15/01/2024
551. PER UNA NUOVA TEOLOGIA A colloquio con Ilia Delio di Ted Peters
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Vi ricordate quando il vino veniva conservato negli otri o sorseggiato da borracce in pelle? No? Beh, nemmeno io! Sono abituato alle bottiglie, che generalmente butto nell’apposito bidone della raccolta differenziata dopo essermi goduto il contenuto. Un vino nuovo si merita una nuova bottiglia, giusto? Possiamo applicare questo principio anche alla teologia? Ci facciamo questa domanda perché Gesù ha detto che una nuova comprensione di Dio necessita di otri nuovi (Mc 2,22). Ho capito bene? Ne consegue che abbiamo bisogno di una nuova teologia per una situazione nuova?
Sì, è proprio così! O quantomeno così sostiene la nota teologa statunitense, Ilia Delio: «Abbiamo bisogno di una nuova teologia», ha dichiarato la docente della Villanova University (PA), «che sia in linea con le attuali conoscenze nel campo della cosmologia, dell’evoluzione e della fisica quantistica».
Il vino vecchio, ne potremmo dedurre, non è in sintonia con queste discipline odierne. Chiamate il sommelier! Chiedetegli della nuova teologia, servita in otri nuovi! Oppure, una nuova bottiglia! «Se la chiesa vuol fare qualcosa di più che limitarsi a sopravvivere, abbiamo bisogno di una nuova visione teologica, un nuovo spirito religioso, che sappia animare le nostre vite, attirarci nella comunità e ispirare passione per tutta la vita presente sul pianeta».
Parliamone dunque, ora, direttamente con Ilia Delio. Per chi non la conoscesse ancora, è una suora francescana di Washington/DC. Attualmente insegna alla Villanova University e vanta due dottorati, uno in farmacologia e uno in teologia della storia. È stata insignita del premio Templeton ed è autrice di svariati libri.

 

Ted Peters: È dai tempi di papa Leone XIII che la chiesa cattolica ha stabilito che venisse adottata, quale propria teologia ufficiale, la teologia di san Tommaso d’Aquino (1225-1274). Per lei, Tommaso è un vino vecchio in un otre vecchio? Cosa andrebbe modernizzato in una nuova teologia?

Ilia Delio: Sì, la metafisica dell’Essere di Tommaso è essenzialmente una metafisica dell’eterno presente. Non penso che la causalità primaria e secondaria siano credibili, alla luce della correlazione quantistica. La realtà quantistica postula un mondo d’interdipendenza, per cui la relazione è alla base dell’esistenza, compreso Dio. A tal riguardo, un rapporto reale non può essere unidirezionale, da Dio al mondo. Deve invece essere reciproco, specialmente se la coscienza di sé è alla base della relazione. Rispetto il genio dell’Aquinate. Tuttavia, egli non fornisce una metafisica sufficientemente solida per un universo quantistico in evoluzione.

C’è poi la questione del peccato originale e dell’evoluzione. La chiesa presuppone una posizione ambivalente, se non addirittura dualista, presentata da papa Pio XII nell’enciclica Humani Generis ai paragrafi 36 e 37 [in italiano: IV]: il corpo materiale può provenire dall’evoluzione, afferma il pontefice; ma – aggiunge – l’anima è creata immediatamente da Dio. Così, l’evoluzione è buttata a mare e rimpiazzata da una creazione speciale.

Inoltre, la chiesa si attiene alla dottrina del monogenismo (Adamo ed Eva come fonte del peccato originale) e ripudia qualsivoglia genere di poligenismo. Per Teilhard de Chardin, la dottrina del peccato originale era una camicia di forza, volta a bloccare la spinta dell’evoluzione verso una maggiore consapevolezza e complessità. Il monogenismo è incompatibile con l’evoluzione.

 

TP: Nel 2015 papa Francesco ha pubblicato l’enciclica Laudato si’ (= LS), che si occupa della crisi ambientale e dei poveri. Quali critiche si sente di muovere a questo documento?

ID: Ritengo che Francesco sia ambivalente, dal punto di vista teologico, in LS. Da un lato, riconosce un Dio che limita il potere divino affinché qualcosa di nuovo possa nascere. Dunque, l’umiltà di Dio. Il papa riconosce anche l’evoluzione. Bene! D’altro canto, scrive: «Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo» (n. 75). Ma come?

Quando si tratta dell’essere umano, il paradigma evolutivo viene abbandonato in favore di una creazione speciale e dell’intervento divino. Il pontefice afferma: «L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. […] La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, […] mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vita» (n. 81; corsivo dell’autrice). Francesco ribadisce la [già citata] posizione di Pio XII.

Sebbene Francesco si rifaccia a Teilhard de Chardin per quanto riguarda l’eucaristia – considerata come centro vivente dell’universo, «un atto di amore cosmico» celebrato «sull’altare del mondo» (n. 236) – il pontefice afferma che «il pensiero cristiano rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopra delle altre creature» (n. 119). Teilhard riteneva che il pensiero fosse la base fondamentale del fenomeno umano. Ciò significa che, per Teilhard, coscienza e materia erano due aspetti della medesima realtà. Perciò, sembrerebbe che papa Francesco sia un dualista, mentre Teilhard un olista. Se il cristianesimo vuole allinearsi alla scienza moderna (anche se potrebbe essere tardi, ormai), allora la sua metafisica deve lasciare spazio al panpsichismo o a un modello che unisca materia e mente.

Quel che mi sembra manchi in Laudato si’ è quello che oggi è noto come Big History Project, che esamina la storia dell’universo da 13,8 miliardi di anni fa, con il Big Bang, ad oggi, seguendo un approccio multidisciplinare. È la storia dell’essere umano moderno, che è emerso lentamente, dalla notte dei tempi, attraverso livelli complessi di evoluzione biologica.

Tenendo questo Progetto sullo sfondo, la teologia della liberazione mi appare troppo ristretta nel suo obiettivo generale, troppo antropocentrica; va riformulata come liberazione cosmica, se si vogliono riconciliare le strutture dell’ingiustizia con una pienezza integrale.

 

TP: Sia la teoria evolutiva che la fisica quantistica ci insegnano che il mondo naturale è in tutto e per tutto un nesso relazionale, in cui ogni cosa è interdipendente. Quale potrebbe essere il contributo di questa osservazione alla nuova teologia che lei immagina?

ID: La relazione è la cosa più importante, l’ermeneutica operativa, la base di tutta l’esistenza. Sto cercando di dar forma a un nuovo paradigma di olismo relazionale, per vedere l’esistente in rapporto al tutto; il tutto personale, il tutto comune, il tutto cosmico. Un tutto nel tutto. Dio è il fondamento trascendente dell’interezza.

 

TP: Il suo appello per una nuova teologia vale anche per le denominazioni protestanti, ortodosse e siriache?

ID: Certamente. Quella che noi chiamiamo teologia è ormai storia. Per impegnarci veramente in una teologia vitale, tutto, compreso Dio, va rivisitato alla luce dell’evoluzione e della fisica quantistica.

Trovo congeniale quel che afferma Alfred North Whitehead: «La religione deve affrontare il cambiamento nello stesso spirito della scienza. I suoi principi possono essere eterni, tuttavia l’espressione dei principi religiosi richiede uno sviluppo continuo». La teologia è rimasta indietro al tal punto [in realtà, tutte le religioni monoteiste], che ci vorrà un cambiamento epocale – una rivoluzione – per farle prendere lo stesso treno della scienza e della tecnologia.






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