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Vita – più forte della morte
Gisbert Greshake

Vita – più forte della morte

Sulla speranza cristiana

Prezzo di copertina: Euro 14,50 Prezzo scontato: Euro 13,75
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-2868-9
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 200
Titolo originale: Leben – stärker als der Tod. Von der christlichen Hoffnung
© 2009

In breve

I temi e i problemi attuali intorno alle cosiddette “realtà ultime”, ovvero sull’escatologia cristiana, formulati da un grande maestro in modo comprensibile per chiunque sia ad essi interessato. Una riflessione puntuale, competente e aggiornata che, evitando l’astrazione dei concetti, cerca costantemente un riscontro nell’esperienza.

Descrizione

Che cosa significa la speranza nella risurrezione e in che cosa si distingue dall’attesa di una ripetizione della vita terrena (reincarnazione)? Come è possibile comprendere oggi parole come “cielo”, “inferno”, “purgatorio”? Che cos’è la morte, che cosa accade quando si muore, che cosa c’è dopo? E ancora, che rapporto esiste tra il futuro che l’uomo costruisce con le proprie forze e il futuro che attendiamo da Dio?
A queste domande risponde Gisbert Greshake nella nuova edizione, attualizzata sulla base dei nuovi risultati delle scienze bibliche e ermeneutiche, di un libro già fortunato.
«La realtà ultima come meta di tutta la creazione si profi la già ora, nel presente, e lo determina, gli indica la direzione, lo pone in questione, così che lo sguardo sul futuro ultimo è della massima importanza per la nostra situazione attuale» (G. Greshake).

Recensioni

Come ogni libro, anche Vita – più forte della morte ha una sua storia. L'A., G. Greshake, la racconta nella premessa del volume. Nel 1976 egli aveva pubblicato un manuale di escatologia, raccogliendo in esso una serie di conferenze che aveva tenuto alcuni anni prima. Andato esaurito, a oltre trent'anni di distanza, l'A. decide di riscriverlo, guidato dalla stessa intenzione d'un tempo, quella cioè di produrre un'opera accessibile a tutti, col desiderio, però, di dare a esso una forma totalmente rinnovata, nella convinzione che le domande che il presente pone alla fede della Chiesa in relazione alle cose ultime non sono le stesse che poneva qualche decina di anni fa e che le questioni che oggi risultano in primo piano (come ad es. quella relativa alla reincarnazione) non sono le medesime del passato.

Il volume si articola in tre parti. Nella prima l’A. si concentra sulla domanda relativa al futuro, che appartiene a ogni esperienza umana. A essa l’A. accosta la risposta che la fede cristiana propone, «la promessa del compimento pieno e definitivo, che lutto abbraccia, in Dio» (p. 16). L'A. si chiede se oggi questo messaggio sia ancora credibile. L'uomo mostra una costitutiva apertura nei confronti della vita, ma questa sua speranza è ambigua, in quanto rischia costantemente di cedere sotto il peso della rassegnazione e della disperazione. La speranza umana ha quindi bisogno di un fondamento solido, che, per essere tale, deve avere una caratteristica: il futuro sperato, nel suo nucleo profondo, deve essersi già realizzato. Proprio per questa ragione, la testimonianza biblica rappresenta un paradigma di grande interesse: nella storia d'Israele, infatti, Dio si è sempre mostrato come l'alleato in grado di offrire al suo popolo un nuovo futuro e, nella risurrezione di Cristo, si è definitivamente rivelato come il Padre capace di opporsi a tutte le potenze delle tenebre e dell'assurdo. Inoltre, grazie alla sua apertura ultraterrena, l'escatologia biblica si dimostra capace di vincere la rassegnazione di fronte alle innumerevoli situazioni della storia che sembrano destinate alla disperazione, senza, per questo, dispensare il credente dal suo impegno nel mondo, come ultimamente ha indicato in maniera esemplare il Vaticano II (cf. GS 36).

A questa prima parte, dedicata – potremmo dire – a una sorta di escatologia fondamentale, ne seguono altre due, incentrate sui novissimi: la morte (nella seconda parte), il giudizio, l'inferno e il paradiso (nella terza parte).

L'A. considera innanzitutto la morte da un punto di vista sociologico e filosofico, mostrandone le contraddittorietà: rimossa dalla vita quotidiana e spettacolarizzata sui media; ragione di definitività per le scelte umane e minaccia per la sensatezza della nostra esistenza. L'uomo, però, non si è mai rassegnato di fronte all'enigma della morte. Nel corso dei secoli ha prodotto una serie di immagini per esprimere la propria speranza. La tradizione cristiana ne ha utilizzate due: quella della risurrezione dei morti e quella dell'immortalità dell'anima. Se entrambe si fondano sulla fede nella risurrezione di Gesù, la prima è sorta in ambiente semitico, mentre la seconda è stata mutuata dalla filosofia greca. Quest'ultima divenne lo strumento con cui i padri della Chiesa annunciarono al mondo ellenistico il destino ultimo dell'uomo. È solo negli ultimi decenni che alla risurrezione dei morti è stato restituito il suo giusto valore, riconsegnando in questo modo all'escatologia cristiana la sua originaria prospettiva universalistica. Il nostro A. inserisce qui la sua celebre teoria della «risurrezione nella morte», secondo cui «nella morte tutto l'essere umano, con il suo mondo concreto e la sua storia, riceve da Dio un nuovo futuro» (p. 101). Nel far questo, Greshake non può esimersi dal rispondere ancora una volta alle critiche mossegli da J. Ratzinger, il teologo che più d'ogni altro si è opposto alla sua teoria. L'A. dedica la conclusione della seconda parte del suo volume al confronto con due visioni escatologiche dal suo punto di vista assolutamente irricevibili: quella della reincarnazione, di matrice induista, e quella della decisione ultima, proposta tra il 1950 e il 1980 da alcuni teologi, tra cui L Boros. Se questa teoria è liquidata in poche battute, per il fatto che rende insignificante tutta l'esistenza umana, più ampio spazio viene dedicato alla dottrina della reincarnazione, oggi assai diffusa in Occidente in una versione «riveduta e corretta» rispetto a quella originale, in quanto considera la trasmigrazione dell'anima non una terribile maledizione, ma un'opportunità per rimediare ai propri fallimenti. Se, da una parte, questa dottrina corrisponde perfettamente al disagio attuale nei confronti dei legami stabili e delle responsabilità a lungo termine, essa è assolutamente incompatibile con l'escatologia cristiana per il suo individualismo, il dualismo di fondo che la anima, l'autoreferenzialità che esclude l'opera della grazia.

Nell'ultima parte del suo volume, l'A. sottopone le immagini tradizionali dell'escatologia cristiana a una revisione critica. Nella sua esperienza storica, l'uomo attende che sia fatta giustizia, che la verità venga a galla. Lungi dall'essere qualcosa di terrificante, il giudizio appare, quindi, come un profondo desiderio del cuore umano. Poiché nel suo mistero pasquale Cristo si è addossato le nostre colpe, il giudizio di Dio non potrà che essere un giudizio di misericordia. Nel rispetto della libertà umana, esso renderà possibile ai malfattori di domandare il perdono, alle vittime di accordarlo, a ciascuno di confrontarsi sinceramente con la propria vita. In quest'ultima accezione, il giudizio è qualcosa di molto simile a ciò che tradizionalmente chiamiamo «purgatorio». Esso non è un inferno «a tempo determinato», ma un momento dell'incontro con Dio. Se pensiamo la vita terrena come l'occasione data a ciascuno per preparare il «recipiente» in cui accogliere la vita divina, qualora, al momento del mio incontro con Dio, il mio recipiente non sia sufficientemente ampio, «Dio si procura ingresso in me con il suo amore. È un ingresso doloroso: il suo amore mi brucia, il suo amore distrugge le mie riserve, i miei impedimenti, le mie incrostazioni, le mie incapacità a vivere la comunione» (pp. 155-156). Il paradiso, in quanto compimento perfetto dell'uomo creato a immagine del Dio trino, è presentato da Greshake come «compiutezza dell'amore» (p. 137). A proposito dell'inferno, Greshake ricorda, prima di tutto, che, nella sua predicazione, Gesù si è riferito all'inferno per porre i suoi interlocutori di fronte alla serietà della loro decisione nei confronti del regno di Dio. Ma l'inferno non può essere ridotto a un semplice artificio retorico. «È un'interna, terribile possibilità della stessa libertà umana» (p. 176). Essendo, però, un'opzione assolutamente asimmetrica rispetto al paradiso, il nostro A. conclude il suo volume dicendo con H.U. von Balthasar e con C. Péguy che possiamo e dobbiamo sperare per tutti.

Pur nella sua immediatezza e concisione, Vita - più forte della morte è tutt'altro che un libro divulgativo. Esso ha tutte le caratteristiche dell'opera matura di un grande teologo, come dimostra il fatto che riesca a inserire le complesse questioni dell'escatologia cristiana - quanto mai resistenti a ogni intento sistematico - all'interno di un progetto unitario e armonico. Dal nostro punto di vista sono soprattutto due le attenzioni metodologiche che consentono all'A. di sortire questo effetto. In primo luogo, egli recepisce in ogni pagina del volume la svolta ermeneutica che, nel corso del '900, ha interessato l'escatologia cristiana. «La prima cosa di cui la teologia moderna è venuta a conoscenza - osserva a questo proposito Greshake - è stato il carattere di immagine proprio delle affermazioni relative al tempo della fine» (p. 22). A fronte di ciò, l'A. cerca prima di tutto di restituire dignità alla categoria di immagine, non di rado sottovalutata dall'uomo contemporaneo, rispetto a quella, ritenuta più pregnante, di concetto. In secondo luogo, Greshake si propone di offrire una chiave ermeneutica corretta, per la decodificazione delle immagini escatologiche: «Esse non devono essere interpretate - come nella teologia antica – come informazioni su eventi futuri, […] ma poiché scaturiscono dalla fede nel Dio personale, sono da intendere esse stesse in modo strettamente "personale". […] La fede cristiana […] confida in una definitiva comunione con Dio e con i molti fratelli e sorelle» (p. 27). Greshake è talmente convinto di ciò che, a suo dire, i rapporti interpersonali che intratteniamo nel corso della vita costituiscono l'analogatum princeps per rappresentarci le realtà ultime. Il secondo elemento che rende l'opera unica nel suo genere è proprio il modo di fare teologia di Greshake. Egli si serve dell'esperienza concreta per mostrare la ragionevolezza della fede della Chiesa, una modalità frequente nell'opera teologica del nostro A., come si può riscontrare, ad esempio, nel suo Libertà donata. Questo suo modo di fare teologia, così ancorato alla concretezza del vivere, risulta oggi quanto mai promettente per mostrare la pretesa universale della speranza cristiana.


F. Badiali, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 1/2016, 259-262

«È un bel testo, insolitamente semplice e nitido anche nel linguaggio, come di rado accade nella letteratura teologico-filosofica. Qui ci sono molte domande, a partire da quella fondamentale: "La morte - e dopo?", a cui si accostano le risposte cristiane coi loro orizzonti "ultimi", escatologici, affidati a una terminologia da molti ormai dismessa, come "cielo, paradiso, inferno, purgatorio" e via dicendo. Un confronto che non teme di allegare, accanto alle voci dei teologi, quelle di un Feuerbach, della de Beauvoir, di Sartre, di Ernst Bloch, di Brecht, di Freud e di altri lontani dalla visione cristiana».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore del 24 maggio 2009, 34

«Il taglio ermeneutico che dell'escatologia viene offerto nel volume è senza dubbio interessante: il tentativo dell'autore è quello di "trasporre la fede cristiana nelle questioni e nei problemi del presente". Fondamento, nucleo e cardine della speranza cristiana – ricorda Greshake – è la risurrezione di Gesù Cristo, senza la quale ogni umano sperare sarebbe vuoto e privo di senso. "La fiducia incondizionata nell'aldilà – si legge nel libro – non è alienazione dal mondo, ma si presenta come l'unica garanzia per un agire aderente alla realtà, tollerante, pacato, libero, sereno, paziente". Nel volume vengono inoltre affrontati anche altri temi molto delicati connessi con quello della speranza, quali la risurrezione del corpo, la dottrina della reincarnazione come altenativa alla fede nella resurrezione, l'esistenza dell'inferno, purgatorio e paradiso, il giudizio divino e la grazia».



M. Schoepflin, in Avvenire del 18 luglio 2009