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Fare a meno di Dio?
Anselm Grün, Tomáš Halík

Fare a meno di Dio?

Se fede e incredulità si cercano

Prezzo di copertina: Euro 24,00 Prezzo scontato: Euro 22,80
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Collana: Spiritualità 178
ISBN: 978-88-399-3178-8
Formato: 13,2 x 19,3 cm
Pagine: 288
Titolo originale: Gott los werden? Wenn Glaube und Unglaube sich umarmen.
© 2017

In breve

A cura di Winfried Nonhoff

«I dubbi mettono in guardia la mia fede dall’adagiarsi in un sistema di credenze. La costringono a formula re in modo sempre nuovo le sue vitali domande di senso. Purificano cioè di continuo la mia fede dalle sue proiezioni e concezioni» Anselm Grün

«Anche il dubbio che non ha il coraggio di dubitare di se stesso, che respinge gli stimoli che provengono dal mondo della fede, potrebbe finire nel cinismo e nell’amarezza, o perfino cadere nella trappola del fondamentalismo e del fanatismo» Tomáš Halìk

Descrizione

In Occidente facciamo volentieri a meno di Dio: ci sentiamo maggiorenni, indipendenti. Per i non credenti è positivo che Dio venga finalmente detronizzato. Per i credenti più critici – quelli che non si trascinano in una fede abitudinaria, senza mordente – diviene invece pressante la domanda su chi abbia occupato quei troni, rimasti vuoti. Non lontano da noi, poi, dei combattenti disposti a tutto si richiamano con ostinazione a un Dio che scende in battaglia al loro fianco per spargere terrore su di un mondo degenere e infedele. La contraddizione è stridente e suscita tanti interrogativi.
Gli autori indagano allora qui temi e atteggiamenti che caratterizzano il dubbio e la mancanza di fede oggi. Lo fanno mettendosi a nudo e offrendo uno spaccato della loro storia personale: portano nella riflessione le situazioni più disparate. All’incredulità accordano un significato purificatore per la fede. Una certa dose di scetticismo, cautela, reticenza nel professare la propria fede può essere salutare là dove certezze granitiche e inattaccabili divengono un’arma in mano a quanti si mascherano da credenti.
Ogni fede che incorpora al proprio interno una mancanza di fede evita forzature e diventa più solida e matura.

Recensioni

Può il dubbio essere, a suo modo, alimento della fede? Se sì, in che senso e come? Questo è l'assunto di base di un volume, impegnativo sotto molti punti di vista eppure molto interessante per chi non si accontenta di facili risposte. Ne sono autori il benedettino tedesco Anselm Grün, teologo e ideatore di una feconda serie di percorsi di guarigione interiore, e il presbitero ceco Tomas Halík, filosofo e psicanalista, in collaborazione con Winfried Nonhoff.

È un libro che accorda alla mancanza di fede un significato purificatore per la stessa fede, così come ogni fede che incorpora in sé la mancanza di fede diventa a sua volta consolazione e resistenza davanti all'abuso dell'uno o dell'altro aspetto. «Ogni uomo ha in sé la fede e la mancanza di fede ... Colui che non abbraccia in sé la mancanza di fede, viene disorientato dalla mancanza di fede degli altri. Ma chi l'accetta in sé, comprende anche i non credenti»(A. Grün).


A. Passiatore, in La Vita in Cristo e nella Chiesa 1/2019, 62

Mentre in Occidente si è tentati di "sbarazzarsi" facilmente di Dio trascinandosi in una fede abitudinaria senza mordente, altrove dei combattenti si richiamano a un Dio che scende in battaglia con loro per colpire un mondo che ai loro occhi appare perverso e infedele. Non si è allora sorpresi dal desiderio di fare davvero a meno di questo Dio? Il libro dà spazio a queste e altre salutari tensioni, indaga temi e atteggiamenti che caratterizzano il dubbio e la mancanza di fede oggi, o la sua radicalizzazione fondamentalista. Gli Autori, il tedesco Anselm Grün e il ceco Tomas Halìk, portano in questo dibattito situazioni molto diverse e offrono anche uno spaccato della loro storia personale. Solo chi conosce per esperienza propria l'abbandono di Dio potrà, infatti, raccontare le gioie del credere, e renderne appassionati altri "cercatori".
In Rogate Ergo 4/2018

«Ogni uomo ha in sé la fede e la mancanza di fede. Per me, la croce è il simbolo dell'abbraccio. Quando incrocio le braccia sul petto, abbraccio in me sia la fede che la mancanza di fede. Abbracciare la mancanza di fede mi fa trattenere dal combattere i non credenti. Colui che non abbraccia in sé la mancanza di fede, viene disorientato dalla mancanza di fede degli altri. Ma chi l'accetta in sé, comprende anche i non credenti». Credo che queste parole di Anselm Grün spieghino bene il significato del titolo nonché l'afflato del volume A. Grün - T. Halík, Fare a meno di Dio? Se fede e incredulità si cercano (Querinana, Brescia 2018).

In una linea simile, Joseph Ratzinger scriveva: «Come il credente sa di essere continuamente minacciato dal non credente, e deve avvertirlo come la propria tentazione perenne, così per il non credente la fede resta una minaccia e una tentazione per il suo mondo, che appare chiuso una volta per sempre».

Finché siamo in vita, rimarremo continuamente nel chiaroscuro della storia e la nostra sarà una situazione che Blaise Pascal ha ben descritto: «C'èabbastanza luce per coloro che desiderano vedere e sufficiente oscurità per coloro che hanno disposizione contraria» (Pensieri n. 430).

Oltre all'intervista finale condotta da Winfried Nonhoff con i due autori, il libro raccoglie l'indagine di Anselm Grün e di Tomas Halík sul tema della non credenza, dei dubbi della fede e sulla reciproca compenetrazione dei due fenomeni dove l'uomo - credente o non – si trova sempre e simultaneamente simul fidelis ed infidelis.

Il libro accorda a una onesta mancanza di fede un significato purificatore della stessa. Nel primo capitolo, Halík analizza la parabola dell'uomo folle di Nietzsche evidenziando che egli «è venuto innanzitutto a provocare gli atei, per fare del loro ateismo di massa, che non ha problemi e neanche se ne fa, un problema». «L’uomo folle di Nietzsche non è venuto a confutare la fede in Dio e ad annunciare l'ateismo, ma porta con sé piuttosto una diagnosi dell'ateismo, mostrandone il lato tragico e le tragiche conseguenze. Dietro al mistero della scomparsa di Dio, che nessuno cerca più, si trova un crimine più grande di tutti: l'assassinio di Dio» che porta all'annientamento dell'uomo. Scriverà infatti Nietzsche in Così parlò Zarathustra: «L’uomo è qualcosa che deve essere superato».

La battaglia che il cristianesimo deve condurre non è contro l'ateismo autocritico, ma contro l'apateismo e contro l'ateismo che si erge a religione: «Solo quando l'ateismo smette di essere critico e autocritico e diventa una "religione concorrente", la fede cristiana deve condurre una battaglia spirituale contro di esso, poiché fa parte del suo servizio a Dio e all'uomo il dovere di difendere la libertà di una persona dall'oppressione degli idoli».

I dubbi non minano la fede, non mi portano dalla fede alla mancanza di fede, ma approfondiscono la mia fede rendendola più matura e ponderata. Il rischio per la fede non sono le domande, ma la mancanza delle stesse. Il rischio più grande contro la fede e la forma più subdola di ateismo - tra l'altro la più diffusa oggi - è l'apateismo ovvero «l'indifferenza nei confronti della fede e delle domande - ma anche delle risposte - che essa comporta». È quella sorta di «agnosticismo pigro», come la mette Grün. È il vuoto che allontana da Dio, non la carica interiore. Halík racconta che il filosofo polacco e sacerdote cattolico Josef Tischner ha detto una volta di non aver ancora incontrato qualcuno che avesse smesso di andare in chiesa per aver letto Il capitale di Marx, aggiugendo: «lo però conosco molti che non vanno più in chiesa perché non riuscivano più a sopportare le prediche stupide del loro parroco».


R. Cheaib, in Theologhia.com 3/2018

Nel prologo Il dio morto Tomàs Halìk, sacerdote, filosofo e teologo di Praga, partendo da Nietzsche, si chiede: «Quale Dio è morto?»; è morta una certa immagine di Dio. Nietzsche, «il più religioso tra quelli che non credono in Dio», forse è alla ricerca di un Dio che «liberi e che scateni nell'uomo il coraggio, la forza creativa e la responsabilità». L’ateismo critico aiuta la fede dei cristiani, e può esistere un dialogo corretto tra fede e mancanza di fede, tra fiducia e dubbio: è il nucleo di questo libro.

Anselm Grün nel capitolo 1, L'anima conosce l'ateismo afferma che la fede nell'esistenza di Dio convive con i dubbi; cita Pascal, il quale dice che «con la ragione non si può dimostrare né la fede in Dio e neanche Dio stesso» e che, comunque, occorre fare una «scommessa», prendere una decisione. Grün si sofferma sui vari ateismi: l'ateismo che nasce dal dolore per una perdita improvvisa di una persona cara; un'altra forma di ateismo si ha quando si accetta l'idea di Freud che Dio è un'illusione nella quale ci si rifugia per sentirsi più protetti in questo duro mondo.

Il filosofo Halìk parla della sua vita giovanile durante il regime comunista a Praga, della scoperta della fede durante la «primavera di Praga» e durante la repressione successiva: molti preti perseguitati, la scoperta della Bibbia, l'ordinazione clandestina al sacerdozio. Dopo la caduta del regime comunista è rimasto fedele al collegamento tra sacerdozio e professione di psicoterapeuta. Dopo momenti di «buio della fede» ritorna in lui la fede profonda in Cristo. Tra i convertiti alcuni credono in Dio in quanto creatore della bellezza dell'Universo, altri vengono toccati dalla poesia dei Salmi, altri dalla persona di Cristo e dal suo insegnamento.

Il testo si sofferma, poi, sull'ateismo del dolore: di fronte alle esperienze dolorose, al male nel mondo. Non fermarsi al buio assoluto del Venerdì Santo, ma pensare alla luce della Resurrezione: «sono la fede, la carità e la speranza i tre modi con cui si esprime la nostra pazienza di fronte al silenzio di Dio».

Il capitolo 5°, di Grün, è intitolato Fiutare Dio. Gli uomini in ricerca fiutano le tracce del mistero. Secondo Paolo ogni uomo può riconoscere Dio nelle opere della creazione: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). La ricerca di Dio è continua, dura tutta la vita. Chi sono io? Che cosa è la vita? Che cosa è l'uomo? Che cosa o chi è Dio? Lo stupore nelle parole e nelle opere di Gesù produce una forza divina. «Noi ci apriamo al mistero divino che risplende nell'uomo Gesù, nella creazione e nel nostro cuore». Nel cap. 9, Il cammino comune a credenti e non credenti, la Bibbia ci racconta delle storie meravigliose che ci mostrano il mistero di Dio. Viene esaminata la parabola del figliol prodigo. Il giovane che vuole lasciare la casa e vivere subito intensamente somiglia molto ai giovani di oggi. Egli però vive smodatamente e finisce tra i porci. Ora gli appare tutto senza senso; rientra in se stesso e si mette in cammino verso il padre. E ritrova l'abbraccio, il perdono e la vita. Il padre si rivolge con affetto anche al figlio maggiore. Se paragoniamo il figlio minore a un ateo, la parabola vuoi dirci che quello è nostro fratello. Nel dialogo con l'ateismo non dobbiamo disprezzare la vita, che riteniamo dissoluta, degli atei, ma approfittare con gratitudine di quello che ci dona la fede, senza esprimere giudizi severi sugli altri.

Il capitolo 10°, di Halìk, Il non credente che è in me: il mio amico; qui l’autore nota che la Bibbia non presenta la fede sotto forma di definizioni, ma sotto forma di storie. Il battesimo e la fede sono come un seme che cresce per la qualità del terreno e per la cura che ne abbiamo. Anche le persone agnostiche talvolta pregano, sia nei momenti della malattia sia nei momenti di gioia e di gratitudine. Facciamoci amico il non credente che è in noi.

Nell'Epilogo Padre Anselm esamina il discorso di Paolo all'Aeròpago sul «Dio ignoto». Anche oggi gli atei rifiutano quel dio che trovano nel loro ambiente, ma sono aperti a un dio ignoto, a un dio che nessuno conosce. Quando parliamo di resurrezione, come Paolo, molti incontrano difficoltà a comprendere; ma, come afferma C.G. Jung, «questa fede corrisponde pure all'anelito più profondo degli atei stessi». Cristiani e atei possono gioire insieme dell'arte, di ogni dipinto, di ogni statua, e di un brano musicale. Nella musica si ode sempre l'Indicibile, il Trascendente.

Conclusione: si è parlato della «tragicità e dei vantaggi dell'ateismo, ma dando rilievo anche all'incertezza e alla bellezza della fede». «Una buona battaglia della fede non deve significare la vittoria sul dubbio già in questo mondo. Di regola finisce solo nell'abbraccio di Colui che ci attende oltre il limite di tutto l'immaginabile». Bellissimo libro.


M. Dicanio, in Rocca 6/2018, 61

I due autori provano a indagare i temi e gli atteggiamenti che caratterizzano il dubbio e la mancanza di fede oggi. In Occidente l'affermazione prepotente dell'individualismo più esasperato ci ha insegnato a renderci sempre più autonomi rispetto a Dio o nella migliore delle ipotesi a vivere un credo abitudinario e senza mordente. Dal Medio Oriente ci arriva invece un segnale diverso ma non per questo meno preoccupante e degenere. Dio diventa espediente e giustificazione di atti di violenza e di terrore. Diventa allora lecito provare a porsi degli interrogativi. Chi occupa al momento il trono rimasto drammaticamente vuoto? Chi vive nel modo più autentico una fede incarnata? Si può provare a rispondere partendo dalla nostra semplice e fragile umanità.

È giusto vivere degli attimi di sconforto e perpiessità in un mondo pieno di contraddizioni. Non può sorprenderci più di tanto se la sfiducia tende a prendere il sopravvento e se per interpretare lo squallore e la desolazione di un'esistenza così tormentata si ricorre alla metafora di un Dio morto.

La morte di Dio è celebrata nella liturgia, è un tratto caratteristico della religione cattolica. Proviamo a ripartire dal senso ultimo della frase pronunciata da Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). La fede cristiana insiste sull'esperienza della morte di Dio per venire incontro al mondo e alle sue esperienze di smarrimento. Non si può stigmatizzare il senso di abbandono proponendo una religiosità sempre in grado di convincere con concetti già definiti. La fede deve sempre passare da un'esperienza di purificazione.

La certezza a volte diventa un'arma per coloro che si nascondono e si trincerano dietro la religione per strumentalizzarla. Per raccontare le gioie pasquali del credere bisogna umilmente aver fatto esperienza del Venerdì santo.


R. Baldoni, in Consacrazione e Servizio 1/2018, 87

L’Occidente fa volentieri a meno di Dio. Per i non credenti è positivo che Dio venga definitivamente detronizzato. Per i credenti più critici, quelli che non si trascinano in una fede abitudinaria, senza mordente, diviene invece pressante la domanda su chi abbia occupato questi troni, rimasti vuoti.

Gli autori del volume indagano temi e atteggiamenti che caratterizzano il dubbio e la mancanza di fede oggi. Lo fanno mettendosi a nudo e offrendo uno spaccato della loro storia personale: portano nella riflessione le situazioni più disparate. All'incredulità accordano un significato purificatore per la fede. Una certa dose di scetticismo, cautela, reticenza nel professare la propria fede può essere salutare là dove certezze granitiche e inattaccabili divengono un'arma in mano a quanti si mascherano da credente.
In La Voce del Popolo 23 novembre 2017