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Come un chiarore furtivo
Catherine Chalier

Come un chiarore furtivo

Nascere, morire

Prezzo di copertina: Euro 33,00 Prezzo scontato: Euro 31,35
Collana: Nuovi saggi 110
ISBN: 978-88-399-1070-7
Formato: 12 x 20 cm
Pagine: 288
Titolo originale: Comme une clarté furtive. Naître, mourir
© 2024

In breve

Un saggio illuminante, per superare quella concezione tragica e angosciante della vita come “circondata dal baratro del nulla”

Chalier si interroga sulla vita, dal suo sorgere fino alla sua scomparsa, con maestria, profondità, passione e tenacia. E la tratteggia come un andare «da una luce a una luce». Per captarne i raggi fa appello ai filosofi, ma anche ai saggi dell’ebraismo e ai poeti (Hugo, Rilke, Hillesum, O’Donohue...), avanzando senza paraocchi verso il mistero dell’umano.

Descrizione

Come possiamo affrontare la complessità della vita umana, con la nascita a un capo e la morte dell’altro? La nostra esistenza è un attimo delimitato da due eternità di tenebre o un tempo visitato dalla traccia furtiva di una luce perduta ma ancora desiderabile?
Nonostante la morte violenta sia spesso presentata come uno spettacolo invasivo e quotidiano, le società moderne evitano di affrontare queste questioni cruciali e ostracizzano la morte, come se scansare il discorso potesse renderlo meno spaventoso. In realtà, questa fuga non fa altro che alimentare un’angoscia e un disagio profondi.
La risposta sta nell’affrontare apertamente il dilemma posto dalla nascita e dalla morte, seguendo diverse piste di riflessione, non da ultimo sul solco della tradizione ebraica. Questo approccio può portare a una nuova prospettiva per apprezzare la vita stessa.
Il primo passo verso una migliore comprensione del valore insostituibile della vita è avere il coraggio di affrontare senza esitazione questi temi cruciali.

Recensioni

È la quarta di copertina a informarci subito dei contenuti di questo libro: apprezzare la vita per comprenderne il suo insostituibile valore. Come un chiarore furtivo. Nascere, morire è il titolo che Catherine Chalier ha dato al suo ultimo libro (Queriniana, pagine 288, euro 33,00). La Chalier è stata allieva di Emmanuel Lévinas, docente all’Università di Paris X-Nanterre e studiosa di Franz Rosenzweig e Spinoza.

Il nascere e il morire oggi sono attraversati da fortissime “tensioni intime”, riguardano le pretese manipolatorie e di “governo” alle quali lo sviluppo tecnologico ha sottoposto questi due momenti essenziali dell’esistenza umana. Nascere e morire, però, sfuggono alla morsa di chi concepisce l’orizzonte tecnologico come orizzonte salvifico dell’esistenza umana. Il prima e il dopo della vita, entrambi coperti da una medesima oscurità, non possono accontentarsi di una semplice comprensione “procedurale” del loro essere.

Lo spazio occupato dalle riflessioni di Catherine Chalier è quello che il complesso tecnoscientifico tende, più o meno consapevolmente, a negare e a cancellare. Attenzione, non il pensiero scientifico, ma ciò che sfugge al pensiero stesso in quanto tale perché reso oggetto e materia di un fare, di una “produzione” che, solo retoricamente, afferma di poterne fare a meno. In realtà la nascita e la morte hanno bisogno del pensiero, e questa dipendenza, da indagare, da studiare e chiarire, è poi il vero centro della riflessione della Chalier.

La riflessione filosofica contemporanea, soprattutto, ma anche la poesia, la letteratura e la vita stessa delle culture umane che si sono affacciate alla conoscenza e all’attenzione del mondo occidentale che ancora conserva tracce della sua origine classica e giudeo-cristiana, sono il materiale a cui la studiosa attinge per ritornare a pensare ciò da cui le società ipermoderne cercano di stornare lo sguardo.

Ecco il senso di quel “chiarore furtivo” dal quale Catherine Chalier avvia la sua riflessione. Il termine richiama, inevitabilmente, i “chiari nel bosco” di María Zambrano o alcuni scorci del tardo Heidegger. Dopo decenni nei quali i concetti quasi sinonimi di finitezza e di finitudine si sono installati potentemente nella riflessione filosofica, prestando a volte il fianco a versioni nichiliste, Catherine Chalier libera l’orizzonte teorico andando direttamente al nocciolo della questione. E questo proprio in un momento nella quale la morte di massa, quella che cancella ogni residuo del chiarore iniziale nel quale sono immersi i nascituri sembra prendere di nuovo il sopravvento dopo le prove di infinito orrore del Novecento.

Le uniche pagine di felicità della storia non sono le pagine bianche, come voleva Hegel, sono quelle che i nuovi nati potranno e dovranno scrivere.


R. De Benedetti, in Avvenire 3 aprile 2024

È difficile immaginare un modo più delicato e discreto per affrontare il tema della vita e della morte di quello usato da Catherine Chalier fin dal titolo del suo recente Come un chiarore furtivo. Nascere, morire, edito dalla Queriniana nella traduzione di Vincenzo Salvati (Brescia, 2024, pagine 288, euro 33).

A pochi sfugge quanto la questione dell'esistenza, nel suo rapporto con l'eternità, dell'apparire al mondo e dello scomparire, della creazione insomma, appaia centrale nella nostra epoca. Questo pur nel nascondimento generale nel quale tale questione viene tenuta, nell'attenzione posta a sfiorarla appena, mentre costituisce il motivo non remoto di ogni tensione psicologica presente nell'esperienza di uomini e donne calati nella modernità.

L'interrogativo non può essere rimosso, pena l'appannamento se non la perdita della consapevolezza di sé, della cognizione dell'orizzonte nel quale siamo immersi. Nel contempo vita e morte non possono neppure essere prese in considerazione frontalmente, troppo gravi e grandi, decisivi sono i dubbi e le incertezze che le circondano. Ogni fede in Dio, e ogni suo rifiuto, concerne la considerazione che se ne ha.

Chalier trova la misura giusta per affrontare la realtà della morte collegandola strettamente a quella della vita, della quale indubbiamente costituisce una componente più che qualificata, e riferendosi di continuo alla sapienza ebraica, capace di liberarsi di molte pretese razionalistiche che spesso caratterizzano la riflessione cristiana. Indubbiamente il pensiero rabbinico, attento al paradosso dell'esistenza e rispettoso dell'aspetto incomprensibile del divino, si presenta come ilpiù adatto per affrontare pacatamente il processo stupefacente dell'apparire e dello scomparire al mondo di donne e uomini, che seppure attraversano l'esistenza nei modi comuni a ogni altro ente, lo fanno coltivando, loro soli, il dubbio su un possibile altrove, la speranza di una continuità dai contorni indefiniti.

L'eternità alla quale donne e uomini ambiscono ha caratteri inconoscibili, è priva di tempo, governata da un Dio della cui onnipotenza tendiamo a dubitare, mentre non comprendiamo affatto il suo approccio al problema del male, del quale la morte è una costola particolarmente aggressiva.

Molto interessante l'individuazione del concetto proposto da Chalier di "morte propria", ossia di un'esperienza terminale vissuta nella sua forma più luminosa e rappresentata nella formula del “bacio di Dio”, accolto da Abramo come un dono definitivo. Subito però si presenta alla riflessione la realtà storica devastante della Shoah, nella quale la negazione per milioni di persone dell’esperienza di una morte propria diviene scandalosamente evidente.

Soccorre allora il ricorso ai testi di Etty Hillesum, che al centro dell'orrore del lager si impegnava ad aiutare un Dio, evidentemente non onnipotente, a «non morire dentro di lei», offrendo la bontà di cui era capace ai propri compagni di destino, e se possibile un aiuto persino più incisivo viene dagli scritti di Maurice Genevoix, proposti da Chalier nella intensa conclusione del volume. Genevoix, fante francese nella prima guerra mondiale, descrive con attenzione commossa la morte di ciascuno dei commilitoni alla quale fu costretto ad assistere, nel corso di ciò che descrive come «questa specie di farsa demenziale». In questo modo ogni morte conservò la preziosa unicità che la contraddistingueva, pur nelle condizioni disperate nelle quali accade, e non precipitò nell'anonimato che l'avrebbe privata di ogni dignità.


S. Valzania, in L’Osservatore Romano 27 marzo 2024

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