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Pazienza, misericordia e solidarietà
Jürgen Moltmann

Pazienza, misericordia e solidarietà

Prezzo di copertina: Euro 13,00 Prezzo scontato: Euro 12,35
Collana: Meditazioni 263
ISBN: 978-88-399-3263-1
Formato: 11 x 20 cm
Pagine: 128
Titolo originale: Über Geduld, Barmherzigkeit und Solidarität
© 2021

In breve

«Nella mia giovinezza ho conosciuto il “Dio della speranza”. Ora, nella mia vecchiaia, conosco il “Dio della pazienza”. La speranza entusiasma, mentre la pazienza è faticosa. Ma se nella speranza noi accostiamo qualcosa di nuovo, solo nella pazienza lo manteniamo. È nella pazienza perseverante che la speranza diventa duratura».

Descrizione

Quando qualcuno ci viene incontro con pazienza, misericordia e solidarietà, ci dà tempo, spazio e forza per vivere. E noi, a nostra volta, avvicinandoci agli altri con identico atteggiamento, possiamo fare altrettanto per loro. Costruendo e alimentando convivenza.
Sono qui raccolte due sentite riflessioni del grande teologo di Tubinga: una meditazione personalissima sulla pazienza (e il suo legame con la tolleranza) e un trattatello su misericordia e solidarietà (non solo nel cristianesimo). Entrambi i testi si sviluppano in due direzioni di fondo: da un lato indicano qual è il significato di queste virtù, dall’altro suggeriscono dove le si apprendono e come le si praticano.
In questo libro – colmo di una speranza orientata a Cristo – si fondono allora in modo toccante la saggezza della vecchiaia e l’attesa del futuro, facendone uno scritto da consegnare nelle mani di tutti.
«Un bouquet di esperienze dense, intense, preziose – addirittura poetiche» (M.-J. Thiel).

Recensioni

Jürgen Moltmann, classe 1926, non cessa di stupire e all’età di novantacinque anni esce ancora con un libretto pieno di saggezza su un tema poco frequentato: la pazienza. «Viviamo in tempi di impazienza»: così esordisce il nostro autore (p. 5), ed effettivamente ha ragione. Non è certo il primo a notarlo, però è un dato di fatto che oggi la vita assuma un moto frenetico e basterebbero pochi esempi per mostrarlo.

Ma questa è solo la premessa, perché in realtà il libro parla del suo opposto: la pazienza, appunto. È una dimensione che dobbiamo imparare e con cui Moltmann ha dovuto confrontarsi in un momento particolarmente triste della sua vita: la malattia di sua moglie, Elisabeth Moltmann-Wendel, sua compagna di vita e apprezzata teologa, mancata nel 2016.

È significativo notare come determinate esperienze molto forti abbiano segnato il percorso di questo teologo, dalla permanenza in vari campi di raccolta britannici di soldati tedeschi prigionieri di guerra, dove diciottenne «fu incontrato da Cristo» e decise di studiare teologia, alla scoperta del pensiero di Ernst Bloch che ha dato lo spunto per la sua teologia della speranza. Tutta la riflessione teologica di Moltmann, dunque, risente di questo legame stretto con l’esperienza della vita vissuta e anche il percorso che qui ci viene proposto ha lo stesso andamento. Esso muove su due linee di forza: il rapporto fra pazienza e speranza e, soprattutto, il tema della la pazienza di Dio.

Moltmann ricorda che da giovane ha imparato a conoscere il «Dio della speranza» (da cui è nato il libro che lo ha reso famoso) e ad amare gli inizi della nuova vita, con nuove idee. Nella vecchiaia, «giunto sul passo estremo della più estrema età» (come canta il Faust nel Mefistofele di Arrigo Boito), ha imparato a conoscere il «Dio della pazienza» e a cogliere l’importanza di ogni giorno che ci viene donato. Del resto, prosegue, giovinezza e vecchiaia non devono essere viste o calcolate in base all’età anagrafica; ma nel rapporto con le due categorie della speranza e della pazienza. Si è «giovani» quando nelle nostre vite domina l’apertura al futuro e quando la luce della risurrezione illumina il nostro percorso, e si diventa «vecchi» quando si impara a sopportare le delusioni della vita e ci si avvicina al Dio della pazienza nel Cristo sofferente.

Le due dimensioni non si pongono una di seguito all’altra né si escludono a vicenda; spesso convivono nello stesso spazio di tempo. Del resto, senza la pazienza, la speranza diventerebbe superficiale e si dileguerebbe rapidamente al comparire delle prime difficoltà e, inversamente, la pazienza cadrebbe nella passività qualora si perdesse la speranza. Nutrita dalla speranza, la pazienza diventa una «passività attiva», diventa perseveranza, capacità di endurance.

Del resto, il fondamento e la forza del pensiero cristiano si radicano su un annuncio gioioso: «Dio ha una pazienza infinita con la sua creatura “essere umano”», afferma Moltmann, «perché Dio la ama, anche se già una volta si è pentito di aver creato gli uomini. Quindi Dio ha ancora speranza in una umanità che sia corrispondente a lui. La pazienza di Dio crea tempo per vivere» (p. 6). Se viviamo nel tempo della pazienza di Dio, questa vita risulta infinitamente preziosa: «Facendo risuonare in noi la melodia della sua pazienza, lodiamo Dio e diventiamo consapevoli che Dio gioisce con noi e di noi. La santificazione di questa vita sta nella corrispondenza al Dio santo» (p. 57).

Specchiandoci dunque nella pazienza di Dio, possiamo a nostra volta imparare la pazienza con gli altri (in particolare coi figli), con gli anziani che sono aggrediti dalla demenza o dalla malattia che conduce a morte, e anche con noi stessi. «Nella pazienza coi figli» sostiene ancora Moltmann «è la speranza, la forza della pazienza. Nella pazienza con chi è affetto da demenza e va incontro alla morte è l’amore, la forza della pazienza. Nella pazienza con se stessi è la fede, la forza della pazienza. Solamente la fiducia di essere perdonati in eterno ci fa guadagnare pazienza con noi stessi quali debitori. Questa fiducia in Dio sostiene la fiducia in noi stessi anche nella colpa [...]. Fede, speranza e amore sono anticipazioni del compimento nel Regno di Dio, per cui “queste tre cose rimangono”. Sono risonanze della pazienza di Dio e presagi della sua speranza nella nostra vita» (pp. 22-23).

E, conclude l’autore: «Occorre convivere con la morte della persona amata. Ma in che modo? “L’amore è più forte della morte”. Io comprendo così queste parole: nell’essere amati e nell’amare noi sperimentiamo il tempo compiuto. Questo è il presente della vita eterna. Questa felicità non tramonta. Neppure la morte ce la può rubare. La gioia della vita amata è essere senza tempo: è la consolazione nelle sofferenze del lutto e nel ritrovarsi soli. Lutto e felicità si accompagnano: io sono triste e lieto allo stesso tempo. È una comunione nuova con la persona cui ho voluto bene» (p. 87).

Alle riflessioni sulla pazienza, Moltmann aggiunge il testo di una conferenza tenuta a Milano nel 2014 e di un articolo, firmato insieme a L. Muraro, sul tema «Misericordia e giustizia». L’autore nella sua riflessione coniuga i due termini, facendo notare che, se la misericordia è soltanto un dono grazioso che discende dall’alto verso i più poveri, rimane una realtà umiliante per chi la riceve. La misericordia deve essere il motivo che colora le strutture della comunità umana − deve strutturarsi come giustizia e solidarietà. «Fare il bene» può significare che siamo dei privilegiati, che si possono permettere la carità – invece, costruire le condizioni perché il bene possa vincere, significa mettersi totalmente in gioco, cercare prima la giustizia e dare una valenza profetica all’azione diaconale.

L’esempio del Samaritano della parabola di Luca 10 è significativo: egli non si limita a soccorrere il malcapitato, ma mette in piedi una rete di sostegno (rappresentato dall’albergatore) e dà così spessore alla sua azione. Diventare prossimo dell’altro non è dunque soltanto un gesto estemporaneo, che dura un momento e del quale poi ci si disinteressa, ma è un «fare sistema», come si dice oggi, per edificare una realtà che prima non c’era. Conclude Moltmann: «La misericordia è, per così dire, il vertice missionario dello stato sociale [...]. La comunità solidale e lo stato sociale funzionano soltanto finché il mondo morale viene connotato da solidarietà e misericordia e non dall’ideologia capitalista dell’avidità [...]. La pietà personale è la traduzione della misericordia di Dio nella nostra convivenza umana» (pp. 122-123).

Con queste note non penso certo di aver esaurito la ricchezza di questo piccolo testo. Spero comunque di aver dato un assaggio della profondità intellettuale e spirituale con cui il nostro autore ha affrontato due temi estremamente attuali e delicati.


P. Ribet, in Protestantesimo 4/2021, 281-282

La pazienza è forse la virtù fondamentale che la pandemia ci ha chiesto di esercitare. Ma essa non è una qualità per le emergenze o per le stagioni dolorose della vita, anche se la sua radice sta nel verbo patire. È una categoria costitutiva di tutta la precaria esistenza umana, crea robustezza, alimenta i legami sociali. E va appresa. «Io ho sperimentato e imparato la pazienza durante la malattia senza speranza di mia moglie. Il mio libro sulla pazienza è nato durante questi anni. Gli altri ci vengono incontro con pazienza, compassione e solidarietà e ci danno tempo e spazio e forze per vivere. E noi, con pazienza, compassione e solidarietà, ci avviciniamo agli altri dando a loro tempo e spazio e forze per vivere.La pazienza è l’energia della convivenza. Se non abbiamo più pazienza tra di noi, si rompe il vincolo reciproco della nostra comunità».

Sono le prime righe di un libretto di Jürgen Moltmann, il massimo teologo evangelico contemporaneo, intitolato «Pazienza, misericordia e solidarietà», che l’editrice Queriniana fa arrivare nelle librerie in questi giorni. I critici lo hanno definito «un bouquet di esperienze dense, intense, preziose - addirittura poetiche, un libro colmo di speranza dove si fondono in modo toccante la saggezza e pazienza della vecchiaia e l’attesa del futuro».

I testi si sviluppano in due direzioni: da un lato indicano qual è il significato di queste virtù, dall’altro suggeriscono dove le si apprendono e come le si praticano. Fermiamoci alla pazienza, anche se non è di moda parlarne perché, dopo il tramonto della società contadina e l’avvento del globalismo, il nostro stile di vita è diventato sempre più frenetico e stressante, per lo meno finché non è arrivato il Covid. Non sappiamo più attendere. Gran parte della nostra azione educativa naufraga sul “tutto e subito”. Non diamo tempo alle persone e alle situazioni di maturare ed evolvere gradatamente. Non abbiamo pazienza neppure con noi stessi.

Eppure tutta l’umanità è avvolta dalla pazienza della Terra e di Dio. L’umanità infierisce contro la Terra, ha dimenticato che «noi non siamo padroni della purezza dell’aria o dello splendore dell’acqua... gli uomini hanno scordato i diritti dei propri figli», come scrisse nel 1855 un capo indiano al presidente degli Stati Uniti. Eppure la Terra è paziente con noi uomini. Anche Dio usa pazienza infinita con l’uomo, anche se già una volta si è pentito di averlo creato. Nell’immaginifico testo biblico che introduce al diluvio universale leggiamo: «Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato, e con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti».

Dio però ha sempre di nuovo speranza nell’umanità, e la sua pazienza crea vita: «Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore», continua la Bibbia, e fa seguire la storia dell’arca della salvezza. Le ondate della pandemia reclamano la nostra pazienza, come accade ad ogni mese che passa della nostra vecchiaia. Così può rifiorire la nostra speranza. La speranza entusiasma, la pazienza è faticosa. La speranza rende luminosa la vita, la pazienza la appesantisce. Chi spera si avvia verso nuove sponde, chi esercita la pazienza è disposto a sopportare, ma questa sopportazione pone le basi della resilienza. La speranza si sposa con la giovinezza, la pazienza con la maturità e la vecchiaia. Ma «giovinezza e vecchiaia - scrive Moltmann - non vanno misurate sull’età anagrafica, sono questione di esperienze di vita, sono atteggiamenti nei confronti dell’esistenza. Divento giovane ed esploro le avventure della vita, sono vecchio e imparo a sopportare le sofferenze del commiato».

Ma come si impara la pazienza? Moltmann dice che è necessario cominciare dal rafforzare la pazienza con se stessi imitando il poliziotto e il criminologo che aspettano con pazienza il momento giusto per risolvere il caso, il cacciatore che fa la posta alla preda e lo scienziato che sa attendere l’idea illuminante. È necessario tenere a bada la propria impazienza e imparare l’autocontrollo. Della pazienza con se stessi fa parte anche l’amore concreto della verità. Non ci si può accontentare di rapide soluzioni apparenti. A volte si deve addirittura accettare l’insolubilità come soluzione del problema. La pazienza con se stessi va imparata anche rispetto alle proprie disabilità, quando gli organi smettono di cooperare, quando diventa più difficile vedere e sentire, le gambe sono doloranti e le dita anchilosate. La si impara accettando le proprie disabilità e sfruttandole al meglio, in un’accettazione di sé che si acquista - tuttavia - quando si sperimenta di essere accettati da altri.

La pazienza con se stessi è messa alla prova nelle sconfitte della vita, quando ci si sente perdenti in una società orientata al successo. Se mancano il riconoscimento degli altri e la stima sociale, l’autocritica diventa spesso disprezzo di sé. Allora è indispensabile quella pazienza con se stessi «che si basa - scrive Moltmann richiamandosi all’apostolo Paolo – sulla sicurezza di sé senza la gloria delle opere della legge», perché tutti siamo giustificati gratuitamente.

Moltmann ha compiuto 95 anni qualche giorno fa. La perdita della moglie dopo una lunga malattia invalidante, lo ha portato a spostare la riflessione dalla speranza alla pazienza e a trasmettere al frenetico e talora superficiale mondo di oggi un messaggio importante: «Incontrandoci con pazienza, misericordia e solidarietà, costruiamo e alimentiamo la convivenza».


G. Poletti, in L’Adige 18 maggio 2021, 39