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Quando eri sotto il fico...
Adrien Candiard

Quando eri sotto il fico...

Discorsi intempestivi sulla vita cristiana

Prezzo di copertina: Euro 13,00 Prezzo scontato: Euro 12,35
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Collana: Spiritualità 184
ISBN: 978-88-399-3184-9
Formato: 13,2 x 19,3 cm
Pagine: 144
Titolo originale: Quand tu étais sous le figuier… Propos intempestifs sur la vie chrétienne
© 2018, 20212

In breve

Un libro sulla scia dei grandi maestri spirituali: godibile ed esigente al tempo stesso
Un autore di grande successo in Francia, capace di dischiudere prospettive originali e inattese.

Descrizione

Un episodio strano, misterioso, narrato nel Vangelo di Giovanni, funge da filo rosso di questo libro: un personaggio pressoché ignoto, Natanaele, si mostra piuttosto scettico su Gesù, che gli viene presentato come il messia; eppure, non appena questi gli confida: «Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48), Natanaele inizia a credere in lui. Perché? Cos’è avvenuto? Chi era davvero la persona seduta sotto il fico? Risponde Candiard: quella persona sei tu, sono io, è ciascuna e ciascuno di noi che sogniamo di vivere finalmente la nostra vita in pienezza.
La nostra vita sociale, intellettuale, amorosa, è sempre e soltanto la ricerca e il perseguimento della vita vera. Fino alla luminosa evidenza che la vita che desideriamo e la vita che Dio vuole per noi sono una cosa sola.
In queste pagine Candiard, esplorando la routine grigia e opaca della quotidianità anonima, ne svela lo sfavillio segreto che è barlume di eternità. Grande lezione – al tempo stesso umile e sapiente, semplice e alta – di spiritualità, sulla scia dei grandi maestri di sempre.

Recensioni

La Francia si conferma territorio particolarmente fertile per la cultura dei cattolici. Sembra quasi che, alla minorità numerica che il cattolicesimo d'Oltralpe vive, faccia da contraltare una vitalità di pensiero e di scrittura che sembra non aver pari in altre nazioni europee. L’ultimo esempio di questa rinnovata energia culturale dei cattolici transalpini ha il volto giovane e l'acutezza brillante di Adrien Candiard, classe 1982, domenicano, di stanza al Cairo, dove i superiori l'hanno amorevolmente "confinato" per studiare l'islam e diventarne particolarmente esperto (a maggio si preannuncia in Italia un suo saggio sul tema, di gran successo in Francia). Già la biografia di questo parigino nemmeno quarantenne è singolare: studi di politica a Sciences Po, un libro sul Cavaliere – L’anomalie Berlusconi – pubblicato dalla prestigiosa Presses Universitaires de France nel 2003 (aveva 21 anni), un impegno in politica di altissimo livello: in quegli anni è nello staff della campagna per le presidenziali di Francia di Dominique Strauss-Khan, l'allora direttore del Fondo monetario internazionale, poi travolto da uno scandalo sessuale. Candiard, è da sottolineare, dall'allora capo del Fmi si stacca per la diversità di opinioni sulla questione-omoparentalità. Ma veniamo all'oggi. Ingresso tra i domenicani nel 2006, di seguito alcuni libretti di spiritualità che vanno molto forte in Francia (l'ultimo, uscito in questi giorni per Cerf, sulla Lettera a Filemone).

II primo pubblicato in italiano è Quando eri sotto il fico... Discorsi intempestivi sulla vita cristiana (Queriniana, pagine 138 euro 13,00), in cui l'accento è su quell'aggettivo che pare quasi un correlativo oggettivo di chi è e cosa dice Adrien Candiard. Ovvero: questo autore è capace di rilanciare la proposta cristiana con sottolineature linguistico-letterarie singolari nella loro semplicità. Prendiamo l’incipit: «La vita cristiana significa avere il coraggio di non rinunciare alla gioia; il coraggio di cercare la felicità, e non un surrogato, un sostituto di felicità, una tranquillità confortevole, un'assenza di sofferenza o non so che altro ancora. Poiché la felicità è ciò che Dìo vuole per noi; poiché la felicità è la nostra vocazione». E via di questo stile. Sono frequenti esempi e considerazioni che potrebbero sembrare banali, e invece hanno la grandezza della chiarezza. Come quando paragona il profumo del Vangelo a quello che esce da una panetteria (chi è stato in Francia, sa di cosa si parla): «In fondo, questo profumo delle Beatitudini, questo profumo del Regno, è un po' ciò che sentiamo quando passiamo davanti a una panetteria. Il profumo del pane fresco e della pasticceria solletica le narici e fa venite fame. È molto piacevole, ma anche assai frustrante, almeno finché non entriamo».

È anche la provenienza molto "laica" di frate Adrien a suggerirgli paragoni ed esempi tratti dalla vita comune, nella convinzione che è facendo parlare il quotidiano che l'uomo capisce la portata del Vangelo. Esemplificando: «Dio non è la Previdenza sociale, per la quale esistono soltanto numeri e prestazioni. Dio conosce ciascuno personalmente, ama ciascuno personalmente. Non ama l'umanità, ama ogni uomo e ogni donna, uno per uno». O, prendendosi quasi in giro: «La posta in gioco della vita cristiana è proprio, come diceva un mio formatore, "umanizzare il ragazzo"». Partendo dalla normalità di ciascuno Candiard riesce a comunicare l'unità del vivere umano: «In una vita cristiana è fondamentale che sia abbattuta questa frontiera tra luogo sacro e luogo profano, così comoda per noi. La distinzione non è evangelica [...] Bisogna che la presenza di Dio fuoriesca dalla chiesa. E potete abituarvi, a casa vostra, ad andare in pellegrinaggio fino al bagno, oppure a camminare in processione fino alla vostra camera da letto». A metà gennaio gli è stato assegnato il premio Padre Jacques Hamel, in onore del sacerdote ucciso da due islamisti a Rouen nel 2016. Due anni fa, per il testo Veilleur, où en est la nuit? Petit traité de l'espérance à l'usage des contemporains, ottenne il Premio nazionale delle librerie religiose. Lo stesso volume aveva ottenuto il Premio letterario della Conferenza cattolica dei battezzati di Francia.

Forse il domenicano parigino – autore di un testo su Pierre Claverie, il vescovo martire di Orano, beatificato a dicembre scorso, dal titolo Pierre e Mohamed. Algeria, due martiri dell'amicizia (Emi) – non si curerà molto di questi riconoscimenti. Forte di una convinzione che ha certificato così, commentando l'episodio di Natanaele sotto il fico: «Non ci si bagna due volte nella stessa acqua, Dio non ci ridonerà la grazia passata. Non perché sia un taccagno, ma perché ha di meglio da proporci. Ciò che Gesù ricorda a Natanaele è che, con Dio, il meglio deve sempre arrivare».


L. Fazzini, in Avvenire 3 febbraio 2019, 22

Ancora una volta un'espressione evangelica fa da filo conduttore di una (bella) riflessione di spiritualità nel quotidiano. «Ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi» (Gv 1,48) dice Gesù a Natanaele, e lui inizia a credere in lui. Ma Natanaele, personaggio venuto e rimasto nell'ombra, rappresenta un po' tutti noi costantemente alla ricerca di una realizzazione, in pienezza, della nostra vita. Che, in altre parole, chiamiamo tutti "felicità": di fatto, le nostre giornate sono scandite da una continua ricerca della felicità, un compito che caratterizza la nostra esistenza di umani, senza alcuna differenza.

Lungo tutto il Vangelo noi cristiani leggiamo delle promesse di Gesù: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Papa Francesco ci ricorda l'Evangelii Gaudium, ma forse non ci crediamo ancora abbastanza. Sappiamo bene che "quella" felicità di cui si parla e che ha parecchi nomi - Regno di Dio, gioia, comunione – non solo supera di gran lunga ogni promessa umana, ma soprattutto, contrariamente a quanto si potrebbe (erroneamente) pensare, non viene differita nell'aldilà: ci viene donata qui oggi.

Non resta allora che andare a cercarla, quasi come quando si avverte quel buon profumo di pane fresco che emana da una panetteria e invita ad entrare. «È la grazia che opera. È il Regno di Dio che si ritaglia il suo posto» ci spiega Adrien Candiard, domenicano francese di 36 anni, entrato nell'ordine dopo un dottorato in storia e scienze politiche, e attualmente al Cairo. Il suo è un invito pressante ad intraprendere la ricerca perché «il vero peccato, sarebbe quello di abbandonare la partita per strada, o ancora di andare a cercare altrove la soddisfazione di questo bisogno di eternità, di andare a cercarla in ciò che non può darla».

In questo cammino un buon compagno di strada potrebbe essere proprio Natanaele, decisamente più vicino a noi, rispetto a Filippo e alla sua vocazione "fulminante" a seguito di quell'imperativo di Gesù «Seguimi» (Gv 1,43). Di qui una riflessione incisiva ed essenziale che tocca spesso ricordi personali della sua vita precedente di laico e dell'attuale di religioso: sono quelli che chiama semplicemente "discorsi intempestivi sulla vita cristiana", come recita il sottotitolo, ma sono parole che toccano nel profondo. Soprattutto per l'attualità dei temi affrontati, dalla preghiera, al perdono, dalla relazione all'amore. E sullo sfondo sempre quel desiderio di una vita piena e felice. Che non è affatto una chimera, sia nella vita religiosa che in quella matrimoniale perché, alla faccia di chi parla di sacrificio e caduta di entusiasmo, la realtà che ci aspetta negli anni - come possono testimoniare anche tanti consacrati e sposi - è sempre molto più bella di ciò che possiamo immaginare e l'avvenire ci sorprenderà sempre, a patto che restiamo aperti all'inatteso, al nuovo, magari anche destabilizzante, ma sempre un dono che ci renderà felici.

A patto di non abbandonare mai la ricerca perché «l’unico fallimento è avere paura di vivere, vivere per sé, risparmiando se stessi, facendo attenzione a non donarsi troppo». La felicità vera è tutto l'opposto, provare per credere, ad ogni età. «La vita cristiana significa avere il coraggio di non rinunciare alla gioia... poiché la felicità è ciò che Dio vuole per noi... la felicità è la nostra vocazione».


M.T. Pontara Pederiva, in Presbyteri 10/2018, 791

Il titolo che ci sentiamo di consigliare è Quando eri sotto il fico del domenicano francese Adrien Candiard (Queriniana, pp. 144; euro 13,00). Il sottotitolo Discorsi intempestivi sulla vita cristiana rende bene il tono sbarazzino dell'autore, che concentra le sue meditazioni su un episodio piuttosto trascurato dei vangeli, la chiamata di Natanaele nel vangelo di Giovanni. Sebbene lo stile sia spumeggiante, le riflessioni sono molto serie e mettono in discussione il nostro modo di essere credenti, sovente poco incline a lasciarsi provocare e persino disturbare dall'altro, mentre la vita spirituale è lotta concreta.
G. Carrega, in La Voce e il Tempo 23 dicembre 2018

Diventati adulti, spesso la nostra ricerca della felicità si cristallizza in una nostalgia del passato, fatta di sentimenti sepolti e di effusioni abbandonate. «Gli replicò Natanaele: “Rabbì, tu sei il figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!”» (Gv 1,49-50). Questa gioiosa promessa, come si ricava dal Vangelo, è un impegno a realizzarla qui e ora. La vita eterna, come ricompensa delle sofferenze di oggi, è discutibile riferirla al linguaggio di Cristo. Il Regno dei cieli non si fonda sulla volontà di potenza ma sulla parola di Gesù che suscita il miracolo della fraternità. Se Dio non ci ridarà la grazia del passato, non è perché sia taccagno, ma perché ha di meglio da offrirci.


In Il Regno Attualità 22/2018

Una continua ricerca della felicità, attraverso piccole o grandi scelte quotidiane, da rinnovare o, più spesso, da ribaltare: è questo che caratterizza la nostra esistenza di umani. E per i cristiani non sembra fare differenza. E dire che il Vangelo “brulica” delle promesse di Gesù: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). È l’Evangelii gaudium che ci ricorda spesso papa Francesco, ma forse non ci crediamo ancora abbastanza. Eppure, la felicità di cui si parla supera di gran lunga le promesse che incontriamo nelle riviste di benessere o nei bestseller sul tema. Il Vangelo dà ad essa parecchi nomi – regno di Dio, gioia, comunione – ma soprattutto, contrariamente a quanto pensano alcuni, non la promette per l’aldilà, magari dopo una vita segnata dalla sofferenza e dal sacrificio, ma ci assicura che essa ci viene donata oggi, qui, non domani.

Ed è una felicità – pensiamo alle Beatitudini – di cui si avverte il profumo lungo tutto il Vangelo: un po’ come il profumo del buon pane fresco quando passiamo davanti a una panetteria, un implicito invito ad entrare. Accade però che, per molti, il profumo resti solo un qualcosa che si dissolve rapidamente, lasciando una struggente nostalgia, velata da profonda mestizia. “Ma chi può pensare di mettere in pratica gli inviti del Vangelo? Altri ci riusciranno, non io”.

«Eppure non c’è niente da temere. Perfino questa voglia è la grazia che opera. È il regno di Dio che si ritaglia il suo posto» scrive Adrien Candiard, domenicano francese, classe 1982 – attualmente al Cairo e, dopo studi teologici e linguistici impegnato nel dialogo con l’islam – nel suo ultimo libro ora tradotto da Queriniana (presentato a Roma a inizio novembre). E continua: «Il peccato, il vero peccato, sarebbe di abbandonare la partita per strada o, ancora, di andare a cercare altrove la soddisfazione di questo bisogno di eternità, di andare a cercarla in ciò che non può darla. La vita cristiana significa avere il coraggio di non rinunciare alla gioia… poiché la felicità è ciò che Dio vuole per noi; poiché la felicità è la nostra vocazione». Una chiamata alla felicità: ecco la vita di ciascuno di noi. Un’avventura personale che non può essere quella di nessun altro, perché «è solo l’altro nome della vita spirituale, della vita cristiana, della vita tout court che Dio vuole proporci».

La chiamata di Natanaele paradigma di tutte le vocazioni

Da qui la scelta dell’autore – entrato nell’ordine nel 2006 dopo lauree e dottorato in storia e scienze politiche – di partire da una delle molte “vocazioni” raccontate nel Vangelo, precisamente quella di Natanaele: «Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48) dice Gesù a Natanaele, e questi inizia a credere in lui. Un personaggio rimasto sconosciuto, ma che rappresenta un po’ tutti noi costantemente alla ricerca di una realizzazione, in pienezza, della nostra vita o – per dirla con Candiard – alla ricerca continua della felicità.

E quell’albero di fico, misteriosamente piantato al centro della scena, diventa il filo rosso che guida il discorso, perché, proprio come la pianta di cui si parla inaspettatamente e che ci sollecita per la sua ombra o il profumo dei suoi frutti, rappresenta la vocazione di ciascuno di noi, sempre autentica, ma altrettanto incomprensibile solo poco prima.

È quanto accaduto a Filippo di Betsaida cui Gesù ha detto, senza mezzi termini: «Seguimi» (Gv 1,43). Una scelta che alcuni animatori vocazionali si augurerebbero immediata (invece di sprecar tempo in ritiri, discernimento ecc.), ma non può essere così, commenta Candiard: il modello non può essere riportato, perché nessuno può permettersi di giocare con l’entusiasmo, se pure lodevolissimo, di un giovane.

Quello che è più significativo è invece “l’effetto domino”, quel «Vieni e vedi» (Gv 1,46), perché la fede dei testimoni è di fondamentale importanza e da lì nasce la nostra vocazione alla felicità.

“L’unico fallimento è avere paura di vivere”

Come fare? Candiard, forte della missione caratteristica del suo Ordine, spiega che le persone occorre andarle a «cercare là dove sono e parlare di ciò che suscita il loro interesse, non delle nostre manie personali».

Ecco allora che la riflessione si snoda fluida, talvolta illuminata da alcuni ricordi personali, con l’intento di offrire al lettore solo dei semplici “discorsi intempestivi sulla vita cristiana”, come recita il sottotitolo.

Diversi i temi affrontati, sempre con immediatezza, spesso con una buona dose di umorismo: la difficoltà della preghiera, la (apparente) contraddizione del perdono, il nodo della fraternità, l’amore umano manifestazione di quello di Dio e, ancora, la felicità della relazione, il peccato che, contro ogni aspettativa, ci avvicina alla misericordia di Dio…

Quasi alle ultime battute, arriva la tesi: «L’unico fallimento è avere paura di vivere, vivere per sé, risparmiando se stessi, facendo attenzione a non donarsi troppo», eppure «donarsi, donare il proprio talento, donare la propria personalità, il proprio sorriso, il proprio entusiasmo, anche la propria sensibilità, è fare fortuna nel Regno». E questo accade nella vita religiosa, così come nel matrimonio: molti vanno dicendo che occorre uno sforzo sovrumano per mantenere l’entusiasmo iniziale, ma non è affatto così, rivela Candiard. La realtà che ci aspetta è molto più bella di ciò che possiamo immaginare e l’avvenire è ciò che ci sorprenderà sempre, a patto che restiamo aperti all’inatteso, al nuovo, a tutto quanto magari ci destabilizza, ma che sarà comunque un dono che ci renderà felici.

Del resto, come diceva nel XIII secolo Giordano di Sassonia, Maestro dell’Ordine: «Ridete perché siete salvati! Ridete, perché il regno di Dio è vicinissimo a voi!».


M.T. Pontara Pederiva, in SettimanaNews.it 10 novembre 2018