20/10/2019
441. NÉ MUTANTI NÉ SUPEREROI: TESTIMONI DI CRISTO OGGI 8 domande a... Mauritius Wilde, "Uscire allo scoperto"
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Proponiamo di seguito una nostra intervista a p. Mauritius Wilde, in occasione della recente pubblicazione del suo libro: Uscire allo scoperto. Perché mai nascondere la propria fede? p. Mauritius, monaco benedettino dell’Abbazia tedesca di Münsterschwarzach, è attualmente priore del S. Anselmo a Roma. Tiene regolarmente incontri su temi di spiritualità, ed è autore di diversi libri. In Uscire allo scoperto, egli incoraggia a testimoniare la propria fede e invita i suoi lettori e lettrici a seguirlo in un percorso per nutrire e arricchire la spiritualità personale di ciascuno di noi. Il testo ideale per vivere questo mese straordinario della missione.

 1. Padre Wilde, lei racconta, nelle primissime pagine, l’episodio dal quale nasce questo libro. Perché lei ha ritenuto davvero così essenziale «avere il coraggio di mostrarsi», al punto da scriverne un libro? Qual è, cioè, il contributo che le preme offrire nell’attuale contesto ecclesiale e civile?

In realtà, non so se sono molto coraggioso. Per la maggior parte sono un introverso. I monaci sono spesso così. Però, ho imparato quanto possa essere liberatorio uscire da se stessi ed esprimersi, soprattutto nelle cose così importanti e intime, come la nostra fede. Inoltre ho percepito che, come cristiani, siamo diventati tutti un po’ – se posso dire – pigri riguardo alla nostra testimonianza. Diamo per scontato che la chiesa c’è, che la fede c’è, e sempre ci saranno. Non è quello che la storia ci insegna. Sebbene Gesù ci abbia promesso che ci sarà sempre un popolo raccolto attorno a lui, anche a noi spetta proseguire l’evangelizzazione e la missione. Con la nuova serenità che abbiamo acquisito con il concilio Vaticano II, che anche fuori dalla chiesa ognuno può trovare la salvezza, abbiamo perso un po’ il mordente per rendere testimonianza, per fare missione. Dunque, nel mio libro ho cercato di indicare un modo in cui poter evangelizzare oggi, in una società in gran parte secolarizzata, in un modo adeguato, anche se non siamo tanto coraggiosi. Volevo sapere che cosa può motivarci, che cosa può darci il coraggio.

 
2. A chi si rivolge specificamente il suo libro? Mentre lo scriveva, in monastero, forse lei pensava a qualche destinatario-tipo in particolare, o a qualche situazione reale di vita vissuta?

Mi rivolgo a tutti coloro per cui la fede è importante. Tutti coloro che amano la fede però ancora non vedono la necessità di uscire allo scoperto. Tutti coloro che sentono profondamente che mancherà il cuore della società, se manca la fede. Mi rivolgo a tutti i laici che vogliono che anche i loro bambini e nipoti portino la fede nel cuore, e mi rivolgo ai membri del clero per incoraggiarli nel loro sforzo di evangelizzazione. Innanzitutto, il libro si rivolge a quanti vogliono crescere spiritualmente, in Cristo, rispondendo alla chiamata di Gesù. Nel libro non si trovano strategie oppure tecniche per l’evangelizzazione. Lo scopo è il rapporto vivo con Gesù una volta che ci si è proiettati all’esterno. Volevo comunicare quanto e come può essere arricchita la nostra vita con Cristo se usciamo da noi stessi e condividiamo la fede.


3. Se dovesse riassumere il messaggio del libro in una sola frase, una sorta di slogan: quale sarebbe?

Esci da te stesso! Anche tu lasciati prendere dalla curiosità di trovare Cristo nell’altro, nello sconosciuto.

 
4. Con chi le piacerebbe discutere delle tematiche che il suo testo affronta? Cosa si aspetta che ne sortirebbe?

Prima di tutto, non vorrei soltanto discutere, vorrei ascoltare. Vorrei invitare a condividere le proprie esperienze con la testimonianza. È contagioso condividere le proprie storie. Ce ne sono tantissime. La chiesa dovrebbe essere, o potrebbe essere, il luogo dove si condivide ciò che abbiamo sperimentato “fuori”. Al ritorno dei settantadue discepoli, la gioia di Gesù era data dalla condivisione delle loro esperienze. Possiamo fare lo stesso anche oggi.


5. Lei, benedettino tedesco, vive da qualche tempo a Roma, nel cuore della cattolicità, essendo oggi priore di S. Anselmo. Quale differenza di stile trova, nel modo di “mostrarsi” cristiani in una società laica e secolarizzata, fra un Paese dell’Europa centrale-settentrionale e un Paese mediterraneo? Cosa abbiamo da imparare, in particolare, noi cattolici italiani, dalla cultura e dalle tradizioni religiose del suo Paese d’origine?

Delle differenze ci sono, in effetti. La Germania è molto secolarizzata. Il mio paese d’origine è anche segnato fortemente dalla Riforma. L’atteggiamento luterano: «Resto fermo nei miei propositi, non posso fare altrimenti», «Questa è la mia posizione, non posso smentirla», è una buona base di come si possa testimoniare senza nascondersi in un gruppo, nella società. Oggi manca la disponibilità a testimoniare personalmente, senza aver paura delle conseguenze. In Italia, mi sembra, la cattolicità è nei geni della maggioranza. È qualcosa che non sempre si esprime, ma c’è. Sono in Italia soltanto da tre anni, all’incirca, quindi non posso veramente giudicare. Però, sento che ci sono tutt’e due: sia un’identificazione profonda con la fede cristiana o, comunque, un accordo tacito, sia una certa distanza e, in parte, una sfiducia crescente. Gli italiani hanno sempre saputo guardare, nella storia della chiesa, nei secoli, alla differenza tra le buone cose e le cose cattive: perciò si può stare tranquilli. Però la secolarizzazione cresce anche qui. I Paesi cattolici non sono immuni dalla perdita della fede, esattamente come si vede negli altri Paesi europei. 


6. La testimonianza cristiana può incarnarsi in un “massimo” oppure in un “minimo” di manifestazioni esteriori. Per usare la colorita metafora di un teologo italiano, potrebbero esistere delle comunità-Rambo («fatte di supereroi con capacità eccezionali») e delle comunità-Zombie («fatte di morti viventi che destano più compatimento che timore»). A suo avviso, nell’attuale contesto sociale e culturale, quale dei due estremi è più pericoloso, per la comunità di fede: l’esibizionismo esagerato oppure l’intimismo esagerato? E, soprattutto: come trovare volta per volta il giusto punto di equilibrio fra i due estremi, il troppo di Rambo e il troppo poco degli Zombie?

I benedettini cercano l’equilibrio. L’equilibrio però è un lavoro. È un’attività. È un’arte. Il problema è che sempre meno gente vuole restare nella “via media”. È più facile essere estremi. Vedo questo sia nella società, sia nella chiesa che fa parte della società. Attenzione: non è che vorrei favorire la mediocrità; parlo piuttosto di uno stato forte “in mezzo”. Cioè ai vari Rambo, il mio libro dice: «Ascolta, prima! Rispetta l’altro! Sii pronto a convertire anche te stesso, non soltanto l’altro». Agli Zombie, invece, il mio libro dice: «Svegliatevi! È il Signore che chiama. Volete lasciare gli altri senza le benedizioni della fede cristiana?».


7. Lei è anche editore, oltre che autore: come vede il presente e il futuro dell’editoria religiosa nel Vecchio Continente? Riuscirebbe, anche qui, a tratteggiare a grandi linee un confronto costruttivo fra Germania e Italia?

Le case editrici sono importantissime, sebbene questi non siano tempi facili. Però, puntare alla qualità delle pubblicazioni in un mondo in cui ognuno può facilmente scrivere e pubblicare ogni cosa – la tecnologia oggi lo consente molto più di ieri –, è un grande servizio per la chiesa e la società. È quality management. Poiché leggere è diventato difficile per molte persone, i podcast sono diventati un modo in cui si possono trasmettere le cose della fede. Del resto, come insegna san Paolo, il credere viene dall’ascoltare. Suggerirei un confronto anche con gli Stati Uniti, dove ho vissuto per sei anni. I miei podcast (in inglese) sono molto ascoltati.

In Germania le case editrici gestite dai religiosi hanno un vantaggio: possono unire la teologia con la vita quotidiana, vissuta. La fede del futuro nei mondi secolarizzati deve cominciare con l’esperienza religiosa. I lettori cercano libri che aiutino nella vita pratica. I lettori hanno fiducia nei religiosi. In Germania si vendono specialmente i libri con un solido contenuto pratico-spirituale.


8. Per concludere, se lei permette, un’ultima domanda più personale: che cosa sta leggendo, attualmente? Quali sono i libri che lei tiene sul suo comodino, in questi giorni?

Ce ne sono tanti. Se soltanto avessi il tempo di leggerli tutti! In preparazione dell’insegnamento al nostro Ateneo, leggo la vita di san Benedetto negli scritti di papa Gregorio Magno. Avendo fatto la conoscenza di una monaca della comunità monastica Mar Musa, in Siria, sto leggendo la storia del gesuita Paolo Dall’Oglio. E sto leggendo anche i libri dell’autore tedesco Peter Modler, in cui si descrive la differenza nello stile di leadership fra donne e uomini.






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