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Una cristologia delle religioni
Gerald O’Collins

Una cristologia delle religioni

Prezzo di copertina: Euro 28,00 Prezzo scontato: Euro 26,60
Collana: Giornale di teologia 437
ISBN: 978-88-399-3437-6
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 280
Titolo originale: A Christology of Religions
© 2021

In breve

«In una prosa lucida e accessibile, O’Collins offre un contributo unico alla teologia cristiana delle religioni, grazie alla sua attenzione alle varie dimensioni della cristologia» Douglas Harink.

«Questo libro dà nuovo slancio al dialogo interreligioso, percorrendo una strada – la “svolta cristologica” – imprescindibile, incredibilmente mai imboccata finora» Amos Yong.

Descrizione

Gerald O’Collins assume la persona e l’opera salvifica di Cristo come chiave per organizzare i temi che comunemente vengono trattati dalle teologie della religione. Il gesuita australiano, inforcando la lente della cristologia, in questo suo ultimo libro esamina questioni che, proprio perché decisive, non devono passare in secondo piano: l’importanza della teologia della croce per pensare gli “altri”; l’impatto del sacerdozio di Cristo sugli uomini e le donne di tutti i luoghi e di tutti i tempi; l’efficacia di una preghiera per gli “altri”, ispirata dall’amore; la natura della fede, disponibile per questi “altri” non-cristiani.
Per O’Collins una cristologia delle religioni così impostata produce una visione allargata del potere salvifico di Cristo per tutti i popoli del mondo. In più, aiuta a sbloccare l’attuale fase di stallo che frena la teologia delle religioni, incanalandola su promettenti direttrici di ricerca e contribuendo a dare nuova linfa al pensiero su soggetti religiosi “altri” da noi.

Recensioni

Si tratta dell'edizione italiana di A Christology of Religions, scritto nel 2018 dal gesuita Gerald O'Collins, che ha come finalità il superamento di alcuni ambiti controversi all'interno della teologia delle religioni. L'autore è persuaso che, per superare lo stallo in cui sembra essersi adagiata, la teologia delle religioni debba accogliere dei temi cruciali della cristologia, i quali sono stati trascurati da eminenti teologi cattolici del Novecento, che si sono interessati alla teologia delle religioni, tra tutti il gesuita tedesco Karl Rahner e il gesuita belga Jacques Dupuis.

A tal motivo, O' Collins propone di prendere in considerazione sette temi, che si articolano in altrettanti capitoli in cui è diviso il libro. I primi cinque di ambito strettamente cristologico: l'incarnazione come cura degli altri e condivisione delle sofferenze di tutti (cap. 1); l'intercessione di Cristo come sommo sacerdote (cap. 2); la presenza universale di Cristo e dello Spirito Santo (cap. 3); l'unione della Chiesa a Cristo nell'intercessione amorevole per tutti gli esseri umani (cap. 4); la fede degli "altri" sofferenti (cap. 5). A questi temi se ne aggiungono altri due, che sono come naturali corollari: il discernimento della presenza di Cristo e dello Spirito (cap. 6); il dialogo e le relazioni con i musulmani e gli ebrei (cap. 7).

Secondo la visione del gesuita australiano, un'autentica cristologia delle religioni non può non includere la croce, perché essa esprime la presenza universale di Cristo in tutti coloro che soffrono, tanto da poter asserire: uhi crux, ibi Christus! Tale mistero, poi, allarga l'orizzonte della riflessione sul ruolo del sommo sacerdozio di Cristo nei riguardi delle altre religioni. Anche questo tema è poco sviluppato nella classica trattazione della teologia delle religioni. L’autore, invece, sulla scorta di quanto annunciato dalla lettera agli Ebrei, ritiene che il sacerdozio di Cristo continui ad avere un effetto sull'intero genere umano. Il sacerdozio di Cristo assume così un carattere universale, addirittura cosmico. Questo è possibile perché ogni uomo è caratterizzato da un'esistenziale sacerdotale. Prendendo in riferimento tanto Rahner, il quale parla dell'esistenziale soprannaturale, quanto John Henry Newman, il quale sostiene la presenza di un principio sacerdotale nella coscienza di ogni uomo, O'Collins ritiene che attraverso l'esistenziale sacerdotale, vale a dire la coscienza, ogni uomo è orientato a partecipare al sacerdozio di Cristo.

La partecipazione universale del genere umano alla preghiera di mediazione di Cristo sommo sacerdote apre anche la riflessione sugli effetti della preghiera della Chiesa nei riguardi delle altre religioni. Poiché l'intercessione cristiana si attua nel nome di Gesù, ed è partecipazione al suo sacerdozio, i fedeli mediante la preghiera per gli altri esercitano una sorta di mediazione di salvezza, quasi come se la loro cura nei riguardi di tutti gli esseri umani favorisca la presenza di Cristo nelle diverse esperienze religiose o prepari gli altri credenti ad accogliere interamente l'annuncio del Vangelo.

La presenza universale di Cristo è resa possibile mediante l'azione dello Spirito. Pertanto, la cristologia delle religioni implica anche una pneumatologia delle religioni, poiché è lo Spirito che rende autentica la presenza universale di Cristo, secondo quanto affermato dall' Ambrosiaster: Omne verum a Spiritu Sancto!

O'Collins individua alcuni criteri con i quali discernere la presenza di Cristo nelle altre esperienze religiose. Recependo gli insegnamenti dei padri della Chiesa, del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, egli dimostra che è possibile rintracciare degli elementi di grazia in altre tradizioni religiose, come il buddhismo, l'induismo, l'islam. Innanzitutto, bisogna prima domandarsi se tutte le esperienze religiose siano autentiche. Per fare ciò vengono proposti alcuni criteri per definire se un'esperienza religiosa sia realmente autentica. Un'esperienza è autenticamente religiosa quando manifesta una certa profondità, modifica le azioni e abitudini successive, si apre alla speranza, e quindi anela alla salvezza e, infine, sviluppa l'amore responsabile per gli altri.

Una volta appurato che ci si trovi dinanzi ad un'autentica esperienza religiosa, ci si potrà chiedere se è possibile riconoscere delle vestigia Christi. Ne vengono individuate quattro. La prima è relativa alla percezione che l'uomo ha della sua natura e del creato, cioè la consapevolezza da parte del credente di essere stato creato ad immagine di Dio e che tutto il creato, con la sua bellezza, parla di Dio e pone l'uomo in relazione con il divino. La seconda è la somiglianza con gli elementi centrali del messaggio cristiano. La terza è la presenza di quei semi del Verbo crocifisso, ovvero la persuasione che ogni sofferenza umana ingiustamente subita rimanda al Cristo crocifisso. Infine, il quarto criterio prende avvio dall'assunto che la risurrezione di Cristo manifesta l'autocomunicazione divina con il volto trinitario; quindi, nella misura in cui le altre esperienze religiose percepiscono in un certo modo il Dio unitrino che crea e sostiene il mondo, allora queste posseggono degli elementi cristologici.

O'Collins conclude il suo lavoro con l'auspicio che venga istituita una settimana di preghiera per l'unità interreligiosa, sulla traccia di quanto già propongono le Nazioni Unite per l'armoniosa convivenza di tutte le tradizioni religiose.


F. Staffa, in Asprenas 4/2022, 506-507

Gerard O'Collins, autore di Una cristologia delle religioni, è un gesuita australiano, ricordato da molti suoi allievi della Pontificia Università Gregoriana di Roma come brillante docente di teologia, che attualmente insegna presso la University of Divinity di Melbourne e presso l'Università Cattolica d'Australia (Melbourne). Con il suo libro egli apre piste nuove di lavoro per chi è interessato alle teologie della religione, facendo presente piu volte che manca una cristologia delle religioni fatta per essere condivisa – cosi dovrebbe essere – da tutti i cristiani. Nella Introduzione egli afferma: «Alcuni hanno sviluppato una teologia "cristocentrica" delle religioni, distinta da una teologia "teocentrica" o da una "ecclesiocentrica" delle religioni. Ma non mi è mai capitato di incontrare una "cristologia delle religioni» (p. 5).

Di fatto nessuna di esse opera sulla base diun quadro cristologico completo o di una cristologia integrale alla quale appartengono temi fondamentali quali «la teologia della croce; la portata universale del ministero di Cristo sommo sacerdote; l'efficacia della sua amorevole preghiera per "gli altri"; la mediazione della sua rivelazione (e non solo della salvezza) e la corrispondente fede accessibile agli "altri''» (p. 6). Proprio di questo egli intende occuparsi: proporre una cristologia cristiana, piuttosto che specificamente cattolica, attenta sia al magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, sia al pensiero di teologi anglicani, protestanti e cattolici; in particolare Karl Rahner e Jacques Dupuis (cui lo legava una profonda amicizia) con i quali dichiara di sentirsi maggiormente in sintonia. Di questi ultimi due teologi, pur tenendo conto delle rispettive differenze di pensiero, utilizza l'impostazione teologica, con l’intenzione tuttavia di andare oltre, verso "una cristologia delle religioni" in chiave sacerdotale, proponendo cioè nuovo materiale, quasi a modo di "complemento", col quale aprire nuovi cantieri di lavoro per una teologia delle religioni incentrata su Gesù Cristo.

Il libro si compone di 7 capitoli, dei quali il primo tratta il tema dell'incarnazione e il secondo quello del sacerdozio di Cristo inteso come intercessione per tutti. Tramite l'incarnazione, il figlio di Dio è divenuto «sacerdote per tutti» (p. 66). Si tratta di un principio importante che consente di poter dire che tutti gli esseri umani, a cominciare da Adamo, in quanto "i figli" dell'unico Dio e Padre «per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose» (Ebrei 2,10), sono destinati a trovare in Cristo "sommo sacerdote" colui che intercede presso il Padre per la liberazione dal male e dal potere della morte.

Per comprendere il ragionamento di O'Collins sul valore del sacerdozio di Cristo occorre rileggere quei passi della Lettera agli Ebrei nei quali è contenuta una apertura agli "altri" e ai seguaci delle altre religioni, fondata appunto sul «"prìncipio sacerdotale'' o "esistenziale sacerdotale" di cui tutti gli esseri umani partecipano» (p. 88). Egli lo riprende da John Henry Newman il quale lo intendeva come "coscienza umana" universalmente presente nei figli di Adamo, consistente nell'essere "positivamente precondizionati dall'interno" a partecipare del sacerdozio di Cristo mediante il battesimo. Anche per O'Collins «tutti gli esseri umani sono, sin dal loro concepimento e dalla nascita, già sacerdoti (così come profeti e re/pastori). L'esistenziale sacerdotale suggerisce il modo in cui l'azione sacerdotale di Cristo li ha formati ancor prima che abbiano la possibilità di rispondere a ciò che quell'azione porta loro nell'offerta della grazia di Dio» (p. 89). La teologia delle religioni o, meglio, la cristologia delle religioni, «sarebbe notevolmente arricchita se vi fosse inserito il "principio sacerdotale'' o l'"esistenziale sacerdotale" che onora l'attività sacerdotale di Cristo per il bene di tutti gli esseri umani» (p. 94).

A questo aspetto non avevano prestato la dovuta attenzione né K. Rahner, che «non rifletté mai sulle altre religioni e sui loro seguaci alla luce del sacerdozio di Cristo» (p. 55), né J. Dupuis che «ha esaminato la "mediazione" esercitata da Cristo, ma non qualificò questa mediazione come "sacerdotale"» (p. 59). Essa invece costituisce una nuova base per una cristologia delle religioni "aperta" ossia inclusiva di tutti quei temi (la croce, la solidarietà tra i sofferenti e altri), che toccano gli esseri umani. In particolar modo, il tema della croce: «Oltre a identificare gli esseri umani, la croce identifica Dio e mostra dove Dio continua a essere trovato: nella vita e nel corpo di quelli che sono calpestati e oppressi» (p. 40).

È cosi anche per il tema del futuro ultimo degli esseri umani: la presenza universale del Cristo, crocifisso e risorto, e dello Spirito santo ci dice che viene data «a tutti, qualunque sia la fede di cui vivono, la luce rivelatrice e la forza salvifica di cui hanno bisogno affinché possano godere per mezzo del Cristo risorto la vita eterna con Dio» (p. 117).

Su queste basi O'Collins colloca la preghiera di intercessione (cap. 4) come una forma di partecipazione della funzione di Cristo sommo sacerdote. Essa «costituisce una mediazione di salvezza e getta un po' di luce sulla cristologia delle religioni» (p. 126) di cui si sono occupati E Sullivan, J. Dupuis e G. D'Costa ma senza un affondo specifico sulla preghiera di petizione per "gli altri", distinta da quella per se stessi; oltre a essere «un modo di amare gli altri» (p. 138) e «un ministero sacerdotale» (p. 139), la preghiera di intercessione favorisce il cambiamento di atteggiamento (causalità efficiente) in coloro che pregano ed è anche un modo attraverso il quale Dio associa «i battezzati all’opera divina del prendersi cura di tutti "gli altri"» (p. 143).

Il tema della forza della preghiera di intercessione per "gli altri" assieme a quello della «fede degli "altri" sofferenti» (cap. 5) sono argomenti nuovi da affidare alla ricerca dei teologi della religione. Soprattutto quello della fede degli "altri", già trattato da J. Dupuis, P. Griffits e altri ma come tema della salvezza (mediazione) e non della divina rivelazione che li raggiunge. Esso richiede di riprendere in mano il decreto Ad gentes che dice delle cose significative sulla presenza della rivelazione in coloro che non hanno ancora accolto la fede in Gesù Cristo. In modo simile va interpretata la lettera agli Ebrei la quale, anziché proporre un certo "livellamento" sul contenuto della fede, offre piuttosto motivi per parlare di diverse «variazioni nella fides quae» (p. 190) e per immaginare un'apertura alla fides qua che consente di avvicinare la fede degli "altri" a quella dei seguaci di Gesù. Un esempio tra tutti è quello di Abramo e Sara: la loro obbedienza (fides qua) a Dio «li avvicinò alla fede dei cristiani impegnati»; per questo si può dire che «fu molto di più la sua obbediente fides qua che non la sua fides quae a rendere Abramo "nostro padre nella fede" e il "padre nella fede" per tutti i credenti» (p. 191).

Negli ultimi due capitoli del libro, l'A. si sofferma sui due compiti importanti di una cristologia delle religioni: discernere la presenza di Cristo e dello Spirito (cap; 6) e favorire la "cultura dell'incontro" in particolare attraverso il dialogo e le relazioni con i musulmani e gli ebrei (cap. 7). Quanto al primo, O'Collins, attingendo a Giustino, al Vaticano II e a Giovanni Paolo II, indica quattro criteri che aiutano a identificare esperienze che suggeriscono la presenza e l'azione del Cristo risorto e dello Spirito santo: «I criteri della profondìtà, delle appropriate conseguenze nel comportamento, dell'orientamento cristologico e pneumatologico e laforma trinitaria»(p. 217). Si tratta di esperienze che sono «autenticamente religiose» che «mettono i seguaci delle diverse religioni veramente in contatto con Dio e, in senso religioso, in contatto con gli altri esseri umani» (p. 201) sebbene si debba dire che mai potranno «esprimere in modo pieno e definitivo l'esperienza di Dio che ha raggiunto il suo insuperabile culmine in Gesù Cristo» (p, 218).

Infine, l'esplorazione dell'esperienza religìosa che maggiormente avvicina e accomuna i figli di Abramo è quella delle relazioni tra cattolici e musulmani e tra cattolici ed ebrei, di cui si sono occupati numerosi documenti e iniziative dal Vaticano II a oggi.

Il libro di O'Collins, oltre a esprimere una profonda sensibilità per il significato universale dell'opera sacerdotale di Cristo, peraltro dall'A. già espressa in molti altri contributi sulla cristologia, sull'incarnazione e su Gesù Cristo Redentore, e a porre in intelligente evidenza i lavori di alcuni teologi delle religioni, dei quali valorizza il pensiero ponendolo alla base di ulteriori percorsi di ricerca, può considerarsi una nuova traccia per una "cristologia delle religioni''. A fondamento di tutto vi è l'intima convinzione che all'opera sacerdotale di Cristo, ampiamente trascurata dai teologi delle religioni, debba essere dato «un posto di primo piano», per una «qualsiasi cristologia delle religioni» (p. 10).

In tal modo O'Collins riapre la ricerca su un argomento che a seguito della Dominus lesus (2000) sembra avere subito uno stallo indubbiamente poco utile alla teologia delle religioni.


G. Zambon, in Studia Patavina 1/2023, 163-166

È apparso nel 2021, nel «Giornale di teologia» della Queriniana, questo nuovo volumetto di G. O’Collins, classe 1931, per lunghi anni docente alla Pontificia Università Gregoriana e tuttora attivo in patria. Il testo si colloca nella scia di molti altri suoi contributi e soprattutto, per il lettore italiano, di due testi pubblicati dalla medesima editrice: Salvezza per tutti. Gli altri popoli di Dio (gdt 352) e Gesù nostro redentore. La via cristiana alla salvezza (BTC 145). Il gesuita australiano dichiara nell’«Introduzione» (e riprende nell’«Epilogo»: p. 255) il suo intento: «aiutare a superare un certo stallo che colpisce alcuni ambiti controversi all’interno della teologia delle religioni» (p. 6) elaborata in ambito cattolico; a questo scopo egli – più che tornare su questioni già dibattute negli scorsi decenni (fino appunto all’impasse) – propone di approcciare la materia attraverso temi «che appartengono a una cristologia integrale» eppure sono stati poco o per nulla sfruttati in tal senso: «la teologia della croce, la portata universale del ministero di Cristo sommo sacerdote; l’efficacia della sua amorevole preghiera per “gli altri”; e la mediazione della sua rivelazione […] e la corrispondente fede accessibile agli “altri”» (Ivi).

I sette capitoli, dunque, affrontano e intrecciano – con andamento non del tutto lineare – le tematiche annunciate (e altre ancora): la teologia della croce, nella veste di una riflessione su «L’incarnazione come cura degli “altri” e condivisione delle sofferenze di tutti» (c. 1), cui poi si connetterà quella su «La fede degli “altri” sofferenti» (c. 5); il sacerdozio di Cristo (c. 2: «L’intercessione di Cristo sommo sacerdote per tutti») e la partecipazione a esso della Chiesa (c. 4: «La chiesa si unisce a Cristo nell’intercessione amorevole per tutti gli esseri umani»); una «teologia trinitaria delle religioni» (p. 10) incentrata su «La presenza universale di Cristo e dello Spirito Santo» (c. 4), su cui si torna in seguito per fornire criteri atti a «Discernere la presenza di Cristo e dello Spirito» (c. 6, forse non molto chiaro nella strutturazione interna); infine un capitolo di taglio piu storico su «Il dialogo e le relazioni con i musulmani e gli ebrei» negli ultimi decenni (c. 7).

Il testo è certamente apprezzabile per lo stile scorrevole, e chi conosce altre opere di O’Collins ne ritrova i pregi (le dotte citazioni letterarie, l’ampio ventaglio delle fonti, la capacità di sintesi e altre ancora); tra i difetti, sotto questo profilo, si segnala invece la ripetitività di certe affermazioni (ad es.: la ribadita e compiaciuta novità di alcuni temi affrontati o le continue puntualizzazioni sul fatto che ci si riferisca non solo ai credenti di altre fedi, ma anche a chi non ne professa alcuna) o di taluni stilemi didascalici (le sintesi costruite con «ubi […] ibi […]»).

Quanto ai contenuti, occorre forse ribadire che l’impressione di una certa parzialità nella scelta dei temi e nelle singole posizioni va compresa alla luce della ricerca di temi che siano nuovi (per cui l’Autore omette del tutto questioni su cui ha scritto altrove) e che, di conseguenza, siano anche capaci di «smuovere le acque» della teologia delle religioni. È presto, ovviamente, per dire se questo obiettivo possa dirsi raggiunto. Da parte nostra segnaliamo solo alcune delle domande, in parte anche critiche, che il testo in effetti fa sorgere.

Quanto aiuta il frequente (e già accennato) riferirsi, insieme, a «coloro che professano “altre” fedi (o nessuna del tutto)» (p. 6)? È effettivamente rispettoso nei confronti delle singole altre religioni o della complessa costellazione della non credenza (come si esprimeva il compianto confratello e collega dell’Autore, M.P. Gallagher)? Dal punto di vista cristologico: nell’enfatizzare il valore «per tutti» di vari momenti e aspetti del ministero di Gesù (c. 1) non ne viene sistematicamente messa in ombra l’ebraicità? Le parabole sono davvero «racconti narrati per tutti», così che facilmente «in ogni luogo e per ogni persona […] possono far nascere intuizioni su Dio e sul regno di Dio» (p. 30)? L’Autore non indulge a una sorta di dolorismo (cf. pp. 45.163.194), forse anche a motivo della propria interpretazione della Lettera agli Ebrei «come una fonte per comprendere la fede degli “altri” esseri umani sofferenti» (p. 255; «gli ebrei»: probabile refuso)?

Riflessioni sul «carattere corporeo della presenza» attuale di Cristo (che sarebbe «già “qui” per noi, ogni volta che incontriamo il corpo del mondo creato, le diverse personificazioni del regno di Dio […] il corpo della chiesa, e il corpo delle religioni mondiali»: p. 110) o sull’ipotesi per cui anche «”altri” fedeli (e coloro che non professano nessuna fede religiosa del tutto) percepiscono il Dio unitrino che crea e sostiene il mondo» (p. 217), possono davvero essere di stimolo e orientamento alla teologia cristiana delle religioni?

Quali che siano le risposte a queste o ad altre domande, non si può non condividere la speranza dell’Autore: che le une e le altre possano «infondere nuova vita nella riflessione sugli “altri” credenti» (p. 255).


F. Quartieri, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 52 (2/2022), 550-551

La Teologia delle religioni (TR) è una disciplina che si propone di indagare in maniera rigorosa e scientifica il fenomeno del pluralismo religioso (PR). Al suo interno si possono enumerare diverse branche, come la teologia comparata, la teologia interculturale, la teologia interconfessionale e la teologia interreligiosa o teologia del dialogo interreligioso, che, adattando le specifiche metodologie di ricerca, perseguono lo stesso obiettivo, quello, cioè, di comprendere la presenza delle altre religioni alla luce della rivelazione definitiva di Gesù Cristo.

Questa pluralità di ricerche, secondo Gerard O'Collins, deve essere però completata da un procedimento che, a partire dai grandi temi della cristologia, esamini la posizione delle altre religioni rispetto al mistero della persona di Gesù. Per colmare questa lacuna il gesuita australiano propone Una cristologia delle religioni,aggiungendo così una importante voce al recente dibattito teologico sul PR. L'intenzione dell'A. risiede nel collocare il tema del PR in un quadro cristologico completo e, quindi, nel riflettere concretamente su come la teologia della croce, la portata universale del ministero di Cristo sommo sacerdote, l'efficacia della sua amorevole preghiera per gli altri, la mediazione della sua rivelazione e la corrispondente fede accessibile agli altri possano contribuire a superare una certa impasse da cui fatica ad uscire il pensiero della teologia delle religioni su alcune tematiche particolarmente delicate.

La prima parte del saggio formula un assioma secondo il quale fuori della croce non v’è cristologia delle religioni:la croce di Gesù manifesta infatti non solo la peccaminosità di ogni uomo, ma anche la vicinanza di Dio alle sofferenze umane; la morte di Gesù fra due criminali simboleggia la solidarietà di Dio con l'umanità dolente. La TR deve prendere in considerazione questa comunione di Dio con ogni sofferenza umana per affermare la presenza universale di Cristo dove l'uomo viene colpito dal male. In stretto collegamento con questa affermazione O'Collins sviluppa una riflessione sul ministero sacerdotale di Gesù, passando sotto la lente di ingrandimento la Lettera agli Ebrei,al fine di cogliere la portata universale della sua opera mediatrice.

Senza entrare nella specificità del sacerdozio del Figlio dell'uomo e della sua differenza rispetto al ministero levitico, si dimostra come la sua assunzione della condizione umana l'ha reso idoneo per l'espiazione dei peccati dell'intera umanità. Il riferimento a Melchisedek serve per ribadire la superiorità del sacerdozio cristico su quello levitico e la sua intramontabile validità. L'obbedienza che costituisce la condizione per accedere alla salvezza operata da Gesù (Eb 5,9) corrisponde, secondo l'A., alla fede che è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede». Per questa via la mediazione sacerdotale di Cristo può raggiungere ogni uomo che, al pari dei personaggi biblici dell'Antico Testamento (elencati in Eb 11,1-12,1), riconosce la divina origine del mondo e si affida alla promessa di Dio sul fine ultimo della creazione. Questa concezione aperta della fede, pur non facendo alcuna menzione di Cristo, appare sufficiente per essere graditi al cospetto di Dio (11,6): «La salvezza mediante la fede aperta è offerta a tutti gli esseri umani e offerta sulla base del sacerdozio – che comporta il sacrificio di sé – di Cristo, anche se essi non sono (o non sono ancora) in grado di seguirlo in consapevole obbedienza nel pellegrinaggio di fede» (71).

Per mettere in rilievo la funzione sacerdotale di Gesù a beneficio di tutti viene poi presa in considerazione la Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium,laddove il testo parla di Cristo che «unisce a sé tutta l'umanità e se l’associa nell'elevare questo divino canto di lode» (SC 83). Il carattere universale dell'incessante azione di Cristo a favore di tutto il suo corpo cosmico si rivela in modo peculiare nella celebrazione eucaristica, attraverso la quale l'intera creazione, unita all'offerta del Figlio, ritorna al Padre. Questa presenza di Cristo, che pervade l'intero mondo creato, si realizza in virtù dell'azione dello Spirito Santo, la cui Persona è sempre implicata in ogni manifestazione universale del Salvatore: il regno di Dio (1), l'ultimo Adamo (2), Verbo e Sapienza di Dio che permea ogni realtà (3), il Logos incarnato, solidale con ogni essere umano sofferente (4), il Signore risorto, datore di vita eterna (5), il Pastore che cura amorevolmente il suo gregge (6) e il Giudice escatologico (7). Ne risulta che la pneumatologia è inseparabile dalla cristologia. Il ruolo proprio dello Spirito santo si specifica nel dare «a tutti, qualunque sia la fede di cui vivono, la luce rivelatrice e la forza salvifica di cui hanno bisogno affinché possano godere per mezzo del Cristo risorto la vita eterna con Dio» (117).

Inoltre, riferendosi all'insegnamento di Giovanni Paolo II (Dominum et vivificantem), l'A. osserva come lo Spirito sia operante ogni volta che qualcuno prega in maniera autentica e si trova ad affrontare le profonde questioni religiose della vita. Questo ragionamento porta a concludere che Cristo, insieme allo Spirito Santo, interagisce con il mondo intero e l'effetto universale di tale interazione salvifica va attribuito a Gesù stesso e «non alla Chiesa cristiana in quanto tale» (108).

Per delucidare il ruolo della Chiesa nell'opera della salvezza O'Collins propone di riflettere sull'intercessione della comunità dei battezzati in favore ditutto il mondo. L'assunzione di un tale atteggiamento di intercessione induce un'inversione della prospettiva nella quale gli altri sono ordinati alla chiesa, che porta a riscoprire «l'abbondanza di insegnamenti sulla preghiera dì intercessione offerta dalla tradizione cristiana (1), l'amore efficace cbe ispira tale intercessione (2), l'eterno sacerdozio di Cristo di cui questa intercessione partecipa (3)». Una preghiera ispirata dall'amore per gli altri gode pertanto di una certa efficacia, poiché unisce gli oranti a Cristo e influisce sui modi con cui Dio misericordiosamente agisce su tutti. Si tratta di una rilevanza causale non-coercitiva ma attrattiva,che appartiene al regime d'amore. «In sintesi: l'amore ispira la preghiera di intercessione attraverso cui i fedeli associano se stessi con l’amore salvifico esercitato verso tutti gli esseri umani dal Cristo risorto e dal suo Spirito» (150).

Il saggio di O’Collins è indubbiamente ricco di spunti teologici che fanno percepire l'enorme potenzialità della cristologia nel dare un rinnovato impulso alla TR. Passare sotto la lente cristologica le principali questioni della TR può infatti contribuire alla migliore comprensione del mistero di Gesù Cristo in cui Dio offre la salvezza a tutti i popoli. L'A. persegue quest'obiettivo elaborando i diversi temi cristologici e sondando la loro possibilità ospitante verso i seguaci delle altre religioni. In modo particolare si rivela molto stimolante l'intuizione della teologia della croce, che, a partire dalla sofferenza patita dal Figlio e dal suo fiducioso abbandono al Padre, restituisce la figura del Mediatore capace di accogliere/racchiudere in sé ogni alterità. Questa pregnante idea non trova tuttavia un'adeguata articolazione in O'Collins, che si limita ad abbozzarla in maniera molto generica. Egli pone tanta enfasi sulla solidarietà di Gesù con ogni sofferenza umana in virtù della sua croce senza però indagare come il gesto filiale del Crocifisso apra uno spazio di ospitalità salvifica ai membri delle altre religioni. Resta non sufficientemente esplorata la natura costitutiva di ogni autentica esperienza religiosa, che è propria dell'atto di abbandono al Padre insito nel mysterium Paschale.

Va inoltre rimarcato un deficit di analisi della questione ecclesiologica, che costituisce il punto focale di ogni dibattito teologico sulla mediazione salvifica di Gesù: l'Autore, pur dedicando un capitolo al ruolo dell'intercessione della chiesa, non offre alcuna interpretazione del tradizionale assioma extra Ecclesiam nulla salus. Senza affermare il legame inscindibile fra Cristo e la sua Chiesa si rischia di misconoscere l'accesso all'evento cristologico, in quanto la Chiesa custodisce/testimonia la forma evenemenziale della grazia che si attesta nelle mediazioni della Scrittura, del sacramento e del ministero ordinato. Pur riconoscendo la differenza fra Cristo e la chiesa, occorre ribadire che alla rivelazione non si giunge senza attestazione e che questa è costituita dalla chiesa. Benché il Magistero non precisi in quale modo la Chiesa sia strumento di salvezza per tutti, resta innegabile che essa, in virtù del suo legame con Cristo, non può essere considerata semplicemente una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni. O'Collins elude la questione, preferendo parlare del rapporto fra il cristianesimo e le altre religioni. Di conseguenza, l'affermazione del valore del PR va di pari passo alla rinuncia alla riflessione sulla funzione salvifica della chiesa. Una cristologia delle religioni non può però sottrarsi a tale compito, dovendo anzi provare a spiegare come la Chiesa sia mezzo di salvezza per tutta l'umanità, anche in mancanza di un rapporto fenomenico con essa.


A. Kieltyk, in Teologia 2/2022, 419-421

Il gesuita australiano Gerald O’Collins, per vari anni docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, presenta in questo saggio non tanto una teologia quanto una cristologia delle religioni. Secondo l’autore il limite della riflessione teologica di Karl Rahner e Jacques Dupuis è stato che si sono interessati a elaborare una riflessione sul fenomeno della varietà delle religioni, senza mettere a fuoco quelli che secondo l’autore sono aspetti decisivi della cristologia e della pneumatologia in dialogo con le altre religioni: la teologia della croce, il sacerdozio di Cristo, l’intercessione della preghiera di Gesù Cristo e la presenza universale dello Spirito.

Il saggio di O’Collins intende colmare questa lacuna nella teologia delle religioni, offrendo spunti di riflessioni per una cristologia nello Spirito che sappia integrare dal suo interno la pluralità dei modi con cui nella storia si è realizzata l’auto-rivelazione di Dio.

Il testo è suddiviso in sette capitoli. Il primo capitolo è dedicato al recupero di una teologia della croce per il dialogo interreligioso. Il secondo e il quarto capitolo trattano della intercessione di Cristo, sommo sacerdote, per tutti, e della preghiera di petizione della Chiesa. I capitoli terzo e sesto evidenziano la dimensione pneumatologica della presenza di Cristo dentro e fuori della Chiesa visibile. Il capitolo quinto è una valutazione critica del n. 8 della Dichiarazione Dominus Iesus che prescrive di distinguere la fede teologale dalla credenza religiosa. L’autore rimanda a quanto affermato dalla Lettera agli Ebrei al cap. 11 e ai documenti conciliari di Nostra aetate e Ad gentes. L’ultimo capitolo, il settimo, si concentra sul dialogo e le relazioni con i musulmani e gli ebrei, così come sono stati presentati nei documenti del Concilio Vaticano II e nel Magistero successivo al Concilio, in particolare durante il pontificato di San Giovanni Paolo II, il quale all’indomani dell’evento di Assisi (ottobre 1986) venne ad affermare che «ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo» e che lo Spirito «è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo» (119).

Il modello cristologico con cui O’Collins interpreta la pluralità delle religioni è quello dell’inclusivismo. Gesù Cristo è la piena manifestazione della rivelazione di Dio e questa pienezza di Gesù Cristo attribuisce capacità salvifica anche alle altre religioni. Tale prospettiva cristologica costituisce anche il criterio con il quale l’autore rivisita la figura storica di Gesù. Dal punto di vista della ricerca storico-critica ci sembra presuntuoso affermare, però, che Gesù abbia interpretato «la propria morte come un evento in qualche modo salvifico per tutti» (48); oppure che la sua morte fu interpretata da Gesù «come una missione redentrice per tutti gli esseri umani, una missione che avrebbe stabilito una nuova alleanza tra Dio e l’umanità» (49). L’aspetto sacrificale e sacerdotale della croce di Gesù Cristo ha rilevanza per il dialogo con le altre religioni. Se l’incarnazione del Figlio di Dio ha il suo compimento sulla croce, questo evento diventa salvifico per il carattere oblativo dell’essere di Dio, unito ipostaticamente all’umanità di Gesù, sommo sacerdote. È strutturale a tale assunzione la portata solidale (essere-in-relazione) della salvezza realizzata dal Verbo. “Gli altri” e “le altre religioni” sono parte integrante di questa solidarietà di Cristo nel perenne esercizio del suo sacerdozio.

Nella sezione dedicata alla preghiera di intercessione l’autore ricorda che la preghiera di Cristo e della Chiesa hanno valore efficace – non solo morale e finale – per la salvezza degli altri ma anche delle loro culture e religioni. «La presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni» (Redemptoris missio, 28). La preghiera dei cristiani per gli altri è il modo con cui Dio «vuole realizzare che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4). «La preghiera può e di fatto va ad influire sui modi in cui Dio agisce amorevolmente sugli “altri”, anche se dobbiamo essere cauti nello stabilire quando, come e per chi questo accade» (146). In questa importante riflessione sull’intercessione l’autore non accenna a quanto Tommaso d’Aquino afferma a proposito della preghiera di petizione. «La nostra preghiera non è ordinata a cambiare le disposizioni divine, ma a ottenere con le nostre preghiere ciò che Dio ha disposto. Dio nella sua liberalità ci dà molte cose anche senza che gliele chiediamo. Ma è per il bene nostro che alcune le condiziona alle nostre preghiere» (Summa theologiae, II-II, q. 83, art. 2; cfr. I, q. 105, artt. 6-8). L’agire di Dio trabocca il nostro chiedere e non è sempre condizionato dalle nostre preghiere per compiere ciò che vuole. Tale distinzione tra ciò che Dio compie senza di noi e ciò che compie attraverso di noi è dovuta in Tommaso al fatto che Dio non sempre agisce attraverso le cause seconde: a volte Dio agisce senza di esse per supplire la mancanza dell’efficacia di queste.

Potrebbe Dio salvare l’umanità senza la Chiesa e la sua preghiera di intercessione? A tale domanda l’autore non dà una risposta chiara. Tuttavia, parlando della fede teologale, e correggendo la Dominus Iesus, O’Collins riconosce che anche senza fede esplicita in Cristo è possibile essere graditi a Dio (cf 194).

Il pregio di questo saggio sulla Cristologia delle religioni è di aver ampliato l’orizzonte entro cui comprendere la portata salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, includendone la dimensione sacrificale e sacerdotale. Rimangono ancora lacune e tentennamenti in merito al riconoscimento delle religioni degli altri come salvifiche. Il motivo è che anche questa opera si muove – come molte altre che seguono il modello inclusivista – all’interno di una logica dell’identico, cioè si assume come criterio per il riconoscimento dell’identità religiosa altrui quello della propria identità confessionale.


P. Gamberini, in Rassegna di Teologia 3/2022, 466-468

La cristologia delle religioni non è un'espressione o un campo di ricerca teologica molto conosciuto. Il gesuita Gerald O'Collins, autore molto prolifico che ha parlato non molti anni fa degli "altri popoli di Dio", si dedica nell'opera *A Christology of Religions* del 2018, tradotta recentemente per i tipi della Queriniana con il titolo *Una cristologia delle religioni*, a riflettere su una sfumatura per nulla secondaria della teologia delle religioni. Già all'inizio dell'opera, l'autore spiega che con "cristologia delle religioni" si intende un solco della ricerca teologica che guarda all'esistenza di coloro che professano altre fedi attraverso la lente cristologica, ovvero nella prospettiva della persona e dell'azione di Gesù Cristo. 

Ciò che distingue un tale approccio dalle esistenti teologie delle religioni è l'attenzione a una cristologia integrale: la teologia della Croce, la portata universale del ministero di Cristo sommo sacerdote, l'efficacia della sua amorevole preghiera per gli altri, e la mediazione della sua rivelazione e non della sua salvezza e la corrispondente Fede accessibile agli altri (p. 6)  

Sebbene cattolico, l'autore intende in quest'opera porsi in una prospettiva più generalmente cristiana, assumendo il pensiero di autori anglicani e protestanti tra cui Karl Barth, David Brown, Ingolf Dalferth e altri. La cristologia delle religioni non solo dà forma al pensiero riguardo agli altri, ma specifica anche il materiale da trattare. A tal riguardo, l'autore indica che il ministero di Cristo sacerdote sia di primaria importanza nella trattazione di una tale cristologia.  

Lungo l'opera, l'autore evidenzia giustamente che una cristologia delle religioni è inseparabile da una pneumatologia e da una teologia trinitaria delle religioni. Ma prima di evocare questo fulcro sintetico della fede, l'autore parte da lontano riflettendo sui due gesti fondanti della relazione di Dio con l'essere umano: la creazione e la redenzione (nel mistero dell'umanizzazione di Cristo). La creazione e l'incarnazione sono i due gesti cardinali con i quali Dio esprime la sua sollecitudine per l'alterità e il suo desiderio di autodonazione. L'esistenza storica di Gesù costituisce una traduzione di tale gestualità divina.   

O'Collins esplora varie pagine evangeliche che sostengono questa lettura. Un esempio chiaro nella sua paradossalità è l'episodio della donna siro-fenicia che supplica Gesù per guarire sua figlia. In questa istanza, riscontriamo una inabituale durezza e asprezza da parte di Gesù e una rivendicazione inusuale del primato ebraico. Ma il vangelo manifesta che dietro a tale durezza che pare rifiutare il pane dei figli ai piccoli dei cagnolini, c'era una lezione ben più importante da impartire. Tra l'altro il testo si distingue per due particolarità, in quanto è l'unico caso dove Gesù fa un esorcismo a distanza e una persona ha l'ultima parola con Gesù. Un altro episodio, quello del centurione in Matteo 8 manifesta l'ammirazione di Gesù verso la fede di un romano e manifesta come la fede sia associata all'umiltà e alla mancanza di pretesa.

I vari episodi ricordati dall'autore, manifestano come Gesù opera guarigioni verso gli estranei e gli stranieri e fanno vedere di conseguenza come la salvezza di Gesù vuole raggiungere chi è fuori. In particolare, l'autore manifesta come tali guarigioni non sono né precedute né succedute da pretese di conversione da parte di Gesù. Tale atteggiamento esplorato è di grande importanza perché evidenzia la continuità tra la soteriologia inclusiva del Gesù prepasquale e postpasquale. La stessa inclusività è tracciata dall'autore anche nell'insegnamento di Gesù e nell'invio missionario verso le genti, nonché nel comandamento dell'amore che abbatte i classici confini tra i nostri e gli altri.    

La transizione verso il Cristo glorificato è fatta da O'Collins nel capitolo intitolato "L'intercessione di Cristo sommo sacerdote per tutti". Pur mantenendo lo sguardo sulla Bibbia, il pensiero dell'autore si allarga ai contributi di vari teologi tra cui Karl Rahner, Jacques Dupuis, T.F. Torrance e Robert Sherman. Egli ne denuncia l'omissione dell'approfondimento tematico sull'intercessione di Cristo sommo sacerdote. 

Nel caso di Rahner, ad esempio, l'autore evidenzia come il teologo tedesco non era ignaro o insensibile riguardo al ministero sacerdotale di Cristo. Riflessioni sul tema sono presenti nei suoi interventi di natura spirituale quando si rivolgeva a interlocutori che si preparavano al ministero sacerdotale. Ma, a giudizio del nostro autore, non troviamo in Rahner un collegamento tra questo sacerdozio cristico e le religioni del mondo. Nemmeno Dupuis, nonostante la sua approfondita teologia delle religioni, ha dedicato particolare attenzione a ruolo sacerdotale di Cristo verso le religioni. Uno dei pochi ad aver riflettuto teologicamente e non solo pastoralmente sul sacerdozio di Cristo è T.F. Torrance. Ma anche nel suo caso l'attenzione è stata più sul significato ad intra del sacerdozio di Cristo e non in una prospettiva ad extra.  

Eppure, secondo l'autore, la lettera agli ebrei apre ampi ventagli di riflessione sul Cristo sommo sacerdote eterno e universale. «L'orizzonte che la lettera procede ad aprire sarà a Vasto come l'intero genere umano. L'autore elenca tre requisiti che fanno di Gesù il sommo sacerdote della nuova Alleanza: "ogni sommo sacerdote e [1] scelto fra gli uomini e [2] per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, [3] per offrire Doni e sacrifici per i peccati" (Eb 5,1)» (65). Il sacerdozio di Cristo implica l'eterna intercessione per i battezzati e per gli altri esseri umani. Soprattutto nell'eucaristia, il Cristo crocifisso e risorto presenta amorevolmente al padre un'offerta di sé a nome di tutti gli altri esseri umani.  

Come già anticipato, l'autore riflette sulla presenza universale di Cristo in rapporto allo Spirito Santo argomentando che una cristologia delle religioni è inconcepibile se non comprende la presenza universale del Cristo crocifisso e risorto grazie all'opera dello Spirito Santo. Per parlare della convergenza tra pneumatologia e cristologia delle religioni, l'autore adotta il vocabolario della presenza, gettando così luce sulla misteriosa attività del Cristo risorto e dello Spirito Santo.  

Il capitolo sulla chiesa, invece, intende operare una inversione del linguaggio classico. Anziché parlare degli altri popoli come ordinati al popolo di Dio, l'autore parla della chiesa cristiana come ordinata alle persone di altre fedi. L'esistenza della chiesa non è per se stessa, ma per essere dono e a servizio. La chiesa sussiste, in Cristo sacerdote, in un ministero d'intercessione per la salvezza del mondo. Questa intercessione, come chiarisce Richard Foster, è un modo di amare gli altri ed è una partecipazione al sacerdozio di Cristo.

Nella sua relativa brevità, l'opera in questione interpella il lettore a riflettere sul ruolo di Cristo e del cristiano in rapporto agli altri. Oltre alla ricchezza dei riferimenti biblici, patristici e magisteriali, l'autore dialoga con diversi interlocutori contemporanei. La prospettiva di O'Collins è chiaramente inclusivista. Il lettore potrebbe non condividere le varie affermazioni o conclusioni del volume. Ma la molteplicità delle vedute proposte resta una risorsa per interrogare le proprie convinzioni e la propria visione.


R. Cheaib, in Theologhia.com 14 gennaio 2022

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