11/01/2013
240. EVANGELIZZAZIONE: LA COSTITUZIONE CONCILIARE 'GAUDIUM ET SPES' E TEILHARD DE CHARDIN di Rosino Gibellini
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Mezzo secolo fa, l’11 ottobre 1962, – dopo tre anni di laboriosa preparazione – iniziava la prima sessione del concilio Vaticano II, con un memorabile e coinvolgente discorso del papa Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia – «La Santa Madre Chiesa gioisce» –, in cui dissentiva dai «profeti di sventura», e prospettava una chiesa che «vuole mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà».


Nelle sue quattro sessioni (1962-1965) e con i suoi 16 documenti il Concilio ha operato una svolta dottrinale e pastorale, da una chiesa che si auto-definiva in termini giuridico-sociali di società gerarchicamente strutturata a una chiesa che, più biblicamente, si autocomprende come popolo di Dio e come comunione. Per l’ecclesiologia di comunione ogni membro è discepolo del Cristo, soggetto davanti a Dio, testimone del Vangelo.

Il Concilio della Chiesa sulla chiesa ha posto la chiesa più strettamente in relazione con la sua origine, che è la parola di Dio (Dei verbum), e con la sua missione di evangelizzazione, e di solidarietà con «le gioie e le speranze, i lutti e le angosce» dell’umanità (cfr. Gaudium et spes 1). Ne è uscita una chiesa più evangelica, più dialogica e solidale. Ma Rahner osservava: «Certo che passerà molto tempo fino a quando la chiesa, che ha ricevuto da Dio la grazia del concilio Vaticano II, sia la chiesa del concilio Vaticano II».

Una delle categorie centrali dei testi del Concilio, è quella di «evangelizzazione», ripresa e riproposta in seguito. Paolo VI nella esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) affermava: «Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare (n. 14)». E Giovanni Paolo II indicava come compito precipuo del nuovo millennio: «Una nuova evangelizzazione: nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni». Benedetto XVI prosegue l’opera di una nuova evangelizzazione, indicandone il contenuto, cioè «il kérygma cristologico [...] la nuova evangelizzazione consiste nel rendere testimonianza a Gesù Cristo davanti al mondo e nell’essere lievito dell’amore di Dio fra gli uomini», e convocando il Sinodo romano del 50° Anniversario del Concilio (2012), sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana»  1.



1. Per un cristianesimo di incarnazione

La storiografia di firma cattolica si pone la domanda: quale teologia ha anticipato e preparato il Vaticano II. Tra le prime fonti si evidenzia l’articolo di Yves Congar, Une conclusion théologique à l’enquête sur les raisons actuelles de l’incroyance, apparso in La vie intellectuelle (1935, 214-249) a conclusione della Inchiesta promossa dalla stessa rivista, La vie intellectuelle 1933-1934, sulle ragioni della incredulità nei differenti ambienti della società francese. Congar parla di «fede disincarnata»: «La fede si è per così dire disincarnata, svuotata del suo sangue umano». La risposta di Congar ha incominciato a introdurre «un linguaggio incarnazionista», per superare il «divorzio» tra chiesa e mondo.

Secondo il lovaniense Thils, autore di una Teologia delle realtà terrestri (1946-1949), esistono tre tipi di cristiani: il «cristiano liberale», il «cristiano di incarnazione», e il «cristiano di trascendenza». Il cristiano liberale si adatta al mondo; il cristiano di incarnazione assume il mondo per trasformarlo; il cristiano di trascendenza nega il mondo. Il cristiano di incarnazione è mosso da uno «spirito di conquista», è animato da una «spiritualità dell’azione» e ha una visione ottimista del mondo, anche se il suo ottimismo non è l’ottimismo naturalista. Il cristiano di trascendenza, invece, propone un apostolato di «testimonianza» e di «presenza», è animato da una «spiritualità contemplativa» e nutre un «pessimismo soprannaturalistico» nei confronti del mondo, che Thils vedeva convergente con il pessimismo protestante, con il pessimismo esistenzialista espresso nel romanzo filosofico La nausea (1938) di Sartre, e con il pessimismo della generazione che ha visto le distruzioni e le rovine della guerra. Alla domanda, espressa nel titolo di un suo volumetto del 1950, Trascendenza o incarnazione?, il teologo lovaniense rispondeva: trascendenza e incarnazione, ma era evidente che è il cristianesimo di incarnazione ad operare la sintesi, mentre il cristianesimo di trascendenza rischia l’evasione, il misticismo, il pessimismo.

In sintesi, queste erano le posizioni che si fronteggiavano. Bouyer e Daniélou, da una parte; Thils e Malevez, dall'altra, erano i più noti e i più citati rappresentanti delle due posizioni in campo, escatologismo e incarnazionismo, nella teologia cattolica di lingua francese del dopo-guerra. Le due posizioni erano anche ricondotte a due rispettive riviste, e precisamente, la posizione escatologista a Dieu vivant, che si pubblicò dal 1945 al 1955 e alla quale collaboravano stabilmente Gabriel Marcel, Bouyer e Daniélou; e la posizione incarnazionista a Esprit, la rivista culturale fondata da Mounier nel 1932 e alla quale collaboravano prevalentemente laici cattolici, ma le cui posizioni influenzano anche la discussione teologica.

Nel 1955 prende inizio l'edizione, postuma, delle opere filosofiche e teologiche di Pierre Teilhard de Chardin, dove viene decisamente teorizzata una convergenza di fondo tra regno di Dio e sforzo umano, tra religione dell'In-Alto e religione dell'In-Avanti, tra adorazione e ricerca. Secondo la terminologia degli anni Quaranta e Cinquanta, si deve dire che Teilhard de Chardin è il più illustre e il più deciso rappresentante di una concezione incarnazionista del cristianesimo.

B. Besret, che ha tracciato la storia del lessico teologico focalizzato sulla disgiunzione «incarnazione o escatologia?», fa iniziare la sua analisi con il 1935, e precisamente dall’articolo di Congar già citato a conclusivo commento di una inchiesta sulle ragioni dell'incredulità nei differenti ambienti della società francese, promossa da La Vie intellectuelle negli anni 1933-1935, dove parlava di «fede disincarnata» e proponeva di superare il «divorzio» tra chiesa e mondo; e la fa terminare nel 1955, quando cessano i cahiers della rivista Dieu vivant, che aveva costituito la tribuna della posizione escatologista.

Il concilio Vaticano II nel trattare i complessi rapporti tra chiesa e mondo ha dato indicazioni, che si collocano su una linea teologica e pastorale, che si potrebbe definire di moderato incarnazionismo.  Afferma la costituzione pastorale Gaudium et spes (1965): «Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio» (n. 39) 2.

Nella teologia postconciliare, poi, emergeranno linee di riflessione, che possono essere viste come «ripresa», in altro contesto storico e con altre metodologie, della teologia della storia (o di alcune sue tematiche, come il rapporto tra salvezza e storia), e precisamente una riflessione teologica sui problemi relativi alla prassi dei cristiani nella storia e nella società (teologia politica e teologia della liberazione) 3.


2. Dimensione cosmica e futurica della Incarnazione

Se ora ci trasferiamo dai testi conciliari, alla teologia del dopo-Concilio, vorrei fare riferimento ad un’opera maggiore e autorevole del post-Concilio, e precisamente alla Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger, pubblicata nella lingua originale tedesca a Monaco di Baviera nel 1968, che riproduce le lezioni sul Credo, tenute dal quarantenne teologo all’università di Tubinga, nel semestre estivo del 1967 in un corso destinato, secondo una colta tradizione mitteleuropea, agli uditori di tutte le facoltà. Nell’analisi di Ratzinger si fa un notevole uso della visione di Teilhard de Chardin per illustrare la teologia dell’incarnazione nella sua dimensione cosmica e futurica.

L’uomo, per Teilhard – così argomenta il teologo Ratzinger – è una monade, che può divenire integralmente se stessa, solo quando cessa di restare sola. La monade umana si inserisce nel movimento dell’evoluzione, entrando in un processo di complessificazione. L’uomo è un punto terminale nel divenire del mondo, ma è un elemento che aspira a una totalità, che lo abbracci, senza annientarlo. La stabilità non è data, positivisticamente, dalla massa, dalla materia grezza, dalla coesione delle cose, ma «dall’intrecciarsi delle cose a partire dall’alto». Scrive Ratzinger: «La fede cristiana non è solo sguardo retrospettivo al passato, un ancorarsi a un'origine situata in un tempo alle nostre spalle; pensare in questo modo vorrebbe dire finire nel romanticismo e in una semplice restaurazione. Essa non è nemmeno pura contemplazione dell'eterno, perché ciò sarebbe platonismo e metafisica. È soprattutto anche sguardo in avanti, respiro di speranza. Certo, non soltanto questo: la speranza diventerebbe un'utopia qualora il suo fine fosse unicamente un prodotto dell'uomo. È autentica speranza proprio per il fatto di essere inserita nel sistema di coordinate costituito da tutte e tre le grandezze: il passato, ossia apertura, irruzione già avvenuta; il presente dell'Eterno, che dà unità al tempo frammentato; il futuro, in cui Dio e il mondo si incontreranno, e così veramente Dio sarà nel mondo e il mondo in Dio, in quanto punto Omega della storia». E prosegue: «A partire dalla fede cristiana si potrà dire: alla fine della storia sta quello stesso Dio che sta al principio dell'essere. In questo si delinea il vasto orizzonte dell'essere-cristiano, che lo distingue sia dalla pura metafisica, sia dall'ideologia del futuro propria del marxismo. Da Abramo sino al ritorno del Signore, la fede cristiana cammina incontro a Colui che deve venire. Ma in Cristo essa conosce già ora il volto di Colui che deve venire: sarà  l'uomo capace di abbracciare l'umanità, perché ha perduto se stesso ed essa in Dio» 4.

Il teologo Ratzinger si appellava al pensiero di Teilhard de Chardin, che mediava, come risulta dalle citazioni, da una delle prime introduzioni al suo pensiero; – la notissima Introduction à la pensée de Teilhard de Chardin di Claude Tresmontant (Seuil, 1956) (letta nella pronta traduzione tedesca presso Herder, Freiburg, nel 1961, e dunque nel bel mezzo della vivace disputa innescata dalla rivista Divinitas del Laterano nel 1959. L’opera di Ratzinger, che utilizza ampiamente e positivamente la visione evolutiva di Teilhard de Chardin, con il solo appunto di usare “un linguaggio biologista”, risale al 1967-1968, a soli pochi anni dal Monitum del S. Uffizio del 1962, e dimostra che, nella grande teologia cattolica, in soli pochi anni siamo oltre la disputa sulla ortodossia del suo pensiero, e nella fase di un positivo utilizzo del suo pensiero.



Questa visione di totalità, in cui inserire l’evento del Cristo, si trova anche sottolineata dal card. Carlo Maria Martini in quel suo libro sorprendente e confidenziale, da leggere, le Conversazioni notturne a Gerusalemme del 2008, in cui scrive: «Guardo al futuro. Quando verrà il Regno di Dio, come sarà? Dopo la mia morte come incontrerò Cristo, il Risorto? Mi ha sempre entusiasmato Teilhard de Chardin, che vede il mondo procedere verso il grande traguardo, dove Dio è tutto in tutto. La sua utopia è un’unità che assegna a ciascuno il suo personale posto, trasparente e accettato da tutti gli altri. Ciò che è personale rimane, ma in Dio siamo uno. L’utopia è importante: solo quando hai una visione lo Spirito ti innalza al di sopra di meschini conflitti» 5.



3. Nel dialogo interculturale e interreligioso: la figura del Cristo universale

Teilhard de Chardin non era un teologo di professione, ma le sue riflessioni hanno contribuito ad aprire un vastissimo campo di lavoro ai teologi, in particolare hanno operato quella che è stata chiamata una «dinamizzazione della cristologia» (G. Crespy). «Io sento porsi più urgente che mai nell'intimo del mio essere – scriveva Teilhard in una delle sue Lettere di viaggio – la grande questione di una Fede (una "cristologia"), che animi al massimo le forze d'ominizzazione (o, ed è lo stesso, le forze d'adorazione)» 6. La sua riflessione cristologica si muove passando per tre piani, non sempre, metodologicamente, chiaramente distinti tra loro: da un Omega come punto di maturazione planetaria, raggiunto come ipotesi in sede di analisi fenomenologica, del processo evolutivo; ad un Omega divino, personale e trascendente, motore in avanti del processo evolutivo, raggiunto come ipotesi filosofica; e finalmente al Cristo della rivelazione come vero e reale Omega dell'evoluzione, raggiunto attraverso un atto di fede teologale e di una indagine teologica. L'impresa teologica di Teilhard consiste, dunque, nel tentativo di spiegare come il Cristo della rivelazione possa essere identificato come l'Omega dell'evoluzione, o, in termini tipicamente teilhardiani, come ci possa essere, rivelandosi la struttura del cosmo come cosmogenesi, una cristogenesi, di cui P.  Schellenbaum ha finemente ricostruito sviluppo e tessitura teoretica.

Teilhard, «il cristiano fedele alla terra» (P. Grenet), è alla ricerca del Cristo universale. Annota nel suo Diario in data 19 agosto 1920: «San Bruno, dice il padre de Grandmaison, ha voluto imitare il Cristo-solitario; san Francesco ha visto ed ha voluto far regnare il Cristo-povero; san Domenico il Cristo-verità; sant'Ignazio il Cristo-capo. Chi dunque verrà e troverà il mezzo per far regnare praticamente il Cristo Alpha e Omega, il Cristo di san Paolo, il Cristo universale? Che io sia, con la mia vita o con la mia morte, l'infimo precursore di quest'uomo e di questo movimento […]» 7. Pressoché tutti i titoli, che Teilhard attribuisce al Cristo nella sua riflessione cristologica, sono riconducibili a questo del Cristo universale, come sue sfumature o articolazioni: il Cristo cosmico è il Cristo visto come principio di consistenza di tutte le cose (in quo omnia constant); il Cristo Omega è il Cristo intravisto come punto personale terminale cui tendono tutte le cose e che a tutte le cose darà compimento e ricapitolazione (ad quem omnia tendunt); il Cristo Evolutore è il Cristo inteso come principio energetico-amorizzante che anima il processo del mondo e il divenire del fenomeno umano. Se l'evoluzione universale ha una direzione e un senso, se essa avrà uno sbocco finale positivo e una finale consumazione, se gli uomini conserveranno il gusto dell'azione e non si determinerà uno sciopero a dimensioni noosferiche, questo lo si può capire solo nel Cristo universale.

Nel pensiero di Teilhard teologia e scienza si incontrano nel delineare una convergenza di fondo tra regno di Dio e sforzo umano, tra religione dell'In-Alto e religione dell'In-Avanti, tra adorazione e ricerca. Concludendo uno studio su Teilhard de Chardin indicavo questo testo, tolto dal suo epistolario, come particolarmente atto ad individuare la preoccupazione «teologica» che animava il gesuita scienziato: «Al di fuori della chiesa vi è un'immensa quantità di bontà e di bellezza che, senza dubbio, non si compiranno se non nel Cristo, ma che, nell' attesa che ciò avvenga, esistono e con le quali bisogna che noi simpatizziamo, se vogliamo assimilarle a Dio. L'altro ieri, davanti ad un uditorio cinoamericano, un simpaticissimo professore di Harvard ci esponeva, con tutta semplicità ed umiltà, il suo modo di intendere lo svegliarsi del pensiero nella serie animale. Io riflettevo all' abisso che separa il mondo intellettuale, nel quale mi trovavo e di cui comprendevo la lingua, dal mondo teologico e romano, il cui idioma pure mi è noto. Dopo un primo choc di fronte all'idea che anche questo idioma avrebbe potuto e dovuto essere altrettanto reale quanto quella, mi sono detto che, forse, io ero capace, parlando la prima lingua, di farle esprimere legittimamente ciò che l'altro idioma conserva e ripete nelle sue parole divenute per molti incomprensibili. Per quanto bizzarro abbia potuto ciò sembrarmi all'inizio, ho finito per rendermi conto che, hic et nunc, il Cristo non era estraneo alle preoccupazioni del prof. Parker, e che con il sussidio di talune mediazioni, si sarebbe potuto farlo passare dalla sua psicologia positivista ad una certa prospettiva mistica. Questa constatazione mi ha riconfermato. Oh! queste sono le Indie, che mi attirano più di quelle di s. Francesco Saverio! Ma quale enorme problema, non più di riti ma di idee, dev'essere risolto, prima di poterle veramente convertire» (lettera da Pechino del 1926) 8.  

É. Borne ha istituito un istruttivo confronto tra Pascal e Teilhard: entrambi dell'Alvernia e entrambi scienziati: «Pascal o l'incontro drammatico dell'uomo classico con lo spazio. Teilhard o l'incontro drammatico dell'uomo moderno con il tempo» 9. La risposta di Pascal punta sulla disproporzione dell'uomo: l'uomo, nella nuova immagine del mondo, si sente materialmente diminuito, ma spiritualmente ingrandito, e si apre così una nuova via verso una metafisica dello spirito.

Teilhard risponde proponendo una nuova lettura dell'evoluzione, additando, attraverso la legge di complessità-coscienza, il «fenomeno umano» come il fenomeno, che dà intelligibilità e significato al processo evolutivo convergente in Omega: «Grazie a Teilhard, grazie a Pascal, una crisi dello spirito, di dimensione storica e che rappresenta l'interrogazione maggiore di un secolo, è volta a beneficio dello spirito».

Anche per B. de Solages, Teilhard de Chardin è «il più grande apologista del cristianesimo dopo Pascal» 10. Anche per Daniélou, in un geniale articolo sulla rivista Études (1962), l'opera di Teilhard, al di là delle lacune, rimane feconda per il nostro tempo, in quanto ha saputo trovare una via d'uscita ad un certo numero di vicoli ciechi (come l'opposizione tra scienza e fede, tra vita spirituale e compiti temporali, tra unificazione del mondo e compito personale) e nel ritrovare l'armonia cattolica di natura e grazia: «Egli riunisce la triplice dimensione biblica dell'uomo: il dominio del mondo attraverso la tecnica, la comunità delle persone tramite l'amore, l'apertura a Dio mediante l'adorazione: tecnica, amore, adorazione sono le tre dimensioni dell'universo. Se una sola manca, l'universo è piatto, e il messaggio di speranza che Teilhard ci dà è che queste tre dimensioni, lungi dall'opporsi l'una all'altra, convergono, cospirano insieme, così da autorizzarci ad attendere, dall'accrescimento della tecnica e dell'unità, un accrescimento dell'adorazione. È una sfida superba! E tuttavia è magnifico che sia stata lanciata».

In particolare la grande categoria cristologica del “Cristo universale” può aiutare, nell’attuale contesto della globalizzazione, la teologia cristiana a superare la posizione (fondamentalista) del “Cristo contro le religioni”, per situare il pensiero cristiano nell’orizzonte del “Cristo nelle Religioni” per un cristianesimo relazionale, che pratica rispetto, dialogo e collaborazione tra le culture e le religioni del mondo 11.

Secondo una celebre distinzione degli Anni Ottanta fatta dal teologo cattolico nordamericano Paul Knitter almeno tre sono gli atteggiamenti fondamentali della teologia cristiana nei confronti delle culture e delle religioni.

La prima è quella del fondamentalismo, “Cristo contro le Religioni”, oggi non più proponibile.

La seconda è quella dell’inclusivismo o di un cristianesimo relazionale, secondo l’espressione del teologo francese Claude Geffré, che la riprende e la rielabora. Secondo questo atteggiamento, tutto ciò che di vero e buono esiste nelle religioni trova il suo compimento nel Cristo escatologico, che viene assunto anche nella specifica connotazione teilhardiana del “Cristo universale”. È questa la posizione più creativa e più diffusa nella teologia cattolica, che tiene insieme unicità e universalità dell’evento cristiano.

Aggiungo un terzo atteggiamento, espresso come il “Cristo con le Religioni”, che esprime il concetto pluralistico, secondo il quale il Cristo è una delle vie – insieme ad altre – che portano, oltre le valli delle diverse pratiche e credenze, alla vetta della Trascendenza. Questa posizione va sotto il nome di “teologia pluralista delle religioni”, e non viene accolta dal magistero della chiesa cattolica.

In sintesi, Teilhard de Chardin, con la sua visione di totalità del divenire evolutivo del mondo – come si esprime il teologo Joseph Ratzinger nella sua famosa Introduzione al cristianesimo del 1968, – fornisce la categoria cristologica del “Cristo universale”, adatta ad inserire il cristianesimo, nel tempo della globalizzazione, in un contesto di relazionalità, dialogicità e collaborazione tra le culture e le religioni nel mondo.



Termino segnalando un testo singolare di Teilhard de Chardin, una lettera inviata dalla Cina il 7 gennaio 1934 ad un suo amico teologo francese, Bruno de Solages. La sua permanenza ventennale in Cina lo ha messo a contatto con atei, agnostici, confuciani e buddhisti, e con pochi cristiani, ed ha così sentito vivo il senso di comunicare loro il messaggio cristiano come “religione del Vangelo” (come si esprime il teologo francese Claude Geffré), che ne fa un antesignano di quel progetto culturale che ora va sotto il nome di “Cortile dei Gentili”, come spazio di incontro tra quanti credono nell’uomo e si interrogano sul senso ultimo dell’avventura umana e del mondo: «Rispondendo a Bruno de Solages, gli ho ripetuto quanto il mondo attenda, in Estremo Oriente, un libro sull’essenza del cristianesimo, o sul punto di vista cristiano contrapposto a quello buddista o confuciano, un libro che verrebbe tradotto in tutte le lingue. Ma dovrebbe essere qualcosa col respiro e la serenità dell’ultimo libro di Bergson. Uno sviluppo naturale e strutturato di idee: la genesi di una fede nel Cristo a partire dalla semplice fede nell’essere (…) E passione per la verità. Chi ci darà questa Summa ad Gentiles?» 12.

La Summa ad Gentiles, ideata da Teilhard de Chardin, è ancora in scrittura ad opera della teologia cristiana, nella sua «passione per la verità» e nella sua vastità ecumenica e globale.
 

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1.
Cfr. W. KASPER – G. AUGUSTIN, La sfida della nuova evangelizzazione, Queriniana, Brescia 2012.
2. Forse sono queste le parole conciliari, che portano la traccia più profonda della visione teilhardiana.
3. Cf. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia 1992, 278ss. Trad. fr., Panorama de la théologie au XX e siècle, Cerf, Paris 2004, 299ss.
4. J. RATZINGER, Einführung in das Christentum, Kösel, München 1968, 191-197. Trad. it, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005 (nuova edizione), 226-233.
5. CARLO MARIA MARTINI, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori, Milano 2008, 62.
6. P. TEILHARD DE CHARDIN, Lettres de voyage (1923-1955), Grasset, Paris 1956, 346 (lettera del 6 sett. 1953).
7. Cit. in P. SCHELLENBAUM, Le Christ dans l’énergétique teilhardienne, Cerf, Paris 1971, 270 (il testo è del 1920).
8. Cit. in R. GIBELLINI, Teilhard de Chardin: l’opera e le interpretazioni, Queriniana, Brescia 2005 4 (ed. aggiornata), 271.
9. É. BORNE, De Pascal à Teilhard de Chardin, Bussac, Clérmont-Ferrand 1963, 39.
10. Cf. anche CARD. AVERY DULLES, Storia dell’Apologetica, trad. it., Fede e Cultura, Verona 2010, 315-321.
11. Cf. CLAUDE GEFFRÉ, De Babel à Pentecôte. Essais de théologie interreligieuse, Cerf, Paris 2006; ID., Le christianisme comme religion de l’Évangile, Cerf, Paris 2012.
12. Cf. C. CUÉNOT, L’evoluzione di Teilhard de Chardin (1958), Feltrinelli, Milano 1962, 295-296.



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Editrice Queriniana, Brescia (UE)

- Lezione tenuta al Congresso Europeo su Teilhard de Chardin nell’aula magna della Pontificia Università Gregoriana (9/10 novembre 2012).
- Prolusione all’inizio di anno accademico dell’Istituto Teologico Calabro, Catanzaro (ITC, 21 novembre 2012). 

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