14/03/2014
278. UNA OUVERTURE… APERTA, NON SEMPLICI APERTURE Sul nuovo libro di Walter Kasper, Il vangelo della famiglia (Queriniana 2014) di Alberto Dal Maso (Corso Superiore di Scienze Religiose, Fondazione Bruno Kessler, Trento)
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famiglia

La relazione introduttiva tenuta dal card. Kasper all’ultimo concistoro straordinario (20-21 febbraio 2014) fungeva da innesco alla discussione sulla famiglia in seno all’assemblea cardinalizia, in vista di un più ampio processo sinodale, e nondimeno sta attirando grande attenzione sui media, laici e non. Ora che il testo viene pubblicato nella sua completezza dall’Editrice Queriniana, provvisto di ulteriori considerazioni del suo Autore, è possibile scorgervi non solo puntuali aperture, bensì anche e soprattutto la promozione di un nuovo paradigma ecclesiale, dall’ultimo concilio ad oggi rimasto quasi sempre sopito.

Fra le aperture i media riconoscono come clamoroso lo sforzo di affrontare il dossier “divorziati risposati”. Forse altrettanto innovativa dovrebbe risultare, per esempio, l’esortazione a valorizzare il sensus fidei dell’intero corpo ecclesiale e a coinvolgere, di conseguenza, nel processo sinodale voci “atipiche” come quelle di laici, donne, famiglie, fino ad oggi paternalisticamente emarginate dal coro.

E tuttavia, ai nostri occhi, l’elemento qualificante e decisivo è l’integrazione di un orientamento dogma-centrico con una impostazione pastoral-centrica. Là dove verità dogmatica (con addentellati etici e corollari giuridici) e attenzione pastorale (con doverosi presupposti antropologici) non costituiscono l’uno l’espressione massima, l’altro quella minimale dello stesso messaggio salvifico – tanto meno due poli contrapposti –, bensì due mediazioni diverse e complementari dell’unica fede.


1. Lo stile conciliare quale nuovo paradigma

Nel quadro complessivo, tratteggiato con pochi tratti di penna, sapienti ed equilibrati, W. Kasper recupera un orizzonte biblico, storico e culturale di grande respiro.

Nel migliore stile inaugurato dal Vaticano II il volumetto sostiene la necessità di un ritorno alle fonti. Se il giovane professore di Münster insegnava che il dogma sta sotto la Parola di Dio, l’esperto cardinale ribadisce che il depositum fidei scaturisce dalla fonte del vangelo. Sì: come fiume che scorre incessante (non come melmosa palude stagnante!), irrigando e fecondando con le sue acque il corso della storia e, nel decorso, ricevendo apporti dai vari affluenti. La fonte evangelica – ecco il punto – non è primariamente dottrina fissata per iscritto né codice giuridico: è innanzitutto buona notizia, luce e forza, grazia donata. Di più: è Mistero indisponibile. Mistero che si offre in dono, oggi, nei segni sacramentali della fede.

La base di partenza non è e non può essere, dunque, una lista di insegnamenti, una sublime richiesta morale, un precetto cui tendere (o rispetto al quale studiare compromessi, puntando al ribasso); e non è nemmeno un’inchiesta socio-demografica che quantifica statisticamente un dato che fa problema. No: la radice è la fede! Non una fede intesa come “risultato” statico, astratto, come “ciò che è già stato detto su un certo tema in un certo documento”, ma una fede che prende vita e valore come dono gratuito elargito dal Dio di Gesù Cristo a un essere umano che si situa alla frontiera dell’esistenza per essere guardato e guardare il Dio vivo 1. La fede come via verso la felicità, verso la piena realizzazione dell’essere e – in una parola – verso la salvezza. Verso una salvezza che, per la maggior parte delle persone, non può non toccare la sfera dell’amore di coppia e della famiglia 2.

Il percorso seguito da Kasper, nella scansione lineare delle sue tappe principali – la famiglia nell’ordine del creato, nella ferita del peccato, nell’ordine della redenzione in Cristo, nel “frattempo” della chiesa – articola narrativamente il contesto entro il quale le singole affermazioni acquisiscono senso e validità. La stessa parola di Gesù sull’inseparabilità dell’unione coniugale (e, a maggior ragione, le successive codificazioni tradizionali di quella parola che è profetica e messianica, più che enunciazione di una “dottrina”) non può essere isolata dal contesto complessivo del messaggio sul regno. Anzi, esige che proprio nell’insieme dei misteri della fede se ne elabori ermeneuticamente il senso, «veritatem facientes in caritate» (Ef 4,15a).

La migliore esegesi di questo passaggio delicato è peraltro fornita, altrove, dallo stesso professor Kasper: «Gesù non vuole imporre dei pesi agli uomini ed esigere da loro dei primati. Nel suo messaggio della venuta del regno di Dio si tratta di ciò che Dio fa all’uomo. L’opera dell’uomo è solamente la risposta all’azione di Dio» nel senso che, siccome il vincolo che unisce uomo e donna «deriva da Dio», esso «non è un peso, ma grazia che colloca il legame della fedeltà umana nella fedeltà di Dio» 3.

A nostro avviso risiede proprio qui il nocciolo del discorso con cui Kasper ha introdotto i lavori concistoriali: tornare al centro del messaggio, all’auto-donazione che Dio fa di se stesso in Cristo mediante lo Spirito. E, a partire di lì, avere il coraggio di rileggere «propter nos homines et propter nostram salutem» il dato fondante, ponendosi in ascolto di una tradizione ecclesiale che sempre nella storia si è declinata pastoralmente, come fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo, tornando volta per volta a convertirsi, a ri-orientarsi, a ri-tararsi sull’«in principio era così».

È questo, a ben vedere, il criterio che ha generato l’indizione e la celebrazione del Vaticano II: puntare a una pastoralità che non è “dottrina a prezzo di saldo”, che non è limitatore di velocità per contenere la forza propulsiva del dogma solenne, ma che è attuazione primaria – nell’oggi ecclesiale, nelle antropologie del XXI secolo, nelle ambiguità della storia non ancora compiutamente maturata nell’éschaton – delle esigenze scandalose, dirompenti e contro-culturali del vangelo. Mantenendo un equilibrio dinamico fra «identità e rilevanza» 4. Giovanni XXIII e Paolo VI avevano operato una scelta metodologica che doveva declinarsi così: la chiesa ricominci ad attingere a quei tesori che sono l’ascolto della Parola (Dei Verbum), la celebrazione del culto (Sacrosanctum concilium), la relazione testimoniale ecclesiale (Lumen gentium), il rapporto profetico con il mondo (Gaudium et spes). Ritornare alle radici, abitare il nucleo centrale, vivere di queste quattro energie – non solo di una definizione metafisica e dogmatica – doveva e deve essere la sua conversione pastorale 5.


2. Le potenzialità inattese di un linguaggio sottovalutato: il sabato

Se si volesse realizzare una sorta di analisi differenziale fra Teologia del matrimonio cristiano e Il vangelo della famiglia per soppesare l’evoluzione del pensiero dell’Autore in questi decenni, risalterebbero senz’altro i grandi apporti dell’esperienza da lui maturata “ai vertici” in campo ecumenico e interreligioso. Temi pressoché assenti dal saggio del 1977 salgono prepotentemente alla ribalta nella relazione del 2014 (visto anche, non va dimenticato, il problema cruciale dell’accesso alla comunione sacramentale per chi ha alle spalle divorzio e nuova unione civile): si pensi alla riflessione sulla oikonomía nella tradizione ortodossa. Ci preme, tuttavia, forzare questo aspetto e puntare su un altro sviluppo che, se non esplicito, è presente in filigrana o perlomeno presupposto nello scritto più recente del card. Kasper. A partire da quell’accenno insistente al piacere della festa, al giorno di sabato.

Dagli amici ebrei dovremmo reimparare, dice a un certo punto l’Autore, la dignità del sabato, del celebrare il «giorno della famiglia»: lontani dal “tempo del mercante”, salvaguardare l’otium dedicato al riposo e alla festa, alla vicinanza e all’incontro personale, alla gioia e alla celebrazione comune. La famiglia esige tempo: scambiarsi sguardi, ascoltarsi, accompagnare, fare una sosta. C’è il tempo doveroso del servizio e dell’azione, e c’è il tempo della pazienza, dell’attesa, del gioco – tempo da devolvere senza contraccambio, e senza fretta. La benedizione del Creatore sulla feconda comunità di vita non può prescindere da questo tempo “altro”, sottratto al lavoro. Non a caso la creazione genesiaca sfocia nel settimo giorno: lì è preservata l’indisponibilità del Mistero da cui tutto ha origine, anche l’uomo e la donna e il loro amore.

Più oltre Kasper ritorna sul tema, ribadendo: «Bisogna avere tempo gli uni per gli altri e festeggiare insieme la shabbath». E allarga lo sguardo: «La preghiera comunitaria, il sacramento della penitenza e la celebrazione comune dell’eucaristia sono un aiuto per continuare a rinsaldare il vincolo del matrimonio, che Dio ha stretto intorno ai coniugi». È proprio lì – nel rimo sistolico e diastolico della piccola e grande ritualità della chiesa domestica (ecclesiola) e della chiesa universale (ecclesia) – che si coltiva quella «formazione del cuore», che poi trasuda nella vita e diviene cultura.

Forse è anche questo che il cardinale vuole suggerire: i simboli rituali – del matrimonio sacramento, innanzitutto, ma anche dell’eucaristia e degli altri gesti efficaci con cui la fede è non solo presupposta, ma «nutrita, irrobustita, espressa» (cfr. SC 59) – sono risorsa inattesa, atta a far pregustare il Mistero che consegna gli esseri umani e la famiglia al loro fondamento e alla sua forza. Prima ancora di esserci richiesti, «segni di benevolenza, di apprezzamento, di affetto, di gratitudine e di amore» ci vengono innanzitutto donati. Perché il sacramento nuziale annuncia una lettura del matrimonio non solo in termini escatologici, ma in termini di dono. Il linguaggio della celebrazione lo mette in luce: «La buona notizia di Gesù è che l’alleanza stretta dai coniugi è abbracciata e sorretta dall’alleanza di Dio». Ecco: nelle nozze cristiane è in gioco questo gratuito dono di sé da parte di Dio. «La promessa definitiva di alleanza e di fedeltà di Dio priva il vincolo umano dell’arbitrarietà umana; gli conferisce solidità e stabilità. Il vincolo che Dio stringe intorno agli sposi verrebbe frainteso se lo si volesse comprendere come un giogo; è invece la premurosa promessa di fedeltà di Dio all’uomo; è un incoraggiamento e una costante sorgente di forza per mantenere, nelle alterne vicende della vita, la fedeltà reciproca».

Questo dono, elemento primario, successivamente comporta anche un impegno (una serie vincolante di diritti e doveri, morali e giuridici) da parte dell’essere umano. Ma, se si appiattisse il sacramento sul “giogo” dei diritti e dei doveri, del dogma e della disciplina, si invertirebbe l’ordine di ciò che viene prima e di ciò che viene dopo. La logica che la chiesa annuncia nel sacramento, «per ritus et preces», è quella del donare. Nella celebrazione delle nozze cristiane veniamo convocati a fare memoria anzitutto del battesimo nel quale siamo «divenuti figli nel Figlio», e così «riconosciamo con gratitudine il dono ricevuto, per rimanere fedeli all’amore a cui siamo stati chiamati»; sediamo poi in ascolto di un Racconto, ma si tratta di una Parola che non è solo di uomini, bensì di Dio stesso; scambiamo gesti, ma assolutamente gratuiti e disinteressati, quali azioni al di fuori di una logica di possesso e di efficienza produttiva; «supplichiamo Dio Padre, perché benedica quei suoi figli, li accolga nel suo amore e li costituisca in unità»; onoriamo il consenso fra gli sposi, ma lo lasciamo benedire dall’Alto, perché appunto il consenso umano da solo non basta per il matrimonio sacramentale («…con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre…») 6.

La prima risorsa per formare il cuore e addestrare alla fede sono da sempre i tempi del giorno di festa sottratti al lavoro, le azioni simboliche del celebrare insieme, dove innanzitutto viene proclamata la logica trasgressiva del dono che ci precede e ci supera da ogni lato. Lì, nell’esperienza del Mistero trascendente, risiede per i battezzati la radice della fedeltà coniugale: non anzitutto in un precetto estrinseco. Solo uno sguardo sulla famiglia incentrato su una fede aperta al Mistero, infatti, non conduce alla polverizzazione in una miriade di rivoli secondari. E, viceversa, come di rimando, la perdurante fedeltà umana – pur nella sua limitatezza creaturale – è «la grammatica con l’aiuto della quale può essere sillabata la fedeltà di Dio, definitivamente rivelata in Gesù Cristo» 7. Di qui ogni potenzialità evangelizzante della famiglia, chiesa domestica.

Contro ogni scetticismo, con l’allora arcivescovo di Buenos Aires possiamo dire: «Lo stile è cambiato e ciò fa sì che cambi anche lo sguardo» (J.M. Bergoglio).

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Note

1. Cfr. J.M. BERGOGLIO, Dio nella città, in Munera. Rivista europea di cultura 2 (2013) 9-22, qui 16.

2. In un suo precedente saggio, Teologia del matrimonio cristiano, Kasper tentava già alla fine degli anni Settanta di integrare le diverse dimensioni del matrimonio (naturale, sociale, istituzionale, teologale…) in una approfondita concezione di tipo personale, mantenendosi equidistante tanto da una comprensione romantico-idealistica della vita a due quanto da una sopravvalutazione dell’aspetto oggettivo-istituzionale. Ne concludeva: «L’addestramento alla fede è la più importante preparazione al matrimonio che la chiesa deve compiere» (ibid., 21).

3. Ibid., 48.

4.
Cfr. W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1975.

5.
Lo segnala giustamente A. GRILLO, Oltre Pio V. La riforma liturgica nel conflitto delle interpretazioni, Queriniana, Brescia 2007, 24-26, che fa notare come le quattro costituzioni dell’ultimo concilio ecumenico non aggiungano dogmi, non formulino precetti, non condannino nessuno. La grandezza del Vaticano II risiede nel fatto che, proprio in quanto pastorale, non voleva essere “meno”, ma casomai essere “altro”: voleva ritornare al fondamento, ripartire dall’inizio, dai dati elementari «dei quali possiamo avere una esperienza in molti modi e per vie plurime».

6. Cfr. il Rito del Matrimonio (CEI, edizione 2004) e, per questa interpretazione come dono, A. GRILLO, Riti che educano. I sette sacramenti, Cittadella, Assisi 2011, 126-132.

7. W. KASPER, Teologia del matrimonio cristiano, Queriniana, Brescia 1979, 27. E, poco sopra: solo perché sono già stati accettati definitivamente e incondizionatamente, uomo e donna possono accettarsi l’un l’altro in forma definitiva e incondizionata.

 

Walter Kasper
IL VANGELO DELLA FAMIGLIA

Editrice Queriniana, Brescia 2014

Giornale di teologia 371
pagine 80

 





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