«L'idea che ogni incontro ha una portata mistica va affermandosi in me lentamente ma solidamente. Ogni incontro ha un valore mistico perché nel contatto di due persone è già presente l'abbozzo dell'incontro del cielo; già da lungo tempo ciò era diventato per me evidente nell'amicizia, ora mi appare chiaro per ogni incontro». Se andate su internet trovate molto cliccata questa frase del 6 ottobre 1961 del gesuita e prete operaio Egide Van Broekoven, morto nel 1967 a soli 34 anni mentre lavorava in fabbrica ad Anderlecht, schiacciato da alcune lastre di ferro. È tratta dal famosissimo Diario dell'amicizia, pubblicato in Italia da Jaca Book negli anni Settanta e divenuto un vero caso editoriale, soprattutto nel mondo cattolico.
Ora su questo argomento, che riveste un carattere spirituale ma anche psicologico e culturale, esce un bel libretto di Jean-Paul Vesco, teologo e da cinque anni vescovo di Orano. Nato a Lione nel 1962, di professione avvocato, a un certo punto ha avuto un'illuminazione e si è fatto domenicano abbandonando la carriera. L’opera di cui parliamo si intitola Il dono dell'amicizia (Queriniana, pagine 104, euro 9,00) e contiene riflessioni di carattere personale ma anche numerosi riferimenti biblici e teologici, nonché un'appassionata descrizione della vita dei cristiani oggi in Algeria. Ed è così che si scopre che il più grande amico dell'autore è stato Xavier, col quale sin dai tempi del'impegno sindacale a scuola e all'università ha avuto un legame forte, al di là delle rispettive scelte compiute. «Un'amicizia in cui trovavo il riposo», spiega Vesco, perché per lui avere un amico o un'amica (com'è accaduto con Ariane) significa avere un rapporto in cui è possibile trovare uno sguardo benevolo, senza timore di essere giudicati.
L’altro nome dell'amicizia per Vesco è réconnaissance, termine che in francese riveste un triplice significato: riconoscimento, riconoscenza, ricognizione. Riconoscimento è vivere l'amicizia come «alter-uguaglianza», è dichiarare di avere qualcosa in comune nonostante le differenze; riconoscenza significa gratitudine perché l'amicizia è sempre un dono, non la si merita mai; infine, l'amicizia è anche ricognizione, vale a dire vedere nello sguardo dell'amico lo specchio in cui posso riconoscermi così come sono, anche con le mie mancanze e le mie viltà. Ma il riferimento primo va a Gesù e alle sue parole durante l'Ultima Cena: «Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici», si legge nel Vangelo di Giovanni. E se nel suo "discorso d'addio" egli opta per la parola «amici» e non «fratelli» è proprio perché vuole dire un'ultima volta ai suoi discepoli quanto li ami. Ma è a ciascuno di noi che Cristo si rivolge, come ha ben capito Simone Weil quando ha scritto: «L’amicizia pura è un'immagine dell'amicizia originale e perfetta, quella della Trinità, essenza stessa di Dio. È impossibile che due esseri umani siano uno e tuttavia rispettino scrupolosamente la distanza che li separa, se Dio non è presente in ciascuno di loro. Il punto d'incontro delle parallele è nell'infinito».
L’8 dicembre sono stati beatificati 19 martiri d'Algeria, vittime del fanatismo islamista negli anni '90. Fra loro Pierre Claverie, predecessore di Vesco, e i 7 monaci di Tibhirine. È inevitabile per l'autore del libro rifarsi all'esperienza del vescovo assassinato il 1° agosto del 1996 mentre entrava in vescovado assieme a un giovane amico musulmano, che era andato a prenderlo all'aeroporto. Il testamento spirituale di quest'ultimo, che aveva solo 22 anni, ha molte sorprendenti affinità con quello di Christian de Chergé, priore di Tibhirine. In un piccolo quaderno ritrovato dopo il doppio omicidio di Orano, Mohamed Bouckichi invoca la pace e il perdono, come fa padre Christian rivolgendosi a colui che gli toglierà la vita come «l'amico dell'ultimo minuto». Tutti, sottolinea Vesco, dovrebbero rileggersi questi due scritti per ritrovare la possibilità di un incontro fra cristiani e musulmani. Così come i testi lasciati da Claverie, nato in Algeria quando era ancora dominata dai francesi, ma la cui infanzia e gioventù è trascorsa ignorando che anche gli arabi potevano essere il suo prossimo. Cosa che ammette di avere compreso grazie alla fede e di avere vissuto in prima persona una volta diventato sacerdote e vescovo.
Ma un'altra figura formidabile, Charles de Foucauld, diventa un modello da seguire per trovare un senso alla presenza dei cristiani in Algeria, una presenza "senza perché" come ha scritto Benedetto XVI nella Deus caritas est. Aggiunge Vesco: «Spesso ci chiedono che cosa facciamo come Chiesa in Algeria, in un paese musulmano; e qual è l'utilità di una Chiesa "condannata" al silenzio e all'amicizia come soli mezzi per testimoniare il Vangelo. Questa rappresentazione non è vera né falsa. Solo, non è ben centrata. Come se fosse possibile testimoniare il vangelo al di fuori di una relazione di amicizia!». De Foucauld è l'icona di questo desiderio di fraternità universale e in questo senso l'amicizia è la strada più potente perché sovversiva, un'arma contro la violenza e la barbarie. «Seguire Cristo significa rinunciare alla tentazione della forza», insiste Vesco, convinto che il nucleo dell'identità cristiana sia da ritrovare nel Discorso della Montagna, che rappresenta l'essenza stessa del Vangelo e la specificità del cristianesimo rispetto agli altri due monoteismi.
R. Righetto, in
Avvenire 21 dicembre 2018