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Giustificati per grazia
Antonio Pitta

Giustificati per grazia

La giustificazione nelle lettere di Paolo

Prezzo di copertina: Euro 18,00 Prezzo scontato: Euro 17,10
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 190
ISBN: 978-88-399-0490-4
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 240
© 2018, 20232

In breve

Uno studio documentato e rigoroso, che fa chiarezza sulla relazione fra l’«essere in Cristo» e la giustificazione, non da ultimo mettendo in luce il ruolo decisivo dello Spirito santo.

Descrizione

Giustificati per grazia scandaglia la tematica della giustificazione in tutte le lettere di Paolo, comprese quelle delle sue tradizioni. In sintonia con il metodo storico-critico, l’analisi retorica epistolare apre nuovi orizzonti sulla giustificazione.
Già prima di Paolo la giustificazione è messa in relazione a Cristo, reso da Dio strumento di espiazione, secondo la fede condivisa delle comunità protocristiane. Introdotta nel contesto polemico della Lettera ai Galati e in funzione della figliolanza divina, la giustificazione per grazia si trova al centro della Lettera ai Romani e assume un ruolo preventivo in quella ai Filippesi.
Quando esplode il dilemma sulle vie della giustificazione, Paolo opta decisamente per la fede in Cristo e non per le opere della Legge. Lo Spirito vivifica l’unica giustificazione in Cristo e la rilancia in vista della giustificazione sperata. Nell’evangelo di Paolo, giustificazione e partecipazione sono non alternative, ma accomunate dalla grazia e dalla croce di Cristo.
Della giustificazione per grazia non si dirà mai abbastanza, perché è universo simbolico che coinvolge diversi interlocutori. Non una dottrina, ma l’evangelo della giustificazione è quel che rende sempre attuale l’essere giustificati per grazia.

Recensioni

C’era un tempo in cui si dava per scontato che il concetto di giustificazione per grazia fosse il cuore della teologia paolina. Vennero poi le «Nuove Prospettive» su Paolo e proprio questa centralità venne messa in discussione, arrivando, studio dopo studio, a sostenere che per l’apostolo la salvezza è, in fin dei conti, per opere: il concetto di giustificazione svolge un ruolo importante, certo, ma sarebbe limitato ad alcune persone e situazioni particolari.

I vari K. Stendhal, J. Dunn, T. Wright, P. Eisenbaum, M. Nanos e J. Gager (per fare solo pochi nomi) ne hanno relativizzato, quando non rigettato, la centralità. Solo per fare un esempio molto recente, G. Boccaccini ha sostenuto che per Paolo il credente viene giustificato per fede allo scopo di aprire l’evangelo della salvezza a coloro che si pentono di fronte all’annuncio del giudizio di Dio che viene, permettendo loro di compiere le opere necessarie alla salvezza. I giusti, invece, siano essi pagani (in base alla legge naturale) o ebrei (in virtù della legge mosaica) non hanno bisogno dell’opera redentrice di Cristo.

È in un panorama così articolato che esce il saggio di Antonio Pitta, noto esegeta paolino. A differenza degli studi più recenti, Pitta lavora principalmente all’interno del pensiero paolino senza concedere molto spazio al confronto con le idee circolanti a quel tempo, adottando una prospettiva che ha il vantaggio di studiare Paolo dall’interno del suo epistolario e delle dinamiche retoriche intrinseche alle sue lettere. Questo approccio detta, quindi, la struttura del volume, che vede al suo centro l’analisi dettagliata del concetto di giustificazione per fede in ciascuna delle lettere considerate autentiche (qui si riconosce bene l’opera dell’esegeta, noto per i suoi commentari a Romani e a Galati). Solo alla fine del saggio vengono tirate le fila del discorso, per comprendere che cosa in effetti possiamo dire sulla giustificazione per grazia.

Riassumendo la sua dettagliata analisi dei testi, Pitta cerca di trovare un equilibrio tra due elementi apparentemente discordanti della teologia paolina: la certezza del giudizio sulle opere degli esseri umani e le affermazioni dell’apostolo sulla giustificazione per sola fede. È il nodo su cui si è abbattuta la scure di molti commentatori, a cominciare da E.P. Sanders per arrivare a Boccaccini. Pitta, però, cerca di trovare l’equilibrio tra i due concetti non tanto nel giudaismo del tempo, quanto piuttosto all’interno della teologia paolina, e ne ricava un’idea di salvezza per cui la giustificazione per grazia rimette in pista un essere umano oppresso dal Peccato, rendendogli la possibilità di fare il bene e di superare il giudizio di Dio con la sua condotta giusta, resa possibile dallo Spirito santo. In ambito italiano, su una linea simile si muove anche Rinaldi nel suo recente libro su Romani (G. Rinaldi, Paolo e Nerone. L’epistola ai Romani alla luce della storia e dell’archeologia, Edizioni Accademia Vivarium Novum, 2019).

Anche se buona parte della ricerca recente su Paolo si muove, mutatis mutandis, nella direzione del nostro saggio, continuo a ritenere valida l’intuizione di fondo di Lutero, per cui la giustificazione dell’empio coincide con la sua salvezza e non è soltanto l’inizio di un nuovo cammino. Per comprendere la giustificazione per fede dobbiamo partire, piuttosto che da un tentativo di mettere in equilibrio affermazioni apparentemente contraddittorie, dall’esperienza della sua «conversione», in questo caso conversione dal fariseismo. Di fronte all’esperienza dell’incontro con il risorto, Paolo ritiene che ogni tentativo personale di presentarsi come giusto al giudizio di Dio si rivela fallimentare e che quella visione centrata sull’osservanza della legge di Mosè, di fatto fortemente elitaria, non regge alla prova dei fatti. Se l’umanità ha una speranza, questa è in Cristo e nella constatazione che in lui possiamo vivere una nuova esistenza, fidandoci del Risorto e affidandoci a Dio. L’esperienza dello Spirito e la certezza della fine imminente hanno sbilanciato l’idea del giudizio, che certamente permane, dalle nostre opere all’opera di Cristo per noi. Il punto di equilibrio della tensione si può trovare piuttosto nelle affermazioni di Paolo in I Cor. 3,10-15: è vero che le nostre opere sono giudicate alla fine dei tempi, ma noi saremo salvati nella misura in cui la fede in Cristo, il fondamento, rimane saldo. L’etica, nella teologia di Paolo, non fonda la soteriologia.

Quello di Pitta è un saggio profondo e articolato, frutto maturo di uno studioso che da anni lavora su questi temi, e che affronta l’argomento con ampio ricorso all’esegesi delle lettere di Paolo. Rimane solo l’impressione che la sua ricerca sia un po’ troppo indifferente al contesto mediogiudaico: una maggiore contestualizzazione avrebbe dato più ampio respiro alla ricerca e avrebbe facilitato il dialogo con alcuni autori recenti che hanno fatto della collocazione giudaica dell’apostolo il centro delle loro letture.


E. Noffke, in Protestantesimo vol. 78 (3-4/2023), 323-325

Il titolo del volume del prof. A. Pitta, docente presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, è tratto dall’ultima espressione dell’inno battesimale della lettera a Tito (Tt 3,4-7). In esso si parla della salvezza realizzata da Dio che per la sua bontà «ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna» (vv. 6-7). Intenzionalmente il prof. Pitta ha scelto di reinterpretare la «giustificazione per grazia» alla luce dell’intero epistolario paolino, offrendo uno sguardo il più possibile «completo» del tema alla luce degli sviluppi della ricerca contemporanea. Si tratta di una delle questioni più affascinanti del pensiero di Paolo, la cui problematicità e risonanza lungo i secoli (cfr. il dibattito tra S. Agostino e Pelagio) è stata ampliata dal dibattito della riforma luterana. L’ingente letteratura prodotta nel corso degli ultimi decenni e l’evoluzione delle posizioni teologiche sulla giustificazione per fede conferma la delicatezza di questa problematica e delle sue relazioni con gli altri aspetti del pensiero dell’Apostolo. Annota Pitta: «Certo è che mentre l’interesse per le altre tematiche dell’evangelo (più che teologia) di Paolo è altalenante, quello sulla giustificazione non conosce fasi di bassa marea. Si è sempre in alto mare, perché la giustificazione coinvolge troppi interlocutori e innumerevoli linguaggi per descriverla e riconoscerne la perenne attualità» (p. 10).

Seguendo un percorso cronologico, dalle lettere autoriali attraverso la tradizione paolina fino al Corpus Pastorale, Pitta passa in rassegna le ricorrenze del termine dikaiosýnē (= giustificazione) e del verbo dikaióō (= rendere giusto, fare giustizia) ne inquadra il contesto, procede all’analisi esegetica delle singole pericopi e riassume la ricchezza del messaggio teologico. Il volume si sviluppa in otto capitoli. Nel Capitolo I: «La giustificazione, cratere principale o laterale» (pp.13-22) l’attenzione si concentra sulla prima ricorrenza del termine dikaiosýnē in 1Cor 1,30. L’Apostolo afferma che i credenti sono stati salvati in Cristo Gesù «che fu reso da Dio sapienza per noi, giustizia e anche santificazione e riscatto».

La definizione cristologica elaborata nell’opera della salvezza permette di capire come la giustificazione operata da Dio in Cristo sia strettamente connessa con il suo mistero pasquale, significato dalla «parola della croce». Focalizzando la rilevanza di questa prima attestazione, Pitta segnala in modo essenziale i termini e i protagonisti del dibattito teologico nel XX secolo. La questione del centro della teologia di Paolo e dei temi che formano il suo «cratere principale» (terminologia ripresa di A. Schweitzer) è stata al centro di un vivace confronto, che coinvolge anche il dialogo ecumenico, a partire dall’elaborazione di K. Barth (cfr. K. Barth, Dogmatica ecclesiale) fino al documento del 2013 del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (cfr. Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, Dal conflitto alla comunione. Relazione della commissione luterana e cattolico-romana sull’unità), redatto in vista del cinquecentenario della Riforma (1517-2017). Anche se tra i temi del modello teologico paolino si colloca la giustificazione per fede, secondo il nostro autore l’alveo del pensiero dell’Apostolo consiste nel dinamismo dell’evangelo, poiché quest’ultimo è attestato costantemente nell’epistolario e rappresenta il leit motiv degli scritti paolini (cfr. A. Pitta, L’evangelo di Paolo. Introduzione alle lettere autoriali, Elledici, Torino 2013, 52-53).

Nel Capitolo II: «Prolegomeni sulla giustificazione» (pp. 23-35) si puntualizza il vocabolario e si segnalano i collegamenti con il retroterra anticotestamentario. L’approfondimento del gruppo terminologico dikaiosýnē – dikaióō – dikáiōsis – dikáiōma implica il legame con le Scritture di Israele e chiede di tener conto del retroterra greco-romano e inter-testamentario. In modo particolare Pitta si concentra sul significato della perifrasi «giustizia di Dio» intesa come genitivo di agente: «È preferibile pensare a un genitivo d’agente, in cui la portata soggettiva e d’autore coesistono e non sono così contrastanti» (p. 33). La scansione cronologica delle occorrenze del tema conferma che Paolo ha sviluppato la sua riflessione sulla giustificazione per fede dopo il carteggio e la soluzione dei problemi nella comunità di Corinto. Il dilemma «fede-opere» emerge nel contesto della lettera ai Galati e viene argomentato più organicamente in Romani (56-57 d. C.). Oltre le lettere ai Galati e ai Romani, lo sviluppo teologico del tema è attestato in Filippesi con un «valore preventivo», è totalmente assente in Colossesi, mentre è declinato in Efesini e nelle Lettere Pastorali come dinamismo dell’agire virtuoso del credente.

Il Capitolo III: «La parola della croce e la giustificazione» (pp. 36-47) si concentra sulle ricorrenze della giustificazione in 1Corinzi. Dopo aver richiamato l’importanza di 1Cor 1,30 nell’ambito della sezione 1Cor 1,10-4,21, si riassume il messaggio contenuto nella formula «giustificati nel nome del Signore e con lo Spirito» (1Cor 6,1-11). Nella lettera non emerge ancora la questione della fede e delle opere in rapporto alla giustificazione. L’Apostolo menziona il tema in connessione con la croce di Cristo e il dono dello Spirito effuso sui credenti. Anche nel Capitolo IV: «I credenti, giustizia di Dio e la diaconia della giustificazione» (pp.48-65) non vi sono accenni al dilemma sulla giustificazione. In continuità con la precedente lettera, la 2Corinzi inserisce il tema della giustificazione nell’alveo dell’apostolato e del ministero (diakonía), utilizzando la perifrasi «diaconia della giustizia» in 2Cor 3,4-11 e definendo ironicamente gli avversari falsi «ministri di giustizia» (2Cor 11,14). L’impiego dell’ossimoro costruito sul binomio peccato-giustizia (2Cor 5,21) per definire la paradossalità dell’evento della salvezza, pone la giustificazione nella linea della soteriologia paolina. Tale connotazione è confermata dalla menzione della dikaiosýnē nel catalogo peristatico di 2Cor 6,3-7 e nello sviluppo parenetico di 2Cor 6,14-15. Un ulteriore collegamento è rappresentato dalla colletta per i poveri di Gerusalemme definita «raccolta di giustizia» (2Cor 9,9-10). In tal senso l’opera della giustizia operata da Dio e partecipata all’uomo, diviene impegno a favore dei poveri e dei bisognosi.

Nel Capitolo V: «Giustificazione e figliolanza divina» (pp.66-98) il nostro autore si concentra sulla densa elaborazione del tema in Galati. L’argomentazione prodotta da Paolo nel sostenere la consistenza del «suo vangelo» si declina secondo una triplice prospettiva. La prima è rappresentata dalla relazione tra giustificazione e fede di/in Cristo (Gal 2,16). La seconda riguarda la funzione della Legge e delle sue «opere». La terza approfondisce la relazione tra giustificazione e figliolanza abramitica (Gal 3,1-4,7). Pitta conclude la sua analisi sottolineando come «il cratere principale dell’evangelo per Galati non è la giustificazione, nonostante vi siano studiosi che continuano a sostenerne la centralità, più per partito preso che per dimostrazione, ma la figliolanza abramitica e divina» (p. 97). Nel messaggio complessivo della lettera si possono individuare «quattro solus» riguardanti la giustificazione: solus Christus, sola gratia, sola file, solus Spiritus (cfr. p. 98).

Per la sua consistenza e la sua ampiezza, il Capitolo VI: «La giustizia di Dio, centro dell’evangelo» (pp. 99-176) occupa il posto centrale dello presente saggio. L’analisi della giustizia di Dio in Romani è come il filo rosso dell’intera argomentazione paolina. Scritta per rispondere alla strumentalizzazione del suo pensiero (cfr. Rm 3,8), Romani mostra in modo completo la relazione tra evangelo e giustizia di Dio. Riprendendo dal suo commento a Romani (cfr. A. Pitta, Lettera ai Romani. Introduzione, traduzione e commento [I libri Biblici. NT 6], Paoline, Milano 2001), Pitta riassume l’analisi esegetica delle sezioni che trattano della dikaiosýnē.

Si segnalano le seguenti relazioni così tematizzate: a) evangelo e giustizia di Dio (Rm 1,1-17); b) collera di Dio e giustizia (1,18-4,25); c) giustificazione e riconciliazione (Rm 5,1-8,39); d) Parola di Dio e giustificazione (Rm 9,1-11,36); e) giustificazione e conseguenze etiche (Rm 14,1-15,13). Il nostro autore riconosce che la giustificazione per fede in Romani «è il cratere principale, nonostante tutti i tentativi di detronizzarne la centralità» (p. 175). Inoltre la lettura unitaria della lettera impedisce di sostenere due assiomi invalsi nella tradizione riformata. Il primo riguarda la questione del «canone nel canone» che non emerge dalla relazione che Paolo adotta nei riguardi delle Scritture di Israele (cfr. Rm 15,4). Il secondo assioma concerne la condizione dell’uomo «simul peccator et iustus» formulata dal riformatore in base a Rm 7,7-25 e che non emerge dall’argomentazione paolina (cfr. p. 176).

Nel Capitolo VII: «Conformazione e giustificazione della fede» (pp. 177-184) si sottolinea l’importanza della relazione tra giustificazione e conformazione in Fil 3,5-6.8-9. Presentando l’unità di Fil 3,4b-16 Pitta annota la funzione esemplare della periautologia paolina in relazione al nostro tema. L’impiego della perifrasi «mia giustizia, non dalla Legge, bensì per mezzo della fede di Cristo» (Fil 3,9b) chiarisce che la dikaiosýnē «non è vista come risposta umana alla giustificazione divina, bensì come dono divino che fonda la giustificazione» (p. 182). Si può affermare che la rielaborazione della giustificazione per fede attestata in Filippesi «svolge un ruolo determinante nell’universo simbolico di Paolo» (p. 183), per il fatto che qualifica la condizione del credente come processo di conformazione a Cristo morto e risorto.

Il Capitolo VIII: «Giustificati per la sua grazia» (pp. 185-199) sintetizza l’analisi della dikaiosýnē nelle lettere della «prima e della seconda tradizione» (cfr. 2Ts; 1-2Tm; Tt). Secondo Pitta lo sviluppo del tema in questa sezione non va considerato come un tradimento del pensiero paolino, ma come l’esigenza di «conservarne la memoria nei nuovi contesti ecclesiali dopo il 70 d. C.» (p. 185). L’impiego della perifrasi «giusto giudizio di Dio» (2Ts 1,5; cfr. Rm 2,5) risente della valenza retributiva della concezione escatologica che connota lo scritto. La menzione di dikaiosýnē in Ef 4,24 invece va interpretata nell’orizzonte etico del concetto di giustizia, che deve connotare il comportamento del credente divenuto in Cristo un «uomo nuovo». Nella stessa linea valoriale occorre comprendere l’esortazione di Ef 6,14 («corazza di giustizia»; cfr. Sap 5,17-18). Più articolata risulta la riflessione nelle Lettere Pastorali, che presentano la figura dell’Apostolo come modello del persecutore, trasformato dalla misericordia divina (cfr. 1Tm 1,13). «Nel passaggio dal Paolo storico a quello della tradizione, la nuova situazione ecclesiale delle Pastorali trasforma il modello della vocazione in quello della conversione» (p. 191). In 2Tm 2,22 (cf. 1Tm 6,11) la dikaiosýnē assume una connotazione chiaramente parenetica. L’attenzione di Pitta si sposta su due frammenti innici: 1Tm 3,16 e Tt 3,4-7. In 1Tm 3,16 l’azione giustificatrice riguarda il «mistero della pietà», rivelato nel progetto divino. Maggiore importanza è data all’inno battesimale di Tt 3,4-7, in cui si concentra l’idea della giustizia salvifica di Dio che si compie non per le opere umane, ma per la grazia celeste.

Nelle Conclusioni (pp. 200-208) si tracciano le somme principali del percorso. In primo luogo Pitta ricorda che il tema della giustificazione affiorava già nelle comunità protocristiane (cfr. Rm 3,25-26a). In Galati, Romani e Filippesi Paolo declina il rapporto tra evangelo e giustificazione con registri diversi, in relazione alla situazione ecclesiale a cui si rivolge. Nelle successive due fasi della tradizione paolina, il tema è ulteriormente connotato in prospettiva soteriologica e parenetica.

La novità del contributo di Pitta consiste nella sottolineatura del ruolo della grazia che fonda il processo della giustificazione (cfr. J. M. G. Barklay, Paul and the Gift, Eerdmans, Grand Rapids MI - Cambridge 2015, 70-74). Più che leggere la giustificazione come risposta umana, la proposta del volume sposta l’accento sulla gratuità del dono divino, che implica la partecipazione del credente alla vita in Cristo morto e risorto e alla comunione ecclesiale (il «noi comunitario»). Alla prospettiva soteriologica si collega quella escatologica. Tale connessione comporta la responsabilità dei credenti, chiamati a condividere lo stesso destino finale nella novità dello Spirito. In questo dinamismo generativo l’annuncio dell’evangelo assume un’attualità sconvolgente, perché il dono di grazia che giustifica il credente approda alla figliolanza divina e al dono della libertà. Il volume si chiude con un’aggiornata selezione bibliografica (pp. 209-222), a cui segue l’indice analitico (pp. 223-226) e degli autori (pp. 227-230).

Siamo grati al prof. Pitta per questa nuova fatica, che rappresenta un ulteriore dono per quanti intendono approfondire una delle più profonde e peculiari tematiche della teologia paolina.


G. De Virgilio, in Annales Theologici vol. 34/I (2020) 480-484

Sull’annoso dibattito circa la giustificazione, dalle inevitabili ripercussioni ecumeniche, si inserisce il prezioso volume di Antonio Pitta, esegeta e studioso dalla ricca produzione bibliografica e che già ha approfondito il tema in contributi che hanno segnato la ricerca in materia. Lo studio è articolato in nove capitoli, preceduti dall’elenco delle abbreviazioni e delle sigle e dalla prefazione, a cura dell’A. stesso, e seguiti dalla bibliografia e dagli indici. La lettura del testo è resa scorrevole grazie alla padronanza dello stile e alla capacità argomentativa ben note di Pitta.

Due punti di forza dell’indagine balzano subito all’occhio: addentrandosi con maestria nel complesso dibattito sulla giustificazione, l’A. si avvale della retorica epistolare per affrontare alcune delle questioni piú spinose. Questa prospettiva consente a Pitta di intervenire opportunamente anche sulle posizioni contrastanti attinenti al centro della teologia paolina: la dottrina della giustificazione o l’« essere in Cristo »? Il secondo punto di forza è la scelta di indagare il tema attraversando tutte le lettere paoline, comprese quelle Pastorali, spesso lasciate al margine per quanto riguarda la giustificazione. La combinazione di questi due poli sfocia, tra gli altri risultati, in un ragionevole approfondimento del ruolo dello Spirito santo per mezzo del quale il fedele è giustificato: « Effuso nel cuore dei credenti, lo Spirito vivifica l’unica giustificazione compiuta da Dio in Gesú Cristo. E senza lo Spirito la giustificazione rischia di arenarsi tra l’azione di Dio e la risposta umana. Al contrario lo Spirito, che opera nella giustificazione, estende gli orizzonti della grazia e della fede che, almeno per Paolo, non sono mai intese come risposte umane all’azione divina, ma sempre e soltanto come doni » (pp. 9-10).

Il percorso dello studio prende avvio con un capitolo (pp. 13-22) che sintetizza le principali tappe del dialogo ecumenico attorno alla dottrina della giustificazione e, successivamente, le tre fasi della ricerca contemporanea a riguardo: la New Perspective, The Romans Debate e il modello per la teologia paolina.

Nel capitolo II (pp. 23-35) l’A. rimarca l’importanza della retorica epistolare per affrontare l’argomento. Nelle lettere in cui approfondisce il tema della giustificazione, Paolo mette in atto una sorta di distanziamento dalla situazione storica contingente, cosí da generalizzare l’annuncio e renderlo valido anche per altre comunità di credenti con problematiche simili. Ciò, tuttavia, non può portare a pensare che l’Apostolo faccia astrazione dai conflitti e dalle tensioni realmente accaduti. Asserisce Pitta, in tal senso: « Il distanziamento dalla situazione non dovrebbe indurre a escludere qualsiasi riflesso della situazione di Paolo e i destinatari » (p. 24). E continua, in fase conclusiva: « La retorica epistolare offre un contributo notevole al dibattito sulla giustificazione nelle lettere paoline. Al centro e alla periferia delle lettere paoline autoriali c’è, a nostro modesto parere, l’evangelo variamente declinato per ogni lettera » (p. 201). Grazie alla retorica epistolare Pitta può enucleare otto prolegomeni utili alla ricerca sulla giustificazione, che, per limiti di spazio, ci limitiamo a enunciare: (1) la distinzione tra giustizia, giustificazione e dottrina sulla giustificazione; (2) il rapporto tra la giustificazione (da qui g.) e l’evento di Damasco; (3) il radicamento nella Scrittura della g.; (4) la dimensione salvifica della g. entro lo sfondo del giudaismo del secondo Tempio; (5) il ruolo di Gesú Cristo con la sua croce nelle dinamiche della giustizia/giustificazione divina; (6) le situazioni di polemica conflittuale con gli avversari che, di lettera in lettera, portano Paolo ad approfondire varie prospettive circa la g.; (7) la questione « giustizia di Dio » da intendere come genitivo soggettivo e/o di autore; (8) la cronologia epistolare e le situazioni epistolari che fanno da sfondo per cogliere le diverse maturazioni dell’annuncio paolino riguardanti la g.

Dal terzo all’ottavo capitolo (pp. 36-199) Pitta prende in esame tutti i passaggi in cui emerge, dapprima in forma germinale e successivamente in modo sempre piú approfondito, la tematica della g. Nelle lettere ai Corinzi la g. non svolge un ruolo centrale e il problema sulle vie della g. non si pone affatto, mentre emerge il legame con la croce di Cristo, fonte di una sapienza paradossale (cap. III) e la consistenza della g., grazie alla quale i credenti sono riconciliati e invitati a lasciarsi riconciliare con Dio, in un orizzonte ecclesiale che si concretizza nel servizio della carità (cap. IV). Con la Lettera ai Galati (cap. V), invece, appare il dilemma delle due vie della g., benché, grazie alla retorica epistolare, emerga che questo tema non è centrale bensí funzionale alla figliolanza abramitica e divina: « In quanto giustificati per la fede, mediante l’azione dello Spirito, i credenti diventano, a pieno titolo, figli di Dio » (p. 98). Qui Pitta aggiunge una considerazione assai pertinente e condivisibile, proponendo di aggiungere, ai tradizionali tre sola della Riforma, un quarto elemento: « Solus Spiritus perché soltanto lo Spirito, promesso e donato per grazia, conferisce alla giustificazione un’insopprimibile tensione verso la speranza della sua definitiva realizzazione » (p. 98). Nella Lettera ai Romani la g. è il “cratere principale” (cap. VI) e per questo il volume di Pitta vi dedica uno spazio sovrabbondante di approfondimento.

L’analisi puntigliosa ed esegeticamente convincente del testo avvia da una stringente presentazione della disposizione retorica e sfocia in quello che l’A. definisce « il paradosso della giustificazione: coloro che non l’hanno cercata l’hanno ottenuta dalla fede, mentre coloro che l’hanno cercata non hanno raggiunto la Legge che, annunciando la giustificazione per la fede (cf. Rm 9,30-10,4), perviene al culmine in Cristo » (p. 175). La g. per fede relativizza sia la Legge sia le tradizioni giudaiche seguite ancora da coloro che, provenendo dal giudaismo della diaspora, hanno aderito all’evangelo di Gesú Cristo. In Filippesi (cap. VII), secondo un processo di mimesi, Paolo suggerisce che la g. dipende dalla conformazione tra la fede in Gesú e la sua morte e risurrezione, nella prospettiva del soli Dei gloria. Infine, le lettere della tradizione paolina (cap. VIII) svelano un assorbimento della g. entro il tema piú squisitamente soteriologico (2Tessalonicesi, Colossesi ed Efesini) e la confluenza della giustizia intesa come ricerca della volontà divina e della g. per fede (Pastorali). In particolare, il mistero della pietà inneggiato in Tt 3,4-7 confessa che Gesú fu riconosciuto giusto mediante lo Spirito santo, segnalando nuovamente, come le lettere autoriali dell’Apostolo, che il primato della g. spetta allo Spirito effuso da Dio per mezzo di Gesú Cristo. Le conclusioni raccolte nel cap. IX riprendono i grandi interrogativi connessi alla g., sulla scia dei risultati raggiunti grazie alla retorica epistolare.

A nostro avviso, il merito di questo volume risiede indubbiamente nella centralità riconosciuta alla retorica epistolare per dipanare la complessità della g. L’intreccio fecondo tra le situazioni epistolari di ciascun testo e le tecniche argomentative e persuasive di Paolo consente di rispettare il dettato del suo messaggio, purificandolo da attribuzioni esteriori di qualsiasi genere, non ultimo quelle confessionali. Non si può fare a meno di segnalare pure la preziosità dell’esegesi di alcuni testi, talvolta delle vere e proprie crux interpretum, che Pitta riesce a sciogliere con acribia e competenza: tra le varie, faccio riferimento in particolare al complicato versetto di Rm 10,4 come pure alla questione di Rm 5,1-2 quale sub-propositio di Rm 5-8. Il percorso teologico delineato dall’A., con la sua salda adesione al testuale, dilata ulteriormente il campo della ricerca, favorendo l’integrazione, per esempio, di alcuni modelli e paradigmi concettuali e culturali entro i quali Paolo ha maturato i contenuti del suo annuncio.


A. Albertin, in Studia Patavina 67 (2020) 3, 552-555

Contro la sua volontà, Paolo, nel corso del tempo, si è trasformato nel teologo più studiato e controverso. Sul suo pensiero, addensato in pochi e brevi scritti, si sono concentrati (e accaniti) numerosi commentatori, pastori e riformatori. Da Agostino di Ippona a Karl Barth, passando per Martin Lutero e Giovanni Calvino, tutti si sono confrontati con il tema della giustificazione, rendendola «una delle tematiche più affascinanti e discusse del pensiero di Paolo: affascinante perché concerne il cuore delle relazioni tra Dio e gli esseri umani; discussa perché è stata chiamata in causa nelle principali fasi di svolta per la storia del cristianesimo» (p. 13). Lutero arrivò a considerarla decisiva per la chiesa stessa: «Se questa verità regge, regge la chiesa; se viene meno, viene meno la chiesa (isto articulo stante stat ecclesia, ruente ruit ecclesia)». La spaccatura tra Roma e il mondo della Riforma ha reso più difficoltosa un’analisi obiettiva di questo importante elemento della teologia paolina che, nel tempo, contro la volontà dell’Apostolo delle genti, si è tramutato in motivo di divisione tra comunità religiose che invece dovrebbero avere inscritto in sé il principio della comunione.

Il volume di Pitta cerca dunque di dare una risposta a interrogativi cruciali e decisivi: Perché, quando e come sorge tale tematica? È così centrale e ubiqua come sostengono alcuni Riformatori? Quale antropologia presuppone? In che relazione stanno la giustificazione per la fede e il giudizio finale per le opere? Per rispondere ripercorre tutte le lettere di Paolo (quelle cioè sicuramente scritte da lui e quelle attribuitegli dalla tradizione) secondo l’ordine storico piu probabile (1 e 2 Corinzi, Galati, Romani, Filippesi…).

Il metodo utilizzato è quello della retorica epistolare innestata sul metodo storico-critico. Ciò permette di cogliere le diverse sfumature con cui il tema è affrontato, soprattutto a motivo delle diverse circostanze in cui si trovano a vivere le comunità e delle diverse problematiche che in esse si agitano. Per esempio, nella Lettera ai Galati al centro non sta la giustificazione, ma la figliolanza abramitica e divina (p. 97). Lo spazio maggiore è riservato ovviamente all’analisi della Lettera ai Romani (pp. 100-176), dove invece la giustificazione è il cratere principale (come sostenuto dai Riformatori), ma alimentato per dir così dalla lava di Cristo e dello Spirito: «Giustificati dalla fede per mezzo di Cristo, i credenti sono alimentati dall’azione dello Spirito che vivifica l’unica via della giustificazione in Cristo»; «Il progetto originario di Dio comprende la giustificazione universale che culmina nella glorificazione futura di coloro che sono stati conformati all’immagine del Figlio di Dio» (p. 175).

La configurazione "trinitaria" si ritrova accentuata nelle lettere della prima e della seconda tradizione paolina. Al vertice si trova l’inno battesimale di Tt 3,4-7 da cui non casualmente è tolto il titolo dell’opera («Giustificati per la sua grazia…»).

Il percorso proposto dall’autore richiede, certo, allenamento e pazienza, fiato lungo e agilità mentale. Aiutano le sintesi conclusive al termine di ogni capitolo e quella più ampia (pp. 200-208) a conclusione del volume, nonché la competenza dell’autore che sa esporre con lucidità e sa motivare con chiarezza le sue prese di posizione. Si ama ripetere: «Della giustificazione non si dirà mai abbastanza». Questo non sarà l’ultimo libro su una simile tematica, certo, e non sarà nemmeno definitivo. Tuttavia, per ora, in italiano, la sua lettura risulta indispensabile per chiunque voglia comprendere più a fondo la teologia cristiana in quanto tale.


M. Zappella, in Parole di Vita 5/2020, 55-56

Accueilli dans la prestigieuse « Bibliothèque de Théologie Contemporaine » et sorti de presse au lendemain du 500e anniversaire de la Réforme (1517-2017), l’ouvrage d’A. Pitta, l’un des ténors de l’exégèse paulinienne italienne, porte sur la justification dans les lettres de Paul. La perspective œcuménique est présente dès le 1er chap. qui offre un bref status quaestionis historique, théologique et exégétique, et mentionne aussi bien la Déclaration commune (1999) que Du conflit à la communion (2013) rédigé en vue du 5e centenaire. Plus loin, dans des conclusions du chapitre, l’A. reprend et confirme certains des grands principes mais en module d’autres. Aux solus Christus, sola gratia et sola fede est ajouté un solus Spiritus, tandis que sont contestées la possibilité d’un « canon dans le canon » ainsi que la formule simul justus et peccator. L’ouvrage est une démonstration brillante, pour celui qui devait encore en être convaincu, que la meilleure manière de faire le point sur une question théologique débattue est sans doute de revenir aux « lieux scripturaires » mais selon une approche exégétique généreuse qui replace les passages en question dans leur double contexte historique et littéraire, deux dimensions d’autant plus inséparables quand il s’agit de vraies lettres et non pas de traités de théologie envoyés sous enveloppe. C’est ainsi qu’après quelques prolégomènes qui ressaisissent les acquis de l’exégèse paulinienne contemporaine appliqués à la thématique de la justification (chap. 2), l’A. parcourt successivement 1 et 2 Co, Ga, Rm et Ph avant de consacrer un dernier chap. à la double tradition paulinienne, celle de 2 Th, Col et Ep et celle des Pastorales, montrant ainsi la cohérence de ces dernières eu égard aux homologoumena. À chaque fois, l’A. rappelle la raison d’être de la lettre avant de dégager les avenues principales qui en facilitent la lecture. Du point de vue des résultats, ressaisis dans un chap. final, l’A. prend position sur certaines questions débattues. Ainsi il n’y a pas une « doctrine de la justification » toute faite chez Paul et elle n’est pas le « cratère principal de sa théologie » (au sens où tout le reste serait secondaire et subordonné). Si le dilemme entre deux voies de justification possibles (par la Loi/par la foi) n’apparaît qu’avec Ga puis Rm, en Ga, la justification est encore subordonnée à la question de la filiation d’Abraham et divine, et ce n’est qu’en Rm que la justice de Dieu et la justification sont au « centre de l’évangile » que Paul re-présente à ses correspondants. L’inséparabilité de la justification et de la participation en Christ est bien mise en valeur ainsi que le rôle trop souvent négligé de l’Esprit Saint (cf. Rm 5-8). C’est ce même Esprit, infusé dans le cœur des croyants, qui résout la tension entre justification par la grâce et jugement final par les œuvres, en leur donnant la certitude d’être, dès à présent, réconciliés avec Dieu. S’il ne constitue pas une introduction aux lettres de Paul, cet ouvrage permettra néanmoins à ses lecteurs de vivre un parcours paulinien roboratif, tant du point du vue de la méthode que du contenu qu’il délivre.


S. Dehorter, in Nouvelle Revue Théologique 142/3 (2020) 484

Il biblista Antonio Pitta, tra i massimi esperti di esegesi contemporanea e di teologia paolina, nel capitolo I di questo articolato saggio rileva che il tema della dottrina della giustificazione ha connotato il dibattito teologico in tutte le sue stagioni. Poi osserva che la categoria biblico-teologica della giustificazione svolge un ruolo centrale nel dialogo ecumenico. Richiamandosi alla metafora vulcanologica di Albert Schweitzer, si chiede se la giustificazione sia un cratere principale o semplicemente laterale all'interno della teologia paolina.

La ricerca contemporanea sulla giustificazione ha conosciuto tre diverse fasi di svolta: la New Perspective, The Romans Debate e il modello per una teologia paolina. Secondo i sostenitori della New Perspective il cratere principale della teologia paolina non sarebbe più la giustificazione per la fede, ma la partecipazione dell'essere in Cristo. Da parte sua, il nuovo dibattito sulla lettera ai Romani ha cercato di minimizzare la centralità della lettera nella teologia di Paolo, per ridurla a lettera contingente, che risponde a situazioni emerse nelle comunità domestiche di Roma. Gli autori che ne sminuiscono l'importanza e la centralità teologica parlano, piuttosto, di contingenza, di distanziamento, di generalizzazione o di radicalizzazione della strategia retorica dell'apostolo. La terza fase s'interroga su quale sia il miglior modello per la teologia di Paolo. Le posizioni in campo sono diversificate e il dibattito acceso. I ricercatori delle diverse confessioni chiamano in causa non solo Agostino e Lutero, ma direttamente Paolo e la sua teologia. Le domande prospettate sono determinanti: Quale antropologia paolina risalta dalla giustificazione? In che relazione si trovano la giustificazione per la fede e il giudizio finale per le opere? Qual è il contributo dell’etica rispetto alla giustificazione?

Prima di addentrarsi nell'articolazione del tema della giustificazione nelle lettere autoriali di Paolo, l'autore dedica il capitolo II ai suoi prolegomeni. Precisa con argomenti filologici la distinzione tra giustizia, giustificazione e dottrina sulla giustificazione. Nega qualsiasi collegamento tra l'evento di Damasco e il sorgere della dottrina sulla giustificazione, che è certamente posteriore. Ricorda che l'evento di Damasco è descritto con il linguaggio della vocazione e non della conversione e assolve Paolo da ogni responsabilità per la sua condotta di persecutore della "Chiesa di Dio". Dichiara che la giustificazione nella riflessione di Paolo è radicata nella Scrittura e si fonda su solide basi testuali (Gen 15,6; Ab 2,4; Sal 97,2-3; Sal 142,2; Is 40-55; 52,13-53,12). Richiama il retroterra greco-romano, che parte da argomentazioni filosofiche e approda a concezioni forensi (Aristotele, Ulpiano). Cita la letteratura qumranica e intertestamentaria per collegare la giustificazione al giudaismo del secondo tempio. Mette in luce il suo collegamento in senso metonimico con la parola della Croce e la sua sintesi più abbreviata della cristologia paolina (cf. 1 Cor 1,30). Annota che il dilemma della giustificazione sorge in contesti polemici delle lettere paoline (avversari in Galazia), ma ha un prodromo nell'incidente di Antiochia, dove l'apostolo è in antitesi con Pietro e Giacomo. Disquisisce sulla funzione sintattica della locuzione "giustizia di Dio" (genitivo soggettivo, d'autore o d'agente?), finendo per concordare con Agostino: «La giustizia di Dio, non per la quale Egli è giusto, ma per cui noi siamo fatti (giusti) da lui [...]. Siamo, perciò, giustificati da Dio (genitivo soggettivo) in Cristo (genitivo d'autore)» (p. 33). Infine, interpreta il tema della giustificazione in rapporto alla cronologia epistolare, affermando che il dilemma sorge dopo 1-2 Corinti, esplode in Galati, è ripensato con maggiore ampiezza in Romani, per assumere valore preventivo in Filippesi, mentre in Efesini e 1-2 Timoteo assume una predominante connotazione valoriale etica. Nella lettera a Tito la dialettica della giustificazione si estende all'antitesi tra le opere giuste, compiute dagli esseri umani, e l'azione della grazia divina per mezzo di Gesù Cristo, a totale vantaggio della seconda.

Dopo aver circoscritto le lettere autoriali e risolta la questione della cronologia epistolare, in cui la categoria biblico-teologica della giustificazione nasce e si evolve, dal capitolo IIIin avanti si cominciano a esaminare tutti i sintagmi in cui il lessema e le sue lemmatizzazioni sono evocati in rapporto ai grandi temi della teologia paolina (Dio, la fede, la grazia, la legge, la diaconia, la figliolanza divina, la riconciliazione, l'evangelo, l'obbedienza, il peccato, la gloria, il giudizio, la misericordia, l'etica, lo Spirito...). Si ritiene che il tema della giustificazione abbia avuto il suo esordio nella parola della croce (1 Cor 1,18-19) e nella sentenza lapidaria circa le divisioni e i partiti a Corinto (1 Cor 1,30). In entrambe le due proposizioni Paolo avrebbe fatto ricorso con piena libertà alla regola farisaica della g ͤzērâ šāwâ per formulare il paradosso e il contrasto tra la sapienza umana e la follia divina: «Il crocifisso ingenera una sapienza e un vanto paradossale [...]. Dio giustifica i credenti per mezzo della croce di Cristo e li fa essere in lui per la più paradossale delle sue vie» (pp. 41.43). Secondo 1Cor 6,1-11 si è giustificati nel nome del Signore e con lo Spirito: «In una formulazione trinitaria implicita [...]. In pratica Dio giustifica e santifica nel nome del Signore risorto e con l'azione vivificante dello Spirito [...] lo Spirito di Dio rende presente, al di là dello spazio e del tempo, l'evento della giustificazione» (pp. 45-46).

Il capitolo IV presenta cinque proposizioni, tratte dalla seconda lettera ai Corinzi, intorno al tema della giustizia e della giustificazione. Paolo definisce il proprio ministero diaconia della giustizia in vista della riconciliazione. Pitta osserva che nella prima apologia Paolo accomuna le due proposizioni (2Cor 5,14 e 2Cor 5 ,21) mediante il tema della morte per (hypér) tutti gli esseri umani. In 2Cor 5,21 i credenti sono definiti giustizia di Dio, perché «nella sua morte di croce, Gesù diventa la massima rivelazione del peccato ed è trasmessa ai credenti la giustizia di Dio» (p. 50). Si tratta di una formula d’interscambio, in cui si parte dalla situazione di Cristo, si giunge alla situazione favorevole hypér e si conclude con una finale introdotta da hína (affinché), che sottolinea l'esito dell'azione favorevole: «Dio non rese peccato il suo Figlio al posto nostro, ma per noi o affinché i credenti ricevessero in dono la sua giustizia» (p. 50). L'autore afferma che «i credenti sono giustizia di Dio, perché egli li ha giustificati con il paradossale interscambio tra il nostro peccato e Colui che non aveva conosciuto peccato» (p. 51). Per Paolo si è giustificati in modo paradossale, per l'essere in Cristo, si diventa giustizia di Dio, lasciandosi riconciliare con Dio, ma si assume la distanza da qualsiasi forma di empietà o contaminazione (2Cor 6,14-15). Per Pitta «se costitutivo della giustizia di Dio è la giustificazione dell'empio, consequenziale è che tra la giustizia e l'empietà resta una totale incomunicabilità» (p. 57). Si può dire che «giustificati dallo Spirito, si è in grado di esercitare la diaconia a servizio dell'evangelo, secondo una trasformazione progressiva di gloria in gloria [...]. La gratuità della giustificazione non appartiene soltanto alla sfera divina, che lascia i credenti come semplici ricettori, ma si travasa nella giustizia di chi partecipa alla colletta per i poveri di Gerusalemme [...]. Scaturisce dalla generosità di chi opera a causa della gratuità con cui è stato giustificato» (p. 65).

Nel capitolo V si esamina il rapporto tra giustificazione e figliolanza divina nella lettera ai Galati. Dopo aver rilevato che il genere retorico epistolare della lettera è dimostrativo o epidittico, probabilmente derivato da un originale genere kerygmatico epistolare, egli si chiede qual è la principale tesi della lettera. È comunemente riconosciuto che la sua struttura retorica si articoli in: narratio, propositio e probatio. Quanto all'individuazione della propositio si presenta uno status quaestionis delle possibili ipotesi proposte dai diversi autori (GaI2,15-21; Gal 1,6-9; Gal 3,28; Gal 2,16; Gal 1,11-12). La tesi di Gal 1,11-12, preparata dal prescritto di Gal 1,1-5, incorporante una salutatio epistolare, ampliata con un frammento prepaolino, ingenera la prima sezione autobiografica (Gal 1,13-2,21). «Paolo racconta la propria esistenza per dimostrare, contro i galati che intendono passare da Cristo alla Legge, che egli ha compiuto prima di loro il percorso contrario: dall'osservanza zelante per la Legge e le tradizioni dei padri alla rivelazione del figlio di Dio e all'adesione piena della verità dell'evangelo» (p. 72). La periautologia, nella quale Paolo evoca retrospettivamente l'assemblea di Gerusalemme e l'incidente di Antiochia, conduce a una fusione di orizzonti, quasi in trasparenza, con la situazione epistolare in cui si trovano i galati. Per la prima volta nel discorso ai galati (Gal 2,16) compare il dilemma sulle vie della giustificazione: «se la giustificazione derivasse dalla Legge, Cristo sarebbe morto invano» (p. 74).

Il dilemma della giustificazione è articolatamente discusso, esaminando la composizione stilistica di Gal 2,16. Dalla struttura chiastica della proposizione si può desumere come la fede di Cristo sia lo "strumento" (diá) e l'''origine" (ek) della giustificazione. Egli osserva che grammaticalmente il sintagma fede di Cristo può essere inteso in senso soggettivo, ossia di affidabilità, fede o fedeltà che Gesù ebbe durante la sua vita terrena, e ciò si troverebbe all'origine della giustificazione. Tuttavia, in forza di ragioni sostanziali egli preferisce sostenere la portata oggettiva della proposizione. Quanto alle opere della Legge s'ipotizza un genitivo di autore: si tratterebbe delle opere che la Legge richiede. La New Perspective le identifica con gli indicatori di demarcazione, che separano i giudei dai gentili (la circoncisione, le regole di purità alimentari, l'osservanza del calendario liturgico). Paolo ha una visione meno restrittiva degli indicatori di demarcazione che non riferisce a tutte le opere in generale, ma unicamente alle opere della Legge, in contrasto con la fede in Gesù Cristo. Inoltre, in Ga12,17 -21 Paolo affronta l'alternativa tra Cristo e la Legge, come via per la giustificazione. Da quest'alternativa Paolo esce scegliendo la partecipazione alla morte di Cristo: con-crocifisso insieme a Cristo, morto alla Legge, mediante la Legge. L'evento della morte di Cristo è la massima manifestazione della grazia divina, che motiva e in genera la giustificazione.

Il passaggio dalla giustificazione alla figliolanza abramitica è ricostruito in Gal 3 ,6-14. Abramo è il primo che ha testimoniato la relazione tra la fede e la giustificazione. Per questo è padre di tutti i credenti: dei gentili, perché la fede gli fu accreditata prima che fosse promulgata la Legge; e dei giudei, che nasceranno dalla sua discendenza. L'autore utilizza la regola della g ͤzērâ šāwâ per interpretare GaI3,13 nella prospettiva teologica di Dt 21,23 e provare che Gesù divenne maledizione, affinché la benedizione di Abramo raggiungesse i gentili e ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede. Il paradosso è eclatante, posto in risalto dalla metonimia dell'astratto (maledizione) al posto del concreto (maledetto). In tale prospettiva il paradosso della croce di Cristo, dove la maledizione diventa veicolo della benedizione non è evitato. Gesù non divenne maledizione perché aveva trasgredito la Legge o aveva peccato, ma per noi, affinché ricevessimo lo Spirito promesso che rende figli di Abramo e di Dio. Quanto alla natura e alla funzione della Legge, questa non vivifica e, pertanto, non giustifica (Gal 3,19-22). Si è giustificati dalla fede (Gal 3,23 -29). E allora cosa dire della Legge? Ha condotto coloro che le sono sottomessi a Cristo, come un pedagogo che permette di passare dalla fase adolescenziale a quella adulta della vita umana? Oppure non avendo nulla a che vedere con la giustificazione, impedisce di raggiungerla? O le due funzioni possono coesistere? Egli sceglie la funzione negativa della Legge, perché in tutta la lettera la fede e la Legge sono viste in alternativa rispetto alla giustificazione. Dunque il cratere principale dell'evangelo per Galati non è la giustificazione, ma la figliolanza abramitica e divina.

L'ampio e strutturato capitolo VI esamina la lettera ai Romani e propone "la giustizia di Dio" come "centro dell'evangelo". La lettera ai Romani, la cui tesi generale, concordemente e lapidariamente, è ritenuta espressa in Rm 1,16-17, è anche secondo la nota espressione di Lutero il Vangelo più puro. L'autore dibatte sul genere letterario della lettera e sulla tensione tra i forti e i deboli (Rm 14,1-15,13), esamina il rapporto tra l'evangelo e la giustizia di Dio (Rm 1,1-17), prospetta la rivelazione della collera e della giustizia di Dio (Rm 1,18-4,25), individua nella tesi secondaria della lettera (Rm 3,21-22a) il legame che unisce la giustizia e la fede, chiarisce il rapporto tra giustificazione e riconciliazione (Rm 5,1-8,39), nega che Rm 7,7 -25 possa fondare la dottrina del simul peccator et iustus di Lutero, mette a confronto la giustificazione con la Parola di Dio (Rm 9,1-11,36), chiarisce il significato della proposizione "Cristo fine della Legge" (Rm 10,4) e desume le conseguenze etiche della giustificazione (Rm 14,1-15,13). In conclusione, si può affermare che «la giustificazione non si realizza per mezzo della Legge, ma è testimoniata dalla Legge e i Profeti [...]. I credenti sono giustificati dalla fede per mezzo di Cristo e alimentati dall' azione dello Spirito che vivifica» (p. 175).

Nel capitolo VII si esamina l'ultima lettera autoriale dell'apostolo. S'interpreta il sintagma "frutto della giustizia" (Fil 1,11) come genitivo soggettivo. Si disputa sul rapporto tra giustificazione e conformazione (FiI 3,4b-16), in cui si relaziona la fede alla progressiva conformazione tra Cristo e i credenti, in un processo d'imitazione riproduttiva, che perviene al termine con la trasformazione del nostro umile corpo che si sta conformando al suo corpo glorioso.

Nel capitolo VIII si presentano le tracce della giustificazione nella prima (2Ts, Col, Ef) e nella seconda (1Tm, Tt, 2Tm) tradizione paolina. I credenti di Tessalonica attendono, secondo la prospettiva della giustizia retributiva inversa, il giusto giudizio di Dio (2Ts 1,3 -12). Nella parte paracletica della lettera agli Efesini i destinatari sono esortati a rivestirsi dell'uomo nuovo nella giustizia (Ef 4,20-24). Si tratta di un vero e proprio atto creativo. Con la seconda tradizione paolina s'invita Timoteo a seguire l'esempio di Paolo, presentato come chi è passato da peccatore a credente. A differenza delle lettere autoriali, in cui la Legge mosaica è confermata, ora "la legge non è per il giusto" (1Tm 1,9-10). Il passaggio dal Paolo storico a quello della tradizione comporta la trasformazione del modello della vocazione a quello della conversione, perché si è già realizzata la separazione tra il movimento protocristiano e il giudaismo rabbinico. Suscita un certo stupore che al mistero di Cristo sia riferita la proposizione "fu giustificato nello Spirito" (1Tm 3,16), un'antica confessione di fede sorta nelle comunità protocristiane. Eppure soltanto la potenza dello Spirito permette di annunciare il mistero di Dio, rivelato nell'evento più nascosto del Cristo crocifisso. Al vertice della seconda tradizione paolina si trova l'inno battesimale di Tt 3,4-7, che estende al massimo gli orizzonti della giustizia salvifica.

In conclusione, Pitta con l'esegesi retorica delle lettere autoriali paoline sul tema della giustificazione, lette sullo sfondo dell'Antico Testamento, del giudaismo e delle diverse correnti neotestamentarie, ha messo a punto nuovi e importanti elementi utili al dibattito sulla teologia della giustificazione. In questo saggio, fin dal titolo, tratto da un inno battesimale della lettera a Tito, egli ha delineato i due centri focali della teologia paolina: l'''essere giustificati" e l'''essere in Cristo". Nella sua proposta esegetica ciò che sembra decisivo è il radicamento della giustificazione nella parola della croce, nel paradossale interscambio tra il nostro peccato e Colui che non aveva conosciuto peccato e nel paradosso della croce di Cristo, dove la maledizione diventa veicolo della benedizione. Tant'è che l'evento staurologico è, incontrovertibilmente, posto a fondamento della giustificazione.

Nell'ultimo capitolo (il IX) l'autore sintetizza le conclusioni del suo saggio ed enuncia alcuni punti fermi in vista del dibattito contemporaneo sulla giustificazione: a) dal frammento prepaolino di Rm 3,25-26a, sorto in ambiente cultuale e templare, si desume che la tematica della giustificazione era argomento discusso già nelle comunità protocristiane; b) il tema della giustificazione è introdotto nella corrispondenza con i Corinti, esplode in Galati, è ripensato con maggiore ampiezza in Romani, per assumere valore preventivo in Filippesi. In 1-2 Timoteo assume una predominante connotazione valoriale etica. In Colossesi e Efesini non è trattato, perché assorbito dalla soteriologia e collegato alla volontà di Dio. Nella lettera a Tito si estende all'antitesi tra le opere giuste, compiute dagli esseri umani, e l'azione della grazia divina per mezzo di Gesù Cristo; c) lo Spirito rende attuale la giustificazione compiuta da Dio, apre alla fede e conduce al battesimo; d) senza negare l'importanza della risposta umana la giustificazione, per la sua paradossale gratuità, non comprende alcun sinergismo o cooperazione tra Dio e la persona umana, ma conserva l'eccedenza della sovrabbondanza. La risposta umana è importante ma è consequenziale. Su questo dato la Dichiarazione congiunta è pervenuta a un fondamentale dato condiviso: «Insieme confessiamo che le buone opere sono la conseguenza della giustificazione e ne rappresentano i frutti» (n, 37); e) I temi della giustificazione e della partecipazione da alcuni decenni sono posti in alternativa. A ben vedere essi sono comunicanti tra loro e sono accomunati dall'evento della croce di Cristo; e) al centro della giustificazione per la fede c'è l'evento della morte e risurrezione di Cristo; f) la dottrina paolina della giustificazione è una teoria soteriologica, ma senza dubbio essa ha il suo spazio reale nell'ecclesiologia; g) per Paolo non c'è la cognizione di un canone nel canone, che favorisca una parte più autorevole della Scrittura a detrimento di una secondaria; h) la tradizione è insita nella Scrittura perché, prima di essere scritta, attraversa imprescindibili fasi di trasmissione orale. Scrittura e tradizione non sono alternative, ma si coappartengono e sono impensabili in modo isolato.


N. Di Bianco, in Asprenas 4/2019, 487-493

Antonio Pitta è un nome noto nel panorama degli studi neotestamentari, soprattutto quelli paolini. Professore Ordinario presso la Pontificia Università Lateranense e Invitato presso la Pontificia Università Gregoriana, ha all’attivo diverse pubblicazioni su Paolo e le sue lettere, compresi gli apprezzati commentari a Romani, Galati, Filippesi e 2 Corinzi, che lo insigniscono come uno dei maggiori esperti dell’epistolario in ambito italiano e non solo.

Il volume Giustificati per grazia. La giustificazione nelle lettere di Paolo, offre uno studio ampio e sistematico sul complesso e mai superato tema della giustificazione, sia all’interno dell’epistolario proto che deutero-paolino. La giustificazione per fede, che secondo l’A. rappresenta un vero e proprio evangelo più che una semplice dottrina, permette uno sguardo trasversale sull’insieme dell’epistolario. Tematizzata in modo diretto in Galati (in connessione con il tema della figliolanza) e Romani (dove può esser considerata il tema centrale di tutta la lettera), tale “evangelo” sottende anche altre lettere (in primis Filippesi), funzionando come una sorta di volano di connessione tra diversi argomenti e tematiche esaminati dall’Apostolo.

Sebbene si tratti di un tema molto investigato, che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro e riempito scaffali di biblioteche (l’A. parla di “alta marea”), lo studio di Pitta trova una sua originalità nell’indagare il concetto paolino lungo tutto l’epistolario, anche laddove esso non è oggetto di una evocazione diretta, e nell’esplicitare la sua connessione con alcune dimensioni centrali della teologia dell’Apostolo, soprattutto quella mistico-partecipativa e quella pneumatica. L’A. mostra come la giustificazione emerga ben prima di Paolo nella riflessione delle comunità protocristiane e come continui a costituire, anche dopo l’Apostolo, un tema di riferimento nella riflessione delle comunità di origine paolina.

La ricerca è portata avanti attraverso un’indagine di tipo prevalentemente retorico (approccio preferito dell’A.), senza trascurare qualche incursione di tipo storico-critico, soprattutto per chiarire alcune questioni interpretative (per esempio per la trattazione di Gal). Per cogliere meglio la prospettiva e l’apporto specifico dell’opera, ripercorriamone brevemente i contenuti. Il primo capitolo, dal titolo La giustificazione, cratere principale o laterale?, traccia un breve status quaestionis sulla ricerca concernente la giustificazione. Si evocano gli autori e i momenti decisivi in cui la questione è venuta alla ribalta, dando particolare attenzione alla New Perpective (sviluppata da J.D.G. Dunn, E.P. Sanders e N.T. Wright) e al The Romans Debate (lanciato da K.P. Donfried), di cui si valutano criticamente gli apporti e i punti deboli. Un secondo capitolo offre, come precisato dal titolo Prolegomeni sulla giustificazione, le basi per la trattazione del tema nei capitoli successivi. Si affronta il punto assai dibattuto del rapporto tra epistolografia antica e retorica (l’A. riconosce – per quanto riguarda Paolo – una continuità innegabile tra i due) e si analizza brevemente il vocabolario della giustificazione, arrivando alla conclusione che essa, più che una dottrina, rappresenti un “evangelo”, incentrato sul paradosso (cf 25). Gli altri elementi analizzati sono il rapporto tra giustificazione ed evento di Damasco, il ruolo delle Scritture, il legame col giudaismo del secondo Tempio, la dimensione cristologica (in rapporto alla “parola della croce”), la connessione con gli avversari di Paolo e la cronologia epistolare.

Con il capitolo terzo (La parola della croce e la giustificazione) s’inaugura la trattazione del tema nello specifico delle singole lettere. Si inizia con 1Cor di cui, dopo qualche considerazione di tipo strutturale, retorico e tematico, si trattano con maggiore attenzione le due pericopi concernenti la giustificazione (4,1-13 e 6,1-11). Benché essa non rivesta un ruolo centrale, la tematica soteriologica, centrata sulla croce di Cristo, e il suo legame con i credenti la evidenziano in filigrana. Il quarto capitolo, dal titolo I credenti, giustizia di Dio e la diaconia della giustificazione, si sofferma su 2Cor, e in particolare sulle pericopi 5,11-21; 6,14-7,1; 3,4-11; 11,7-21a; 9,9-10. Anche qui è fatto emergere come, pur senza una trattazione diretta, la giustificazione costituisca una traccia di fondo, soprattutto in relazione all’esperienza dei credenti e al tema della riconciliazione. Il capitolo quinto (Giustificazione e figliolanza divina) indaga la presenza del tema in Gal. I brani analizzati da vicino sono 1,13-2,21; 2,14b-16; 2,17-21; 3,6-14; 3,19-22; 3,23-29 e 5,2-12. Per frenare il desiderio dei galati di sottomettersi alla circoncisione e alla Legge mosaica, Paolo si sofferma sulla libertà che è frutto della giustificazione mediante la grazia. A tal riguardo porta come esempio se stesso che, dall’osservanza della Legge, ha optato per la fede in Cristo. L’A. fa qui notare come la categoria di giustificazione sia funzionale al concetto di figliolanza, che rappresenta il vero fulcro della lettera. In connessione ad essa ha un ruolo importante lo Spirito, come principio che l’alimenta fino al compimento finale.

Il corposo capitolo sesto, dal titolo La giustizia di Dio, centro dell’evangelo, affronta la giustificazione in Rm, con tutti i risvolti e connessi. Di questa lettera si difende innanzitutto il carattere “contestuale” (cf 101), prendendo posizione anche su altri dibattiti che la interessano. I brani analizzati sono quelli più rilevanti per l’argomento in questione: 3,8; 14,1-15,13; 1,1-17; 1,18-4,25 è affrontato in diverse parti, così come le sezioni 5,1-8,39 e 9,1-11,36. L’analisi di 14,1-15,13 chiude la trattazione esegetica, che rappresenta un commentario quasi completo del testo paolino, confermando come la giustificazione rappresenti un “cratere principale” e non secondario della lettera (p. 175). In conclusione si evidenzia l’impossibilità di sostenere, a partire da Rm, due assiomi invalsi della tradizione riformata: il canone nel canone e la dottrina del simul peccator et iustus. Il settimo capitolo (Conformazione e giustificazione dalla fede) si sofferma su Fil, l’ultima delle lettere autoriali. Benché lo scopo della missiva sia primariamente di sostenere i filippesi nelle loro tribolazioni, il tema della giustificazione appare fin dall’esordio (1,3-11) e poi in maniera più estesa in 3,4b-16, nel contesto dell’autoelogio o periautologia. La tesi principale difesa da Paolo è che, pur annunciando e prevedendo la giustificazione, la Legge è impossibilitata a conferirla. Essa dipende unicamente dalla morte e risurrezione del Cristo, cui i credenti sono chiamati a conformarsi progressivamente. L’ottavo capitolo (Giustificati per la sua grazia) si sofferma sulle lettere della prima (2Ts, Col, Ef ) e seconda tradizione paolina (1Tm, Tt, 2Tm), evidenziando come la tematica della giustificazione continui a restar viva nelle comunità paoline anche dopo il 70 d.C., benché con evoluzioni ed inevitabili involuzioni. Si prendono in considerazione 2Ts 1,3-12; Ef 4,20-24; 1Tm 1,9-10; 3,16; 6,11; Tt 3,4-7; 2Tm 2,22 mostrando come la giustificazione sia progressivamente assorbita nella soteriologia e associata sempre più allo Spirito, che lungo la storia umana ha la funzione di ripresentarla e attualizzarla in maniera sempre nuova.

Il capitolo conclusivo tira le somme del percorso, facendo emergere come la giustificazione rappresenti un “universo simbolico” che sintetizza e mette in comunicazione diversi temi e ambiti del pensiero paolino. L’A. sintetizza in dieci punti le acquisizioni maggiori del percorso fatto: a) La preesistenza del concetto a Paolo; b) La sua connessione all’evangelo; c) Il ruolo dello Spirito, che vivifica l’unica giustificazione in Cristo e la rilancia in vista della salvezza sperata; d) L’insistenza sulla grazia; e) La relazione con la dimensione partecipativa o mistica (giustificazione e partecipazione sono non alternative, ma accomunate dalla grazia e dalla croce di Cristo); f ) Il legame con la fede di/in Cristo; g) La dimensione ecclesiale; h) Il rapporto col giudizio finale; i) Le conseguenze riguardo alla Scrittura e in particolare alla teoria del “canone nel canone”; l) La connessione alla Parola (solo verbo).

Oltre a quanto già sottolineato, due ci sembrano i meriti maggiori dell’opera di Pitta nel contesto della bibliografia già abbondantissima sul tema. In primo luogo la sottolineatura della dimensione pneumatica della giustificazione: lo Spirito rappresenta in qualche modo il dinamismo stesso della giustificazione, senza il quale essa «rischia di arenarsi tra l’azione di Dio e la risposta umana» (10). In secondo luogo, l’attenzione alla dimensione mistico-partecipativa connessa al concetto di giustificazione: l’A. riesce a pacificare il tema della giustificazione, considerata per secoli fulcro del pensiero paolino, e quello dell’essere “in Cristo”, impostosi negli ultimi decenni come cuore dell’autocoscienza dell’Apostolo e del suo pensare teologico.

Più che scegliere tra i due, occorre leggerli in connessione, come fiamme complementari che alimentano il fuoco dell’esperienza e della predicazione dell’Apostolo. Tali elementi conferiscono al testo un innegabile interesse, sia per chi voglia approfondire la questione specifica, sia per chi, a partire da questo tema-cardine, voglia affrontare il pensiero e la teologia di Paolo in maniera non semplicistica.

Il volume di Pitta testimonia non soltanto che «della giustificazione non si dirà mai abbastanza» (208), ma più in generale come, dopo secoli di studio e pubblicazioni, il pensiero dell’Apostolo delle genti non cessi di animare la riflessione esegetica, stimolando ricerche e approfondimenti sempre nuovi. Immergervisi è ogni volta esperienza foriera di scoperte e sorprese.


L. Gasparro, in Rassegna di Teologia 60 (2019/4) 689-692

Il libro è un saggio sul tema ancora parecchio discusso della giustificazione per la fede nelle lettere di Paolo. L’autore, molto conosciuto ai lettori della rivista, non ha bisogno di presentazione, essendo uno dei migliori studiosi di Paolo in ambito italiano e non solo. Si deve dire che egli non manca certo di coraggio ad affrontare un soggetto che porta con sé una lunga storia di interpretazione e quindi dimostra la sua ormai raggiunta maturità nella ricerca.

Il volume fa parte della prestigiosa serie «Biblioteca di Teologia Contemporanea» e, coerentemente, Pitta, pur partendo dalla sua prospettiva di esegeta, si mette da subito in dialogo con tutta la teologia. All’inizio, dopo le abbreviazioni e le sigle, troviamo una concisa ma significativa prefazione dell’autore (9-11). In essa si spiega il titolo del volume, ispirato all’ultima ricorrenza del suddetto tema nelle lettere paoline (Tt 3,7), ma si presentano anche idee salienti del libro, quali la giustizia e la giustificazione come concetti relazionali, il ruolo dello Spirito in tale processo, il rapporto tra giustificazione e partecipazione nella teologia paolina.

Il primo capitolo (13-22) è dedicato alla discussione sul ruolo della giustificazione nel pensiero di Paolo, con particolare attenzione alla posizione della New Perspective che, a differenza della lettura tradizionale di origine luterana, considera tale tematica secondaria rispetto a quella della partecipazione dell’essere in Cristo. Secondo Pitta, oltre a tale tendenza, nel dibattito odierno sulla giustificazione si deve considerare anche la valutazione della contingenza o permanenza della Lettera ai Romani e il modello di riferimento per la teologia di Paolo.

Il secondo capitolo (23-35) è intitolato «Prolegomeni sulla giustificazione» e l’autore, dopo aver dichiarato che nel suo libro si muoverà nell’ambito metodologico della retorica epistolare, propone in otto punti i guadagni raggiunti dalla ricerca sulla giustificazione. Al primo punto Pitta chiarisce l’importanza di distinguere la dottrina della giustificazione, che appartiene alla storia della teologia, dall’evangelo della giustificazione di Paolo che non nasce per riflessione teorica ma dalle relazioni tra lui e i destinatari delle sue lettere. Poi l’autore sostiene che il pensiero di Paolo sulla giustificazione non si è chiarito del tutto già al momento dell’evento di Damasco, così come alcuni hanno sostenuto. Come terzo elemento, Pitta afferma che la giustificazione secondo Paolo è radicata nella Scrittura. In un quarto punto si mette in risalto il legame tra l’espressione «opere della Legge» e il concetto di giustizia con testi del giudaismo del Secondo Tempio, quali 4QMMT o il Libro di Enoc. Come quinto elemento l’autore menziona il legame tra la giustificazione e la parola della croce in Paolo. In un sesto punto Pitta segnala che l’Apostolo ha una visione non organica della giustificazione, ma situazionale, dovuta anche alle polemiche con i suoi avversari. In merito al settimo elemento, l’autore discute sulla distinzione tra genitivo soggettivo e oggettivo riguardo all’espressione paolina «giustizia di Dio», propendendo per un genitivo d’agente che comprenda i due precedenti. Infine, come ottavo punto, l’autore afferma che il dilemma sulle vie della giustificazione – se per la Legge o per la fede – è da comprendere all’interno di una possibile cronologia delle lettere paoline, così da affermare che esso esplode in Galati, è ripensato più ampiamente in Romani e assume valore preventivo in Filippesi. Questi due capitoli sono di grande valore e chiarezza e costituiscono una importante introduzione per cominciare l’investigazione sul tema della giustificazione nelle diverse lettere paoline. Tuttavia, a nostro avviso, qui si sarebbero potute approfondire maggiormente le radici anticotestamentarie del linguaggio e del concetto della giustificazione e anche l’etimologia del relativo lessico greco.

In seguito Pitta, chiarendo in maniera convincente che, sebbene l’alternativa sulle vie della giustificazione coinvolga soltanto Galati, Romani e Filippesi, la tematica della giustificazione è già presente in 1–2 Corinzi, dedica il terzo capitolo (36-47) a 1 Corinzi. In questa lettera, e nello specifico in 1,30 e in 6,11, la giustificazione non rivestirebbe un ruolo centrale ed è vista in relazione con la parola della croce. Così i credenti sono giustificati per mezzo della croce di Cristo, il quale è diventato per loro giustizia di Dio, e in tale processo lo Spirito mette in relazione la giustificazione all’essere in Cristo.

Il quarto capitolo (48-65) si sofferma invece su 2 Corinzi e qui l’autore opera un’oculata scelta tra le varie ricorrenze di «giustizia», per mostrare quelle non legate alla relativa virtù ma al tema della giustificazione. Esse si ritroverebbero soprattutto in 3,9 e 5,21, ma in modo indiretto anche in 6,14; 7,2; 9,9. Nella lettera non si dice soltanto che i credenti sono stati giustificati, ma che essi personificano la stessa giustizia di Dio che si trova all’origine della riconciliazione. D’altra parte, anche il ministero di Paolo è visto a servizio del vangelo e come generato dall’azione dello Spirito per la giustificazione dei credenti.

Il quinto capitolo del libro (66-99) è dedicato a Galati, lettera nella quale giustificazione e figliolanza divina si trovano collegate. Per l’autore, in ragione della composizione retorica della lettera, l’espressione principale dell’evangelo in Galati non sarebbe la giustificazione, come un buon numero di studiosi sostiene, ma la figliolanza abramitica e divina, alla quale la prima risulterebbe funzionale. D’altra parte, in questa lettera per la prima volta Paolo, in risposta al desiderio dei credenti galati di sottoporsi alla circoncisione e alla Legge, mostra il dilemma della giustificazione cristiana, basata sulla fede in Cristo e non sulle «opere della Legge». Secondo Pitta tale espressione ha a che fare con tutto quanto la Legge, nella sua forma scritta e orale, richiede al suo suddito (in questo ambito il lettore avrebbe gradito una dimostrazione un po’ più approfondita). D’altra parte, la giustificazione per la fede mediante l’azione dello Spirito – il cui ruolo in tale processo è ribadito chiaramente nella lettera – conduce i credenti a essere e a vivere da figli di Dio.

Il sesto capitolo (100-174) è il più lungo perché interamente dedicato alla Lettera ai Romani, nella quale la giustificazione occupa il posto centrale e, di conseguenza, presenta molte ricorrenze. In effetti, ad avviso dell’autore, dalla tesi generale di 1,16-17 sino a quelle secondarie di 3,21-22a; 5,1-2 e 10,4, la giustificazione attraversa l’epistola, assumendo sfaccettature diverse. In Romani i credenti, giustificati dalla fede per mezzo di Cristo, sono alimentati dall’azione dello Spirito e inseriti nel progetto di Dio, il quale comprende la giustificazione universale che culmina nella glorificazione futura e nella piena conformazione a Cristo. Infine la giustificazione diventa criterio della differenza, e quindi di discernimento, nella situazione delle comunità romane divise tra forti e deboli.

Il settimo capitolo (177-184) riguarda la giustificazione in Filippesi, presente non solo in 3,6.9 con la sua dimensione alternativa, ma anche indirettamente in 1,11. In questo capitolo purtroppo siamo costretti a constatare che la lettura della sintassi di 3,9 non ci risulta corretta, perché non tiene conto della costruzione greca con doppio accusativo in dipendenza dal verbo ἕꭓꞷ.

L’ottavo capitolo (185-199) è dedicato alla giustificazione nelle Deuteropaoline, le quali sviluppano in modo diverso le istanze derivanti da questa tematica. Qui Pitta mette giustamente in rilievo il testo di Tt 3,4-7, dove la giustificazione è operata dall’azione concorde delle tre Persone divine, è legata al battesimo e apre al futuro della vita eterna.

Il nono capitolo (200-208) contiene le conclusioni sul tema della giustificazione nelle lettere paoline. Pitta presenta qui dieci valide e condivisibili posizioni che riassumono il contenuto essenziale del suo saggio. La prima sostiene, sulla scorta del frammento pre-paolino di Rm 3,25-26a, che Paolo non è stato il primo ad affrontare la tematica della giustificazione. Nella seconda si dice che al centro di tutte le lettere paoline c’è l’evangelo, mentre la giustificazione è presente soltanto nelle suddette epistole e con diverso grado di importanza. Al terzo punto l’autore sottolinea il ruolo dello Spirito nella giustificazione. Nel quarto rimarca che fondamentale è la dimensione per grazia della giustificazione. Al quinto si sostiene non l’alternativa, ma la complementarità tra giustificazione e partecipazione. Nella sesta conclusione si afferma che la giustificazione è praticamente sempre per la fede in Cristo, in base a un genitivo oggettivo. Al settimo punto l’autore ricorda la dimensione ecclesiale della giustificazione, che accomuna tutti i credenti, in Paolo. Nell’ottavo Pitta sostiene che la giustificazione tende verso il giudizio finale. Nelle ultime due conclusioni si dice infine che la giustificazione ha un retroterra basato sulla Scrittura, ma è legata anche alla tradizione viva della comunità credente. Il testo si chiude con l’ampia bibliografia, l’indice analitico, quello degli autori e quello generale (209-233).

La nostra valutazione del saggio di Pitta è chiaramente positiva, nella convinzione che esso rappresenta un contributo importante alla ricerca sul tema della giustificazione nelle lettere paoline. Nondimeno, a una valutazione più precisa emergono, secondo noi, anche alcuni limiti, oltre ai pochi summenzionati. Lo stile dell’autore è molto conciso e denso, ma questo talvolta lo porta a essere poco attento al lettore, non fornendo un collegamento logicamente chiaro nel discorso (si veda ad es. il passaggio tra gli ultimi due paragrafi di p. 21). Abbiamo anche trovato piccoli refusi: p. 92 r. 13 («soggettiva» invece di «oggettiva»), p. 95 r. 19 («5,6» invece di «5,5»), p. 181 r. 19 («31» invece di «32»), la mancata citazione completa nella bibliografia finale del contributo di G. Schrenk citato nel corso del saggio. Si deve segnalare un’inesattezza a p. 17, in quanto N.T. Wright ha attualmente preso un po’ di distanza dalla New Perspective, cosicché il suo orientamento ha assunto il nuovo nome di Fresh Perspective, e un’altra a p. 26 nota 12, dove all’autore di questa recensione è attribuita erroneamente l’idea che 2,16 sia la tesi principale di Galati.

Dal punto di vista metodologico, Pitta opera una valida e convincente esegesi, analizzando le varie occorrenze della tematica della giustificazione all’interno del contesto letterario e argomentativo nel quale esse si trovano. In questo senso, l’autore è coerente con la retorica epistolare di cui è sicuramente maestro, ma riguardo alla quale talvolta assume posizioni che, a nostro avviso, egli presenta come verità incontrovertibili (talvolta di fronte a quella che giudica come incompetenza metodologica di altri interpreti), quando possono anche essere messe in discussione. Se infatti alla p. 68 Pitta sostiene che è metodologicamente necessario distinguere in maniera netta la propositio dal tema della lettera, da parte sua, Aristotele, fondatore della retorica, afferma che la propositio è proprio l’esposizione dell’«argomento attorno a cui si parla» (Rhet. 1414a. 30). Così, tornando alle epistole dell’Apostolo, secondo noi la propositio è la tesi che Paolo intende dimostrare nel suo ragionamento, la quale ha anche a che fare con il tema della lettera e aiuta a determinarlo (vedendo il contenuto delle varie propositiones e la loro gerarchia all’interno dell’epistola). A tal riguardo, a p. 108 Pitta sostiene che il tema di Romani si trova nel testo di 1,2-4, mentre la propositio generale della lettera è in 1,16-17, tuttavia in questo modo nel lettore attento sorge la domanda in base a quale criterio metodologico allora l’interprete abbia potuto determinare il tema dell’epistola. In aggiunta, a p. 38 il nostro autore stabilisce che nelle lettere Protopaoline non ci sia alcuna partitio, in quanto divisione dei temi da trattare, e che essa si riscontra per la prima volta solo in Colossesi. Ma ritornando a Rm 1,16-17, non si potrebbe parlare in qualche modo di partitio, visto che «la giustizia di Dio di fede in fede» introduce bene i cc. 1–4, «il giusto per fede vivrà» i cc. 5–8 e «per il Giudeo prima e poi per il Greco» i cc. 9–11, e lo stesso non potrebbe valere per Fil 1,27-30 rispetto ai cc. 2 e 3? Queste sono soltanto considerazioni che presentiamo per la riflessione, credendo che in qualsiasi ambito esegetico, così come in quello della retorica letteraria o epistolare delle lettere paoline, una maggiore cautela nel sostenere le proprie legittime posizioni non sia a detrimento ma a vantaggio della ricerca.

In conclusione, i nostri rilievi critici non vogliono in alcun modo sminuire l’importanza del testo di Pitta, ma sottolineare piuttosto la sua capacità di suscitare molti argomenti di discussione (e per mancanza di spazio noi non abbiamo potuto ulteriormente interloquire con l’autore) e quindi l’importanza del saggio non solo per gli esegeti di Paolo, ma anche per gli stessi teologi.


F. Bianchini, in Rivista Biblica 2/2019, 324-328

Indagine sulla relazione fra l’«essere in Cristo» e la giustificazione, tema che innerva l’intero epistolario paolino; il vol. parte dalla considerazione che, dopo secoli in cui si è interpretata la stessa giustificazione come il centro della teologia di Paolo, negli ultimi decenni viene posto in primo piano l’essere in Cristo come cuore pulsante del suo pensiero.

Guidati dal metodo storico-critico, l’epistolario ci apre a nuove prospettive: l’a., infatti, a differenza dell’approccio luterano classico, si sofferma anche sulle Lettere pastorali (1-2 Timoteo e Tito) dimostrando come in quest’ultime, soprattutto nell’inno battesimale della Lettera a Tito (Tt 3,4-7), si è in presenza della più chiara alternativa tra la giustificazione per le opere umane o per la grazia.


D. Segna, in Il Regno Attualità 6/2019, 158

Vent’anni fa in Germania venne sottoscritta dai cattolici e dai luterani una dichiarazione congiunta sulla giustificazione: essa non ha chiuso ogni discussione ma ha posto una pietra miliare nel dialogo ecumenico. Sulle Lettere di san Paolo sono stati scritti migliaia di volumi. Sembrerebbe che ormai ben poco ci sia ancora da dire. Eppure, leggendo l’ultimo libro del biblista Antonio Pitta, intitolato Giustificati per grazia (Queriniana, pp 233, euro 18), si ha l’impressione di vedere qualcosa di nuovo.

L’autore, attualmente pro Rettore della Pontificia Università Lateranense di Roma, indaga su un aspetto delicato del corpus Paulinum, quello legato al tema della giustificazione, cioè sulla modalità con cui il cristiano è reso giusto dal Signore. La narrazione è sorretta da una argomentata esegesi e da indagine piena di acribia, giungendo a spiegare che «la giustificazione non è una semplice dichiarazione sulla nuova conclusione umana, ma esprime un percorso salvifico compiuto in modo paradossale da Dio» (p. 53).

In effetti, l’itinerario effettivo è un po’ diverso da quello che ci si aspetterebbe: «non si è prima riconciliati con Dio e quindi si è giustificati, ma poiché si è giustificati si è riconciliati ed esortati a lasciarsi riconciliare con Dio» (p. 64). Questo è lo snodo centrale del libro: quello che conta è essere suoi figli. «Non che la giustificazione sia periferica, ma è funzionale alla figliolanza» (p. 97). Questa prospettiva non implica un disinteresse per il comportamento concreto: anzi, «i credenti sono esortati a servire la giustificazione, ricevuta per grazia, come le membra di un esercito per una battaglia a cui devono partecipare ogni giorno, sino alla definitiva partecipazione della risurrezione di Cristo» (p. 146). Questo processo può avvenire grazie al dono dello Spirito Santo, «che si trova all’origine della giustificazione sperata» e «guida coloro che sono stati giustificati verso l’eredità della vita eterna» (p. 196). Il sacramento che rende presente la giustificazione è il battesimo, che «non è solo la porta d’ingresso, ma anche quella d’uscita della condizione giustificata dei credenti» (p. 198).

Il volume di monsignor Pitta aiuta a prendere coscienza di queste dinamiche, decisive per la vita spirituale, spesso non sufficientemente tematizzate neanche dagli adulti. Eppure, senza consapevolezza di essere figli, gratuitamente resi giusti dal Padre, fratelli di Gesù, animati dallo Spirito, non ci può essere piena vita cristiana.


F. Casazza, in La Voce Alessandrina 21 febbraio 2019, 14

Sono stati gli approfondimenti di sant’Agostino e poi quelli di Lutero a concentrare l’attenzione dei teologi sul tema della giustificazione nell’opera di san Paolo. Le sue lettere costituiscono in realtà una vera miniera di stimoli alla riflessione e di considerazioni dottrinarie, ben eccedenti la questione pur decisiva della giustificazione. I rapporti fra le donne e gli uomini e il loro Dio abbracciano argomenti ed esperienze molto vaste. Antonio Pitta impiega lo strumento dell’interpretazione retorica per approfondire il tema della giustificazione in cinque lettere di san Paolo, così facendo è costretto a sfiorare numerosi soggetti contigui, da questa dinamica nasce un testo ricco e coinvolgente, che mette in evidenza aspetti significativi della teologia paolina, a partire dal primato della chiamata rispetto alla conversione, in dipendenza della epifania avvenuta sulla via di Damasco. Molto dense le conclusioni, aperte da una frase significativa: “Della giustificazione non si dirà mai abbastanza”.
S. Valzania, in Radio InBlu – La Biblioteca di Gerusalemme 9 febbraio 2019

Pochi sanno che a coniare il termine «teologia» non sono stati i cristiani ma Platone nella sua Repubblica (n. 379a), ove considerava la theologhia, cioè il "discorso" o l'indagine su Dio, come una delle mete di ricerca non solo del pensiero ma anche dei «versi epici o lirici o dei testi della tragedia». Il suo discepolo Aristotele nella Metafisica (n. 1026a) articolerà meglio il tema, mettendo la teologia al vertice delle scienze "contemplative" (in greco theoretikai), cioè la matematica, la fisica e appunto la teologia. È su questa base che il vocabolo entrerà nella tradizione cristiana: nel Nuovo Testamento abbiamo, infatti, solo i due anelli che compongono la parola ma non congiunti tra loro: da un lato, théos, «Dio», citato ben 1317 volte, e logos, «discorso», presente 330 volte.

Questa premessa filologica vuole inquadrare il rimando a una solida e duratura collana dell'editrice bresciana Queriniana il cui titolo è emblematico: «Biblioteca di teologia contemporanea». Essa fu inaugurata nel 1969 col saggio di un autore nato in Baviera nel 1928 e allora docente a Münster, Johann Baptist Metz, Sulla teologia del mondo, apparso in tedesco l'anno prima. L'opera, che rifletteva l'atmosfera socio-culturale e non solo ecclesiale di quel periodo, divenne una sorta di manifesto della cosiddetta "teologia politica", preoccupata di calibrare meglio il rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la fede e il divenire storico, nella consapevolezza che «la salvezza, a cui si riferisce nella speranza la fede cristiana, non è una salvezza privata». Cristo stesso non si era auto-recluso nell'intimo del suo incontro col Padre, né si era isolato nell'oasi protetta del sacro, ma si era immerso e incarnato nella realtà storica e sociale.

Da quel volume è discesa una genealogia bibliografica contrassegnata da una costante identità anche grafica e cromatica ma soprattutto aperta a tutte le voci più importanti, significative o anche provocatorie del fecondo arco post-conciliare. Tanto per fare qualche nome, pensiamo a Bonhoeffer e a Ratzinger (la sua Introduzione al cristianesimo ebbe un numero enorme di riedizioni, anche prima della sua ascesa al pontificato), a Moltmann, a Küng, a Pannenberg, a Congar, a Bultmann, a Kasper, Drewermann, von Balthasar, Boff, Gutiérrez, Brown, Meier e così via. Si ha, così, un vero e proprio panorama della riflessione teologica contemporanea, anche con l'incursione recente di figure minori rispetto a quelle appena elencate, segno forse di un affanno in cui si dibatte l'attuale ricerca teorica cristiana.

Ora la collana sta veleggiando verso i duecento titoli: tra gli ultimi segnaliamo la trilogia dei numeri 189, 190 e 191 che toccano temi segnati da un'impronta di originalità. Basta la titolatura del primo, Vangelo e Provvidenza, a rispolverare un vocabolo in passato trionfante non solo nella predicazione ma anche nella retorica apologetica popolare, una realtà ora sostituita dalla ben più realistica "previdenza". Emmanuel Durand, domenicano francese docente a Ottawa in Canada, mostra la complessità della categoria "provvidenziale" che comprende una vera e propria ermeneutica dell'azione di Dio nella storia, tipica di una religione "incarnata" com'è il cristianesimo. È su questo terreno che ci si scontra col tema del male: esso si erge come un picco roccioso che perfora il manto paterno di una Provvidenza divina ma che si combina con l'intervento della redenzione, della salvezza e dell'escatologia. Le lezioni di tre grandi della teologia come Agostino, Tommaso d'Aquino e Newman sono convocate per ripensare una concezione impallidita all'interno di una cultura smaliziata che, nel desiderio di buttar via l'acqua sporca del provvidenzialismo ingenuo, ha rigettato anche il canone clelIa speranza, della fiducia e del senso dell'essere e dell'esistere.

Passiamo, così, al secondo saggio, affidato a un tema in passato divisivo per la cristianità, al punto tale d'essere stato il germe dello scisma d'Occidente, quello luterano. Alla "giustificazione per grazia" sulla base della lezione paolina si dedica, invece, uno dei nostri più noti studiosi dell'Apostolo, Antonio Pitta, docente nella romana Università Lateranense. Certo, a differenza del soggetto "Provvidenza", la "giustificazione" è un termine che risuona più familiare ai nostri giorni, anche per coloro che hanno solo una conoscenza generica delle vicende che contrassegnarono un secolo straordinario come il Cinquecento. Ritornare alla matrice, cioè all'epistolario di Paolo, permette non solo di delineare il progetto d'insieme, ma anche di inseguirne la formulazione progressiva. Infatti, dalla "prova d'autore" che è la Lettera ai Galati, ove la giustificazione è connessa al motivo della nostra adozione divina a figli, ci si inoltra nel capolavoro paolino della Lettera ai Romani, il vessillo della Riforma protestante ma anche il cuore della questione, e si approda alla Lettera ai Filippesi ove il tema si configura come processo di conformazione e trasformazione del credente in Cristo. È indubbio il corollario ecumenico che comporta una simile investigazione esegetica, non solo per le antiche polemiche tra Agostino e Pelagio nel V secolo, per le tensioni radicali tra il cattolicesimo e Lutero o Calvino, ma anche per la vigorosa ripresa del tema nella teologia dialettica di Barth (la cui Lettera ai Romani è curiosamente ancora in catalogo da Feltrinelli).

Sorprendente è, fin nel titolo, l'ultimo saggio del nostro trittico: Grazie all'immaginazione, opera del gesuita parigino Nicolas Steeves, docente alla Gregoriana di Roma. Essa è stata considerata a lungo la folle du logis, la "pazza di casa", una formula attribuita ora al filosofo Malebranche, ora a Teresa d'Avila, ma di paternità ignota. Certo è che per molti teologi l'immaginazione è stata ritenuta una sorta di nebula da spazzar via col vento cristallino della ragione, del rigore epistemologico, della logica formale. Il tentativo di questo ampio studio è quello, invece, di integrarla proprio nella teologia fondamentale che è la base su cui si regge e si edifica l'architettura dell'intero sistema teologico nelle sue varie articolazioni. Effettivamente la stessa Bibbia(si pensi solo all'Apocalisse)così come la tradizione cristiana si sono liberamente e gioiosamente consegnate al caleidoscopio delle immagini, dei simboli, delle parabole fecondando e alimentando l'atto di fede, la spiritualità, la liturgia, l'etica. Le pagine di Steeves sono una vivace navigazione in questo mare creativo nel quale si incastonano le grandi isole dei molteplici sistemi teologici bagnati da quelle onde. Dopo tutto – come conferma, purtroppo negativamente, l'eccesso immaginario contemporaneo aveva ragione Bachelard quando affermava nella sua Poetica della reverie (Dedalo 2008) che «l'uomo è un essere capace di immaginare e che va immaginato».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 16 dicembre 2018

[…] Nei primi due capitoli del suo volume sulla giustificazione (pp. 13-48), Pitta traccia uno schizzo veloce dello status quaestionis sugli studi paolini rispetto a questo tema. Da decenni si è acceso il dibattito su quale sia il centro della teologia paolina. Se, nel passato, si puntava sulla “dottrina della giustificazione” (luterani e protestanti in genere) e sulla centralità della Lettera ai Romani per ricostruire il pensiero teologico di Paolo (cf. Dunn e il suo Roman Debate, a cui molti si sono opposti), ora molti pensano che questo sia solo un Nebenkrater (“cratere laterale”), sulla scia di un lavoro di A. Schweitzer sulla mistica paolina risalente al 1930 nell’originale tedesco.

[…] La tematica della giustificazione appare con 1-2Cor è diffusa in Gal, Rm e Fil (quattro lettere autoriali), con qualche propaggine nella prima (Col; Ef) e seconda tradizione paolina (2Ts; 1-2Tm; Tt). Il titolo del volume di Pitta, Giustificati per grazia, è tratto paradossalmente da Tt 3,7, un testo della seconda tradizione paolina. In Paolo, il concetto di giustizia/giustificazione ha sempre un valore salvifico, mentre nella grecità il verbo assume spesso un senso negativo di “condannare” o “dichiarare giusto”, sempre comunque con una connotazione forense. Paolo dà una connotazione salvifica della giustizia/giustificazione perché il retroterra su cui si basa (con citazioni dirette, indirette, allusioni ed echi) è la Scrittura.

[…] Il tema della giustificazione non costituisce una “dottrina” in sé completa, ma è un pensiero teologico, non sempre coerente e lineare, che nasce in risposta a situazioni ecclesiali contingenti (divisioni e culto della personalità a Corinto, pressioni per la circoncisione e la Legge da parte dei missionari giudeo-cristiani in Galazia, scontro fra “deboli” e “forti” a Roma, culto degli angeli a Filippi). La tematica è testimoniata per la prima volta in 1Cor, collegata al mistero paradossale del logos tou staurou, la “parola della croce”. La giustizia di Dio in Cristo, che ha visto dividersi gli interpreti paolini fra i sostenitori di un genitivo soggettivo e quelli del genitivo oggettivo, è interpretata da Pitta per il passo di 2Cor 5,21 come un genitivo di agente: giustizia di Dio (gen. sogg.) in Cristo (gen. d’autore).

In generale, va detto che tutte le lettere di Paolo sono contingenti, Romani compresa. Senza la posizione dei suoi “avversari” (il cui pensiero non mai riportato per esteso da Paolo e non sempre correttamente ricostruibile con il mirror reading) non si avrebbero le posizioni teologico-pastorali dell’Apostolo. Da avversari/opponents (o, più debolmente interlocutori) paolini identificati in passato con i giudei, ora si è passati a identificarli con dei giudeo-cristiani, spesso missionari anch’essi, ma con impostazione teologica e pastorale diversa da quella di Paolo.

Nel resto del suo volume (pp. 49-208), Pitta analizza la declinazione che il tema della giustizia/giustificazione assume nelle varie lettere: collegata alla parola della croce in 1Corinzi (pp. 36-47), in 2Corinzi (pp. 48-65) è collegata alla fede (i credenti quali giustizia di Dio) opposta all’empietà e collegata alla diakonia della carità (la colletta). Galati (pp. 66-98) connette la giustificazione alla figliolanza divina. La propositio principalis (o, servendosi del greco, la tesi, identificata da Pitta in Gal 1,11-12 grazie alle sue caratteristiche di brevità, chiarezza, autonomia, funzione prolettica, capacità di ingenerare le dimostrazioni successive) riguardante la natura apocalittica (rivelativa, gratuita) del vangelo, viene poi dimostrata con una probatio autobiografica, una esperienziale e una scritturistica, con una parte paracletica che alcuni fanno rientrare nella probatio. […]

Il pregevole lavoro di Pitta, uno fra i migliori paolinisti italiani e apprezzato studioso anche all’estero, è un denso volume di studio che, attraverso l’analisi di una categoria centrale (in ogni caso) nel pensiero dell’Apostolo – nato però dalla contingenza e senza volontà di costituire una “dottrina” –, permetterà alle persone appassionate della sua persona e della sua teologia (e pastorale) un aggiornamento generale sullo stato delle ricerche degli studiosi e, più in genere, un aiuto ermeneutico fondamentale per accostarsi alle sue lettere, costituito dalla “retorica paolina”.


R. Mela, in SettimanaNews.it 30 settembre 2018