 dicembre 2021, XVII