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San Paolo filosofo
Carlo Scilironi

San Paolo filosofo

Prezzo di copertina: Euro 10,00 Prezzo scontato: Euro 9,50
Collana: Giornale di teologia 439
ISBN: 978-88-399-3439-0
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 112
© 2022

In breve

Come non interrogare i testi paolini anche sul piano filosofico? Questo saggio non lo fa per una qualsivoglia approvazione filosofica né per una mera estensione semantica del termine filosofia. Lo fa per la loro assoluta radicalità: perché l’”antifilosofia” che affermano esplicitamente è in realtà un’altra potente filosofia.

Descrizione

Si deve riconoscere alla filosofia contemporanea il merito di un rinnovato interesse per la figura e l’opera di Paolo. Tuttavia non può sfuggire che l’attenzione è per lo più circoscritta all’ambito degli studi filosofico-politici: da Schmitt a Taubes il punto è la crucialità di Paolo per il destino politico della Modernità. A monte di questi autori, più radicale è Nietzsche: la questione paolina abbraccia l’intero dell’esistenza, ne problematizza modalità e fondamento. Così Paolo campeggia come filosofo simpliciter.
In linea con questa intuizione, il saggio di Scilironi rivendica la legittimità dell’interpretazione di Paolo quale filosofo a pieno titolo: «Si ritiene», scrive l’autore, «che non solo vi siano tutti gli elementi per proporne una lettura in quanto filosofo, ma che soltanto accedendo a tale profilo si rende ragione in toto della sua figura e della sua assoluta centralità nel determinare i destini del mondo e della storia». Ne consegue una ricaduta rilevantissima sulla filosofia stessa, che si rideclina come filosofia della rivelazione.

Recensioni

Con questo saggio Carlo Scilironi intende dare risalto all'importanza della figura di san Paolo come filosofo, cioè come un pensatore cruciale non solo per il destino politico della modernità, ma anche per la messa in questione dell'intero dell'esistenza umana. All'origine di questa rivendicazione della centralità assoluta di Paolo per tutta la storia a venire sta il giudizio di Nietzsche secondo il quale Paolo è un pensatore radicale nella filosofia non meno che nella teologia.

Il testo si compone di tre capitoli: Paolo filosofo della fede è il primo. Partendo dalle dure espressioni di Nietzsche ne L'Anticristo (Paolo "disangelista'' e "falsario") il pensiero dell'apostolo risulta subito come un pensiero con cui occorre fare i conti. Alla legge (Torah)e alla sapienza greca (filosofia) Paolo oppone la parola della croce. Proprio Paolo, che può vantare legami di indiscutibile appartenenza alla tradizione ebraica, punta il dito contro il legalismo ebraico e abbandona la fede nella legge per la fede in Gesù. È la conoscenza di Cristo che produce il superamento della legge perché il significato della legge non è una serie di prescrizioni, ma un'alleanza scritta nel cuore. Gesù come fine della legge indica a Paolo una nuova comprensione della giustizia. Il pensiero di Paolo diventa così un'autentica «ontologia soteriologica» (p. 26), cioè il tentativo estremo di salvare l'essere dell'uomo. La salvezza che viene solo dall'alto, dalla follia della croce, indica una conoscenza irriducibile all'intelletto e che coinvolge il nostro essere fino alle sue ultime fibre.

Il secondo capitolo si intitola Paolo filosofo. Il focus è la figura di Paolo come filosofo a pieno titolo, anche se la filosofia trova in lui un nuovo assestamento fondamentale. Partendo dalla propria vicenda, lo sforzo di Paolo è di portare a livello di comprensione il contenuto dell'esperienza di fede, cioè di rendere intelligibile quell'essere afferrato da Dio che trasforma l'esistenza. Propriamente: fides quaerens intellectum. L'esito di questa trasformazione non è un sistema speculativo, ma una considerazione di Dio nel significato che ha per l'uomo. La teologia di Paolo è propriamente «ontologica (p. 55) nel senso che è una radicalizzazione ontologica. L'opposizione netta tra evangelo e filosofia, divino e umano mantiene però l'umano umano e il divino divino: la sapienza umana non può trascendere se stessa e raggiungere la sapienza di Dio, ma l’irrompere del divino nell'umano rimane possibile a parte dei,per grazia. Questa possibilità non contraddittoria prende forma nell'evangelo.

I passaggi teoreticamente più rilevanti di questo capitolo sono i seguenti: concepire l’ex auditu della fede come apriori,ossia la pistis comeun originario credere e conoscere assieme. Un secondo passaggio è il rapporto tra il revelatum della fede e la ricerca della sapienza. Nonc'è interrogare senza rivelazione, né rivelazione senza interrogazione. Il passaggio che Paolo compie riguarda l'apertura di questo revelatum per cui la sua filosofia, intesa come chiarificazione del revelatum,diventa per essenza filosofia della rivelazione,cioè domanda di intellegibilità di un revelatum dato (per Paolo l'apertura del trascendentale è Gesù Cristo morto e risorto). Tutto questo ha un significato fondamentale: nessuna espunzione della parola della predicazione dalla filosofia è legittima; Paolo obbliga la filosofia a prendere consapevolezza del proprio limite e la apre all'apriori cui ogni rendere ragione dell'originario perviene. Nemmeno la filosofia può prescindere dalla rivelazione.

Il titolo del terzo capitolo è: L'”inattualità” filosofica di Paolo. L'attenzione mai sopita della filosofia per l'apostolo delle genti è dovuta al modo in cui egli sovverte il rapporto uomo-mondo-Dio e pone a tema i nodi strutturali della concezione del mondo e dell'esistenza. In Aurora Nietzsche ritiene che Paolo sia la risposta decisiva dell'Occidente. Agostino, Lutero e Spinoza sono incomprensibili senza Paolo. Anche Freud (L'uomo Mosè e la religione monoteistica), Barth (L'epistola ai romani), Heidegger (Introduzione a «Che cos'è metafisica?»), Smith (Teologia politica e Il nomos della terra)tornano a Paolo, ciascuno per sentieri diversi. In tempi più recenti lo riprendono anche Taubes (La teologia politica di san Paolo),Badiou (San Paolo. La fondazione dell'universalismo), Agamben (Il tempo che resta)e Cacciari (Dell'inizio, Il potere chefrena). Se per Nietzsche Paolo è stato l'inventore del cristianesimo e «il principio nichilistico dell'Occidente» (p. 87), per Badiou Paolo è «un teorico antifilosofico dell'universalità» (p. 110). Paolo, pensatore non metafisico ma capace di articolare in modo alto verità e soggetto, interessa come filosofo che problematizza il fondamento dell'esistenza. Questi tre saggi delineano bene i tratti salienti del suo pensiero e costituiscono un'approssimazione progressiva alla sua filosofia.


M. Barcaro, in Studia Patavina n. 2/2023, 399-400

«E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani. (…) Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio». Le parole taglienti di san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi potrebbero essere lette come un capitolo di filosofia.

Una filosofia che si fa antifilosofia, come emerge dal famoso Discorso all’Areopago, in cui si confrontò con alcuni pensatori greci del tempo. Che lo ascoltarono a lungo quando l’Apostolo delle genti spiegò loro i tratti del Dio cristiano («In Lui ci muoviamo, viviamo ed esistiamo»), ma che lo lasciarono allorché si mise a parlare della resurrezione della carne. L’incontro di Atene si concluse con uno smacco per Paolo: la centralità dell’annuncio cristiano non fu accolta dal mondo intellettuale. Solo nei secoli successivi si sarebbe verificato quel grandioso connubio fra la sapienza greca e il paradosso cristiano.

Ma che Paolo fosse, oltre che il principale missionario della fede cristiana del primo secolo e probabilmente di tutti i tempi, anche un grande pensatore degno di figurare nei manuali di filosofia è indubitabile (come progettato da Jaspers). Fu Nietzsche soprattutto a riscoprirlo, facendo della Weltanschauung dell’ebreo di Tarso il suo principale avversario. In tempi più recenti, sono stati pensatori come Derrida, Foucault, Badiou, Zizek, Vattimo, Agamben e Cacciari a rivalutare il corpus delle lettere paoline, facendone «il testo messianico fondamentale dell’Occidente» (Agamben). Ma sulla scia di Schmitt e Taubes è soprattutto la teologia politica di san Paolo a ridiventare cruciale durante il ’900. Badiou e Zizek si spingono addirittura a proporre un’interpretazione materialistica delle sue epistole. Una versione secolarizzata depurata del significato religioso al punto che il filosofo sloveno parla di «materialismo della grazia». Rilettura sostanzialmente neomarxista.

Pure a livello teologico in tempi recenti si è accentuata la riscoperta del contributo di san Paolo alla storia del pensiero. Negli ultimi anni vale la pena segnalare la pubblicazione di volumi come Paolo e i filosofi di Tiziano Tosolini (Marietti 1820) e di San Paolo e la filosofia del ’900 di Carlo Scilironi (Cleup). Proprio quest’ultimo, docente di Ermeneutica filosofica e di Filosofia teoretica e pensiero teologico all’Università di Padova, ritorna sulla questione nel libro San Paolo filosofo. Proprio commentando l’evento dell’Areopago, Scilironi rileva che «l’antifilosofia di Paolo è filosofia a tutti gli effetti, filosofia fondamentale e radicale» e precisa: «Se Paolo fosse solo un teologo, non si spiegherebbe l’attacco nietzschiano. Nietzsche gli si oppone con tutta la sua forza proprio perché avverte la radicalità filosofica di Paolo».

Ma di cosa è fatta la filosofia, o antifilosofia, di Paolo? Se egli contrappone la sophìa ricercata dai Greci allo scandalo di Cristo crocifisso, non fa altro che ricordare ai filosofi del tempo che la loro sapienza «è circoscritta e finita». Non è tutta la sapienza. E in questo senso fa proprio l’approccio di Socrate, che sa di non sapere. «L’esistenza – afferma ancora Scilironi – per Paolo come per Socrate, è domanda originaria, perché non contiene in sé la propria ragion d’essere: in quanto tale è un precipitare verso la morte accompagnata dalla voce della coscienza che ne attesta la colpevolezza. Non c’è teodicea di sorta che venga a capo della sofferenza e della morte che costituiscono il proprio dell’esistenza e il destino di ciascuno. Non c’è sapienza di questo mondo che possa salvare l’uomo». L’esistenza è domanda di trascendenza e il messaggio socratico esprime appieno questo concetto, almeno come autotrascendenza.

L’autentica domanda filosofica quale emerge dai dialoghi del pensatore ateniese è una domanda di salvezza, una salvezza che non può venire solo dall’uomo, ineluttabilmente segnato dalla colpa e dal dolore. «Non può sfuggire – insiste l’autore – come in questi termini la filosofia di Paolo si dispieghi in una innegabile prossimità con la tradizione socratico-platonica. Ciò che non si può non vedere è la vicinanza dell’intendimento paolino con la "grande speranza" che chiude l’Apologia e anima per intero il Fedone. Platone fa del "mito" l’espressione della fede, cui non può non disporsi il sapere di non sapere; ma il sapere di non sapere è già sempre, in quanto tale, sperare».

Come non condividere allora quanto scriveva Heidegger al riguardo in Che cos’è metafisica?: «Vorrà la teologia cristiana ridecidersi a prendere sul serio la parola dell’Apostolo e quindi a considerare la filosofia come una follia?».


R. Righetto, in Avvenire 13 maggio 2022, A13