Fin dal titolo del libro si comprende che K. Berger ha l’intenzione di fornire un commento ai primi libri del Nuovo Testamento (Vangeli e gli Atti degli Apostoli). Il volume molto articolato offre, per ogni singolo testo, informazioni generali per favorire un contatto con le questioni principali riguardanti l’autore, la datazione, i destinatari e il contesto sociale e storico in cui è stato concepito lo scritto. A completamento di ogni introduzione vi è un commento alle singole sezioni del testo per fornire le linee teologiche generali dello stesso.
Approfondendo il contenuto del lavoro notiamo che l’autore esordisce con la presentazione del Vangelo di Matteo per il quale offre un’ipotesi di datazione piuttosto bassa (50-60 d.C.) basandosi su alcuni dati quali l’insistenza della continuità tra giudei e credenti in Cristo e per la quasi assoluta assenza delle questioni sulla circoncisione. La Cristologia, rintracciata a partire dai titoli, è legata alle immagini del pastore di Israele e degli altri, del maestro e taumaturgo e del Messia di Israele. Il commento è offerto per grandi sezioni, sebbene si tocchino tutti i capitoli. La metodologia di analisi è quella classica con un apporto specifico del confronto con la letteratura giudaica e cristiana, biblica ed extra-biblica, per fornire un’interpretazione profonda del testo. Nota l’insistenza dell’evangelista Matteo sui tratti di educatore riguardanti Gesù, sottolineando come egli unifichi varie sezioni dell’insieme (Mt 5-7; 8-10) intorno al topos dei dialoghi. Molto entusiasmante è l’interpretazione delle parabole in relazione ad alcune categorie quali la “crescita”, la “decisione” e il “lasciar andare” e l’evidenza data alle parole differenti per il racconto dell’ultima cena, rispetto agli altri evangelisti. Infine è offerta una rilettura della sepoltura di Gesù mediante il confronto con il vangelo apocrifo di Pietro per accentuare il carattere drammatico dell’evento.
Nel presentare il Vangelo di Marco, Berger esordisce con un elenco di dati negativi per sostenere un’ipotesi di datazione. In effetti, a partire dal rifiuto del titolo di figlio di Davide da parte di Gesù, dalla constatazione che il Vangelo di Marco scagioni Pilato dalla responsabilità della morte del nazareno e dall’evidente diversificazione nel racconto tra i disordini nelle città e le attese future dei credenti, l’autore paventa la possibilità che l’ambiente di nascita e il tempo di redazione del Vangelo sia in un contesto di persecuzione, visto il tentativo di “tenere buoni” i romani (cf 159). A questo dato l’esegeta aggancia i riferimenti di Mc 10,35-45 che descrivono un clima di tensione nell’ambiente sociale e storico della vita comunitaria. Identifica questo periodo di tensione con gli anni di Erode Agrippa (41-44 d.C.) e propone come data di redazione del Vangelo il 45 d.C., presentando i destinatari come “giudeo/etnico cristiani” mediamente istruiti. Analizzando alcune affermazioni interessanti per la riflessione, frutto del commento al testo, evidenziamo la proposta di rileggere la categoria del “segreto messianico” non come espediente letterario, legato alla teologia dell’evangelista, bensì come paradigma pedagogico utilizzato da Gesù per educare i discepoli alla sofferenza del Messia e diversificarli da altri suoi seguaci (cf 222). Egli fa ruotare l’intera teologia dell’evangelista intorno all’identità di Gesù, Messia e Figlio di Dio, dapprima velata e poi progressivamente svelata mediante la sofferenza. A tal proposito attribuisce notevole rilevanza all’episodio della trasfigurazione (Mc 9). Esprime una sua opinione, non distante da quella della maggioranza degli esegeti, circa la doppia conclusione del Vangelo di Marco. Circa quella più antica (Mc 16,1-8) la ritiene enigmatica per il lettore, giacché invitato a prendere posizione rispetto al silenzio delle donne, partendo dall’evento della tomba vuota che enuncia l’avverarsi delle predizioni di Gesù di morte e resurrezione. Per le apparizioni del risorto (Mc 16,9-20) riscontra dipendenze con gli altri evangelisti e aggiunge che esse sono una chiusura tematica, aggiunta in seguito, con il tentativo di fare da ponte tra il Vangelo e l’annuncio.
Per il Vangelo di Luca, considerando che è concepito come opera insieme agli Atti degli Apostoli, ma cronologicamente è anteriore, e che gli Atti sono redatti prima della morte di Paolo, poiché essi riportano solo il processo a Paolo e non l’esecuzione di una condanna a morte, Berger individua come margine di redazione dei due libri gli anni tra il 66-70 d.C., optando per una data intermedia 66/67, escludendo il 70 d.C., vista la trascrizione sommaria della distruzione del tempio riportata nel Vangelo (Lc 21). Elementi contenutistici emergenti sono legati dall’autore all’analisi dei testi che ricorrono solo nel Vangelo di Luca in quanto salienti per identificare la cristologia lucana. Tra essi suggerisce il ruolo di Gesù come redentore, liberatore che riconcilia l’uomo con Dio e che invia i discepoli dopo averli istruiti. Individua come particolarmente rivelativa la sezione del viaggio verso Gerusalemme per esprimere i termini attraverso cui Gesù, come agnello immolato, redime l’uomo. Anche per i racconti di passione l’esegeta lascia emergere i particolari del racconto per rintracciare l’attenzione dell’evangelista per la preghiera, la carità, il perdono, eventi probabilmente significativi per la comunità cui il Vangelo era destinato.
Evidente il cambiamento di struttura del Vangelo di Giovanni, basato, secondo Berger, non sulle parabole, ma sulle metafore, secondo lo schema “Io-sono + metafora” (cf 412). Il fine esegeta ritiene che, l’evangelista Giovanni, faccia emergere quegli aspetti cristologici lasciati ai margini dagli altri evangelisti a partire dallo spostamento di attenzione dall’annuncio del regno alla persona stessa di Gesù. L’attenzione principale del Vangelo verte su alcune questioni rilevanti, quali il rapporto Gesù-Dio e il contenuto delle affermazioni di Gesù per verificare se sono bestemmie. Appoggiandosi ai dati degli scavi di Qumran identifica i destinatari del Vangelo come giudeo-cristiani della prima ora e propone come data di redazione il 68/69 d.C., in quanto il Vangelo attribuisce a una donna, Marta, la principale confessione di fede (Gv 11,27), non menziona la necessità di più persone per autenticare una testimonianza, facendo andare solo Maria di Magdala al sepolcro, non accenna alla caduta del tempio durante l’episodio della sua purificazione. L’esegeta accenna un’ipotesi di riformulazione dell’ordine delle lettere di Giovanni, sia storicamente sia teologicamente secondo questa successione: 2Gv; 3Gv; 1Gv; Gv. Mentre nelle lettere i temi sono l’ospitalità e la fraternità, nel Vangelo è sviluppato l’unico tema della Cristologia. La redazione di Giovanni sarebbe quindi indipendente dagli altri Vangeli.
Un’unica nota si sottolinea per la presentazione degli Atti degli apostoli, così come descritta dall’autore, legata alla teologia lucana, ovvero il tentativo di includere il più possibile posizioni diverse. Berger vede il libro degli Atti come un’opera di mediazione tra il giudaismo farisaico e la missione ai pagani; tra cristianesimo antiocheno e gerolosomitano; tra la missione Petrina e quella Paolina; tra l’azione dello Spirito Santo e la pianificazione umana (cf 538). Elenca, tra i motivi per unificare intorno a un unico autore il terzo Vangelo e gli Atti, il prologo, l’attenzione ai poveri e la sostanziale continuità organica tra Israele e la Chiesa. Circa la data di redazione è ipotizzato un periodo tra il 66-67, prima della morte di Paolo, perché non è descritta.
Il contenuto dell’opera in analisi si presenta ricco, affascinante e stimolante per ulteriori approfondimenti e consegna al lettore la possibilità di comprendere il nucleo essenziale dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli. Tra gli aspetti innovativi del lavoro va evidenziato l’aver affiancato all’analisi mediante i criteri della critica-storica, quella condotta tenendo conto della prospettiva giudaica, quale sfondo principale in cui si sono sviluppate le teologie dei diversi scritti. Un ulteriore aspetto di novità è il tentativo ben riuscito di avvicinare all’analisi dei testi evangelici, scritti antico-testamentari, apocrifi dell’Antico e del Nuovo testamento e gli scritti dei padri, alla ricerca di conferme per l’interpretazione offerta. Tali approfondimenti consegnano al lettore intuizioni complementari a quelle di altri studi dello stesso genere.
Un aspetto critico dell’insieme è legato alle notizie introduttive ai singoli libri. In particolare si evince la scarsa argomentazione offerta a sostegno delle ipotesi innovative quali la datazione dei testi anticipata di diversi anni rispetto a quella generalmente condivisa e offerta da tanti studiosi. Ad esempio ritenere Marco redatto nel 45 d.C., solo per il clima di persecuzione che si respira nel testo e l’atteggiamento accomodante rispetto ai romani, ci sembra fare un torto alla previsione della caduta del tempio (Mc 13), che necessita un contesto più prossimo all’evento stesso, per poterlo oggettivamente prevedere. Lo stesso vale per le altre ipotesi basate su dati facilmente criticabili, perché non supportati da corrispondenti argomentazioni.
B. Puca, in
Rassegna di Teologia 56 (4/2015) 677-680