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Il Padre nostro in discussione
Thomas Söding (ed.)

Il Padre nostro in discussione

Prezzo di copertina: Euro 22,00 Prezzo scontato: Euro 20,90
Collana: Giornale di teologia 419
ISBN: 978-88-399-3419-2
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 240
Titolo originale: Führe uns nicht in Versuchung. Die Herausforderung des Vaterunsers
© 2019

In breve

Come può essere compresa oggi la teologia inscritta nel Padre nostro? Sia la formulazione tradizionale sia la nuova traduzione – nessuna delle quali è esente da problemi – interpellano la fede, l’esegesi biblica, la teologia, la pastorale.

Con i contributi di: Michael Beintker, Christian Frevel, Winfried Haunerland, Isolde Karle, Julia Knop, Eckhard Nordhofen, Johanna Rahner, Thomas Söding, Magnus Striet, Robert Vorholt, Gunda Werner.

Descrizione

Nel Padre nostro chiediamo: «Non abbandonarci alla tentazione». È giusto esprimersi così? Oppure la formulazione tradizionale – «Non ci indurre in tentazione» – dovrebbe restare, come provocazione per il nostro modo di pregare e di pensare? La posta in gioco è delicata.
Le voci degli esperti chiamate a raccolta in questo libro consentono di riconsiderare criticamente l’attestazione biblica, di approfondire il senso dell’agire di Dio nella storia e il senso della richiesta d’intervento del Padre che l’uomo avanza nella preghiera, di sottoporre ad esame la prassi liturgica, di testare le relazioni ecumeniche.
Che cosa vuol dire propriamente “tentazione”? Che cosa significa esservi “indotti” da Dio? Come va compresa questa strana richiesta del Padre nostro formulata in termini negativi?
Si tratta di riscoprire l’Oratio dominica – “la preghiera del Signore” per eccellenza – per noi che vogliamo manifestare la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità.

Recensioni

Il cambiamento della traduzione liturgica della Preghiera del Signore, a partire dalla nuova edizione del Messale romano in lingua italiana, ha generato lunghe discussioni fra chi ritiene che la versione «e non abbandonarci alla tentazione» sia fuorviante rispetto al precedente «e non ci indurre in tentazione», calco letterale del testo latino.

Se pensiamo che in altre nazioni il Padre nostro sia una acquisizione pacifica, siamo completamente fuori strada. In particolare un analogo cambio di traduzione da parte della Conferenza Episcopale tedesca ha aperto a un confronto a tratti aspro.

Da qui nasce la raccolta di studi sulla sesta richiesta della Preghiera del Signore, a cura del biblista tedesco Thomas Söding. L'antologia di saggi contenuti nel volume, edito in italiano dalla Queriniana, approfondisce questo aspetto dal punto di vista biblico, teologico, morale, spirituale, liturgico, ecumenico.

Di taglio accuratamente scientifico, il testo si presenta come una lettura piuttosto impegnativa, adatta a quanti hanno una solida base teologica e biblica.


In La Vita in Cristo e nella Chiesa 6/2023, 63

Nella Chiesa da tempo si è sollecitata la riflessione sulla sesta domanda del Padre nostro «Non ci indurre in tentazione», perché venga riformulata in modo più consono alla sensibilità contemporanea e più coerente con la predicazione di un Dio misericordioso.  L’approvazione della terza edizione del Messale Romano ha formaliz­zato un cambiamento, con la traduzione «E non abbandonarci alla ten­tazione». Altre proposte erano state ventilate, come quella di p. Pietro Bovati in questa rivista: «Non metterci alla prova» (cfr Civ. Catt. 2018 I 215-227). Altre ancora erano state formulate da studiosi e persino appro­vate da episcopati.

Thomas Söding, professore di Esegesi del Nuovo Testamento a Bo­chum (Germania), raccoglie 11 interventi teologici – cattolici ed evangeli­ci –, che sottolineano i pro e contro di una modifica linguistica, ma soprat­tutto approfondiscono le ragioni di questo delicato cambiamento. Non si tratta infatti di un problema letterario – la traduzione è corretta (compresa quella latina: Et ne nos inducas in tentationem); il verbo ha un significato attivo: «condurci dentro»; il sostantivo greco peirasmos significa proprio «tentazione, tentativo, esame, prova» –, ma teologico. C’è sullo sfondo l’ir­risolto problema del male nel mondo e della sofferenza innocente. Da un lato, la lettera di Giacomo (cfr Gc 1,12-15) esclude che sia Dio a tentare l’uomo al male; e tuttavia Dio «tenta», nel senso che mette alla prova i suoi servitori, facendoli sentire in pericolo e sfidandoli a combattere per rafforzarli. Dall’altro lato, Gesù al Getsemani invita i discepoli a vegliare «per non entrare in tentazione», per non scivolare nella pigra indifferenza o nel tremendo rinnegamento. Tacendo in certi momenti della storia, Dio stesso provoca sia la sfiducia in lui, sia la testarda supplica: «Non smettere di liberarci dal male».

Sono due donne – la cattolica Julia Knop, di Erfurt, e l’evangelica Isolde Karle, di Bochum – a focalizzare la perplessità decisiva. La corre­zione proposta («Non abbandonarci alla tentazione») suona più gradevole alla sensibilità moderna, ma riduce la complessità misteriosa e abissa­le di Dio, il quale è contemporaneamente giusto e misericordioso. Dio espone gli esseri umani alla possibilità del fallimento – il male che Egli certamente non fa, però lo permette – e, d’altra parte, proibisce loro di metterlo alla prova, mormorando contro di lui ed esigendo da lui un bene materiale come in una negoziazione ricattatoria («Facci questa grazia, e noi ti crederemo»).

Gesù, insegnando il Padre Nostro, ci invita a chiedere al Padre di la­sciarci determinare dalla libertà divina (non viceversa), facendoci condurre nelle sconosciute regioni di un Regno escatologico (cui alludono gli altri versetti della preghiera: «Venga il tuo regno, sia santificato il tuo nome»), dove si è risparmiati dagli esiti nefasti della tentazione solo se si prega Dio di non cadervi irreparabilmente (cfr Mt 26,41). Di fronte alla possibilità di essere abbandonato, nel tempo della prova, dal principio buono del mon­do, il credente invoca il Padre: «Non metterci in crisi oggi, non portarci a disperare in te dinanzi alla croce di Cristo!» (p. 139). Il male, che Dio non crea né manda, rimane comunque nella sfera del potere divino, che tutto abbraccia nella sua mano e che, offrendosi a noi nel Figlio, «si è esposto al massimo rischio del male» (p. 197).

Il Padre Nostro non è un trattato dogmatico, ma è una preghiera di supplica, che orienta il desiderio dell’orante e ne provoca una maturazione. Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno, ma vuole che glielo chiediamo, affinché la nostra volontà si conformi alla sua volontà, che non coincide a priori con la nostra, perché egli non è un idolo. Dio ha pensieri e vie che non sono i nostri: ci contesta e si rende irreperibile ai cuori ostinati. Di lui però cono­sciamo e crediamo la tenerezza, al punto da domandargli di «liberarci dal male». Quando l’ora delle tenebre si avvicina, noi imitiamo l’atteggiamen­to del Figlio, il quale avverte la lontananza dell’Abbà, esprime lealmente le proprie angosce, chiede umilmente che l’amaro calice sia allontanato, ma non attende passivamente una soluzione magica, gioca invece tutto sulla preghiera d’invocazione.


P. Cattorini, in La Civiltà Cattolica 4088 (17 ottobre/7 novembre 2020) 193-194

Di grande attualità è il volume a più voci curato da T. Söding, Il Padre nostro in discussione (Queriniana, pp. 240, 22 euro), tra le uscite più recenti dell'apprezzata collana «Giornale di Teologia». Come è noto, l'approvazione della terza edizione del Messale romano prevede l'introduzione di alcune piccole modifiche nella versione italiana della preghiera del Signore e sulla rete si sprecano i giudizi sommari su questa scelta, spesso animati da contorte dietrologie e partiti presi.

Sebbene gli autori dei saggi contenuti nel volume siano meno coinvolti emotivamente nella questione, essendo tutti docenti di facoltà teologiche di lingua tedesca, era inevitabile che molta attenzione ricadesse sulla penultima petizione e la delicata traduzione di ne nos inducat in tentationem, che di fatto occupano due terzi delle pagine.

Lo scopo del volume non è sostenere una interpretazione a scapito di un'altra ma invitare i lettori a riflettere sulla complessità del concetto teologico di prova/tentazione evidenziando i rischi di semplificazioni e accomodamenti secondo i gusti personali. Con un po' di pazienza il lettore scoprirà tante notizie su questa preghiera che spesso vengono ignorate, a partire dall'uso dell'appellativo con cui ci rivolgiamo a Dio, chiamandolo «Padre» cioè Abbà, senza che per forza si debba pensare ad un vezzeggiativo infantile.


G.L. Carrega, in La Voce e Il Tempo 47 (22 dicembre 2019) 13

Il Vangelo nel Vangelo: è questo il Padre nostro nella sua essenza. Esso, infatti, è una preghiera profondamente ebraica che gli stessi ebrei possono riconoscere come autentica testimonianza religiosa di un ebreo vissuto più di duemila anni fa di nome Gesù. Una preghiera che ha suscitato negli ultimi tempi un dibattito sulla sua sesta richiesta: «Non ci indurre in tentazione». Si è chiesto, infatti, l'attuale pontefice se un padre può fare queste cose. A tale interrogativo rispondono voci cattoliche ed evangeliche, consapevoli della sfida di riscoprire la preghiera che nostro Signore volle insegnare a chi gli chiese come ci si dovesse rivolgere al Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
D. Segna, in Il Regno Attualità 22/2019, 672

Nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre Nostro, è giusto continuare a recitare la formula tradizionale (la famosa sesta domanda): «Non ci indurre in tentazione»? Oppure optare per quella che diventerà definitiva nella traduzione italiana del Messale romano, dopo l'approvazione della Santa Sede: «Non abbandonarci alla tentazione»? E soprattutto quando pronunciamo questa invocazione che accomuna i credenti di ogni confessione cristiana domandarsi: Dio induce veramente in tentazione? Potrebbe farlo? Lo farebbe? E ancora: che cosa vuoI dire propriamente "tentazione" nel mondo di oggi?

A tutto questo cerca di rispondere - in una chiave più teologico-filosofica che pastorale - il bel saggio Il Padre nostro in discussione curato dall'affermato teologo tedesco Thomas Söding (Queriniana, pagine 240, euro 22). Il volume ha il pregio di raccogliere alcune delle voci più autorevoli e anche teologicamente più promettenti della Germania, da Johanna Rahner a Jiulia Knop, da Christian Frevel a Robert Vorholt; scopo principale di questa corposa pubblicazione è quello di scandagliare non solo le sfumature più interne della preghiera che Gesù ha consegnato al suo "piccolo" gregge ma di riscoprirne l'attualità e la sua fecondità alla luce della nostra fede, speranza e carità.

In queste dense pagine affiorano tutti gli interrogativi dell'uomo comune attorno alla recita ordinaria del Padre Nostro ma si accenna anche a come pensatori dello spessore di Kant, il teologo protestante Karl Barth ai Padri della Chiesa affrontarono questo tema nodale che, come spiega magistralmente il professor Söding, è la «spina nella carne della religiosità cristiana».

Una messa alla prova quella della tentazione - da parte di Dio a giudizio del teologo Eckhard Nordhofen - che ci aiuta a capire se veramente crediamo nel Signore e vogliamo essere salvati. Ma non solo. «Leggiamo in Schopenauer – scrive a questo proposito lo studioso – che la preghiera: "Non mi indurre in tentazione" dice: "Non farmi vedere chi sono". In effetti qualcuno arriva a conoscersi com'è soltanto nella prova». La tentazione di cui parla il Padre Nostro, un testo mai «innocuo» - è la spiegazione degli esperti -«è radicale ma è anche seduzione e prova».

Architrave di questo saggio è soprattutto quello di approfondire il senso dell'agire di Dio nella storia (di fronte anche al male) e il significato più intimo della richiesta d'intervento del Padre che l'uomo avanza nella preghiera. Si capisce bene la tesi suggestiva avanzata proprio da Julia Knop che intravede nell'invocazione «Non ci indurre in tentazione» la richiesta a Dio da parte dei cristiani di sentirsi preservati dal perdere la loro fiducia nelle promesse di Dio, «perché sentono quanto sia debole la loro forza di resistere nella fede». Altro spunto significativo indicato dagli autori è quello di custodire il Padre Nostro per come viene recitato in modo uguale e unitario da tutti i cristiani del mondo perché rappresenta il primo "test" di un autentico ecumenismo.

Leggendo infine questo corposo testo si fa propria la parafrasi sul "Padre Nostro" di Karl Rahner: «Preservaci dalla colpa e dalla tentazione che in fondo è una sola: di non credere in Te e nell'incomprensibilità del tuo amore».


F. Rizzi, in Avvenire 17 novembre 2019, 26