«Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!». Potrebbe essere questa citazione del Vangelo secondo Marco (Mc 12,7) il punto di accesso piú adeguato per presentare L’erede di Leonardo Paris, teologo laico, docente di teologia dogmatica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini” di Trento. Il volume costituisce la seconda parte di un ideale trittico, la cui prima tavola è rappresentata dalla fortunata opera Teologia e neuroscienza. Una sfida possibile del 2017 (oltre mille copie vendute), mentre la terza sarà – immaginiamo – un volume di taglio prevalentemente trinitario. L’erede della parabola, che il biblista cattolico Meier – spesso citato da Paris – considera come una parabola davvero “gesuana”, vale a dire pronunciata effettivamente da Gesú, diventa una chiave di comprensione della vicenda di questo concreto e singolare uomo di Galilea, autenticamente libero sia di fronte a Dio, sia di fronte agli uomini e alle donne del suo tempo.
Quella che Paris propone, con questo studio audace, è una “cristologia della relazione” o, meglio, delle relazioni. Non sono affatto casuali, pertanto, i numerosi riferimenti a Lacan e a Recalcati (e non solo a loro) e gli intrecci con la sua precedente opera, in cui l’A., in qualità di teologo, si è cimentato in un serrato confronto con le scoperte spiazzanti delle neuroscienze in merito all’identità del soggetto, alla coscienza e alla libertà dell’uomo.
Lo stile adottato dall’A. è particolarmente curato, il testo è provvisto di essenziali note a piè di pagina, che non appesantiscono la lettura, e ogni capitolo è dotato, alla fine, di schede biografiche ragionate, molto interessanti e utili. Nell’Introduzione l’A. disvela il suo ambizioso progetto teso a rappresentare la storia di Gesú come «una storia di libertà» (p. 8), valorizzando a questo fine – in modo pressoché inusitato per quanti discettano di teologia – la dinamica narrativa.
Una storia di libertà, quindi, quella di Gesú, che deve essere narrata a modo di racconto, in dialogo con le strategie narrative tipiche del romanzo e, al contempo, secondo “due fondamentali prospettive teologiche”. La prima riguarda i “motivi della morte” di Gesú e costituisce la prima parte del volume: si tratta dei capitoli da 4 a 7 che iniziano tutti con il lemma “verso la morte”, a ribadire l’intento di indagare le ragioni della morte di Cristo. Tali ragioni tengono insieme, in una sorta di tensione (Spannung) drammatica, la vita e l’omicidio di Gesú e ruotano attorno a “tre nuclei forti” del suo messaggio e del suo operato: quello che Gesú ha detto e fatto attorno al tema del Padre (cap. 4), dei figli (cap. 5) e dei fratelli (cap. 6) porta con sé possibili “motivi” di condanna a morte. Il capitolo 7 – sempre nell’ambito dell’investigazione sulle cause della morte – si sofferma sul “caso”, che è una dimensione costitutiva del vivere dell’uomo di ogni tempo: e se Gesú fosse morto “per caso”? Chiedersi se le cose sarebbero potute andare diversamente da come sono andate è un interrogativo per nulla irriverente e rinvia a un tratto caratteristico della cristologia guardiniana: per il pensatore italo-tedesco, infatti, Cristo avrebbe dovuto essere accolto dai suoi. E invece…
La seconda fondamentale prospettiva che guida il modo di procedere dell’A. – precisamente nella seconda parte del volume – è quella dell’eredità, costituita da tre rilevanti capitoli che rappresentano una sorta di rilettura trinitaria del “fenomeno” Gesú Cristo: l’erede (cap. 8), il Padre dell’erede (cap. 9) e lo spazio degli eredi (cap. 10), cioè lo Spirito. Erede-eredità è una categoria certamente biblica (oltre alla parabola marciana, essa è attestata nella lettera agli Ebrei) e Paris la preferisce ad altri titoli cristologici (tipo il “Figlio” o il “Signore”) «per costringerci a guardare al rapporto di Gesú con il Padre e con i fratelli in modo piú complesso» (p. 9). Tale chiave interpretativa dell’identità di Gesú – che non vuole essere esaustiva, come viene esplicitamente dichiarato – ha il pregio di esprimere in termini piú efficaci il coinvolgimento reciproco, da un lato, del Padre e del Figlio e, dall’altro, dei figli-fratelli (cioè tutti gli uomini e le donne) con il Padre, con il Figlio e tra loro. Anche in questo caso, l’A. arricchisce la categoria biblica erede-eredità delle acquisizioni psicanalitiche, soprattutto lacaniane, che trovano in essa le potenzialità per esprimere in una forma piú adeguata la dinamica fondativa e reciprocamente coinvolgente di soggetto e alterità.
I primi tre capitoli del volume mettono in chiaro le basi del lavoro. Nel primo capitolo, Alla ricerca di Gesú, si delineano alcune scelte attorno a tre “polarità” che per l’A. sono decisive e rinviano anch’esse, in certo modo, alla guardiniana “opposizione polare” (der Gegensatz): cristologia dall’alto – cristologia dal basso; soteriologia ascendente – soteriologia discendente; gratia sanans – gratia elevans. Paris è dell’avviso che una cristologia che voglia onorare le sfide del nostro tempo e mettere al centro la libertà del Figlio (p. 243) non possa che prediligere rispettivamente la cristologia dal basso, la soteriologia ascendente e la gratia elevans. Sempre nel primo capitolo sono delineati anche i quattro Gesú (reale, storico, narrato e dogmatico) sulle cui tracce l’A. desidera porsi: non si tratta di figure alternative, quanto piuttosto complementari e in dialogo l’una con l’altra, reciprocamente. Nel secondo capitolo – I motivi di un omicidio – l’A. compie un’ulteriore scelta di campo e individua nell’indagine attorno alle cause della morte l’approccio narrativamente (e teologicamente) piú adeguato per iniziare oggi qualsiasi “discorso su Gesú” (cristo-logia). Al lettore è chiesto di guardare in modo nuovo le vicende che portano alla sua morte, non riconducendo immediatamente ogni cosa allo sguardo retrospettivo degli evangelisti, che collocano i fatti del Nazareno in un quadro prevalentemente teologico. Il terzo capitolo – La storia di un uomo libero – mette al centro dell’attenzione del lettore il tema della libertà: alla morte Gesú non arriva come “sequestrato” dagli eventi, ma da uomo libero, in un intreccio di relazioni e di eredità che egli assume e, sino alla fine, riprende in modo creativo (l’A. parla di “ripresa creativa”). Qui il concetto di libertà è messo in dialogo con le istanze contemporanee ed è svincolato dalle paludi del dibattito dogmatico classico attorno alla peccabilità dell’uomo-Dio.
Qualora volessimo tentare una valutazione critica dell’opera, per quanto concerne gli aspetti che possono apparire per lo meno discutibili, segnalo la scelta della morte (e della ricerca dei motivi della morte) come punto focale per rileggere l’intera vicenda di Gesú. Trattandosi di un luogo comune tra gli autori della “terza ricerca del Gesú storico”, forse era preferibile una maggiore “indipendenza” da tali approcci, i quali escludono sistematicamente la resurrezione dal loro campo di indagine. Come annuncia a ogni piè sospinto il Nuovo Testamento, è proprio la resurrezione ciò che fa la “differenza” tra la “storia” di Gesú e quella di molti altri sedicenti messia del tempo. In secondo luogo, sembra necessiti di ulteriore approfondimento il rapporto – ancora una volta – tra “Gesú storico” e “Gesú dogmatico”: se, come denuncia l’A., è vero che il contributo della ricerca sul Gesú storico entra in minima parte nella dogmatica, è altrettanto vero che si tratta di due piani differenti, che non possono essere né separati ma neppure sovrapposti o confusi.
Ciò detto, lo sforzo dell’A. appare certamente meritorio, se non altro per il coraggio di tentare un dialogo con le domande e le categorie dell’uomo d’oggi. Non si tratta, infatti, di un’opera divulgativa ma di un’opera di concetto che cerca di entrare nel merito delle questioni che stanno a cuore alla cultura contemporanea. Da questo punto di vista, il dialogo con la psicanalisi appare particolarmente fecondo. Anche la scelta della categoria “erede” appare decisamente innovativa: nei manuali di cristologia essa è generalmente negletta, a vantaggio di altre, considerate piú “classiche” e sicure. Si deve poi riconoscere che l’attenzione al Gesú storico e la scelta preferenziale per la cristologia dal basso attuata dall’A. non ci consegnano una cristologia “debole”, in cui il Cristo si confonde tra le nebbie di un passato senza memoria. Tutt’altro. Quella che emerge è una cristologia fortemente trinitaria, in cui Cristo è davvero il Figlio, l’erede del Padre, che rende partecipi della sua eredità, nello spazio dello Spirito, gli uomini e le donne di tutti i tempi. L’A. riesce, inoltre, ad articolare una “cristologia delle relazioni” dinamica e coinvolgente, che vede nella relazione il luogo della costruzione della propria identità. Se questo è vero sul versante delle relazioni intratrinitarie, lo è anche su quello delle relazioni di Gesú con gli uomini e le donne del suo tempo e anche delle nostre relazioni oggi: la libertà è lo spazio cui Cristo ci affida. Siamo cosí chiamati anche noi a scegliere, da uomini liberi e adulti, se rifiutare la sua eredità (anche violentemente, come i vignaioli omicidi della parabola marciana) oppure accettarla da autentici fratelli e figli del Padre.
A. Magoga, in
Studia Patavina 3/2021, 576-579