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Vangelo e provvidenza
Emmanuel Durand

Vangelo e provvidenza

Una teologia dell’azione di Dio

Prezzo di copertina: Euro 35,00 Prezzo scontato: Euro 33,25
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 189
ISBN: 978-88-399-0489-8
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 304
Titolo originale: Évangile et Providence. Une théologie de l’action de Dieu
© 2018

In breve

Se la “divina Provvidenza” è un enorme capitolo della teologia oggi concettualmente in crisi, viene qui ripensato in termini più biblici e con un profilo contemporaneo.

Descrizione

È ancora possibile leggere l’azione di Dio nel quotidiano così come nel lungo periodo, nei cuori delle persone così come nella storia? La parola “Provvidenza” è sparita dai radar cattolici: è come evaporata. La sovranità di Dio – il suo intervento nel mondo – ha smesso di essere un dato evidente. Eppure per secoli i cristiani hanno testimoniato che una Provvidenza divina esiste e che non si può fare a meno di credere e confidare nell’intervento divino a favore dell’umanità (come singoli e come popoli).
Il domenicano Durand si propone allora di ripensare la dottrina sulla Provvidenza. Lo fa ripartendo dal vangelo della salvezza e orientando pragmaticamente la teologia verso una rinnovata concezione pasquale dell’azione di Dio per noi. Senza dimenticare le grandi lezioni di Agostino d’Ippona, di Tommaso d’Aquino, di John Henry Newman, l’autore spiega come Dio non si sia affatto congedato da questo mondo. È sempre possibile stupirsi delle meraviglie che Dio compie in mezzo a noi e confessarlo là dove sembrava assente o silenzioso, evitando peraltro le contraddizioni di un ingenuo provvidenzialismo.
Un libro per tornare a confidare in modo maturo nella “divina Provvidenza”, ripensata in termini più biblici e secondo un profilo contemporaneo.

Recensioni

Oltralpe un dibattito alquanto interessante sul tema della Provvidenza è in corso sulle riviste teologiche, da Etudes alla Revue des Sciences Religieuses. Il domenicano Emmanuel Durand e il carmelitano Jean-Baptiste Lecuit, ad esempio, mettono in discussione con diversi accenti l’onnipotenza di Dio, soprattutto dopo la tragedia della Shoah o davanti alla pandemia o alle guerre in corso; ancora, allo scandalo dell’innocenza martire rappresentata dalla sofferenza dei bambini, come nel caso della pedofilia. Come pensare allora alla Provvidenza di Dio, all’esistenza di un disegno provvidenziale all’interno della storia? È l’esecuzione infallibile di un piano fissato da tutta l’eternità? Possiamo ancora sostenere che tutto ciò che accade è voluto da Dio?

Per la teologia più classica Dio è sovrano, immutabile e onnisciente. Di fronte sta la libertà dell’uomo, che può scegliere fra il bene e il male. Lecuit apre un’altra prospettiva: Dio si è preso un rischio, quello di non conoscere il futuro e di scoprirlo insieme all’uomo. Il futuro sarebbe inconoscibile perché frutto degli atti liberi di uomini liberi, che acconsentono – o meno – alla premura di Dio e si lasciano conformare – o meno – alla sua volontà.

A sua volta Durand, autore del saggio Vangelo e Provvidenza uscito da Queriniana nel 2018, invita ad evitare il vicolo cieco della teodicea («che giustifica razionalmente il male e salvaguarda Dio con minor spesa») e l’ingenuità del provvidenzialismo («che imputa direttamente ogni avvenimento a Dio»). Ma è la dismisura del male a porsi come un limite alla presenza di un disegno divino sulla storia umana. Dice ancora Durand: «Dopo la Shoah, ora Dio è tenuto, nei confronti dell’umanità devastata che aveva fede in lui, a restare esclusivamente discreto, poiché essa ha tolto il suo mantello di Noè e Dio è apparso così com’è: silenzioso e impotente di fronte allo scatenarsi di libertà malvagie».

Nella teologia cristiana, è a partire da Cristo che dobbiamo pensare tutto. Ha scritto a sua volta Olivier Boulnois: «È il Figlio stesso che è la Provvidenza del Padre. La Provvidenza di Dio non ha altra arma che quella del Figlio. E vuol dire non dispensarlo dalla prova, ma sostenere in lui la possibilità di continuare a donarsi nella prova. Un atto libero per eccellenza, che crea qualcosa di nuovo quando accade. Per questo il futuro non è scritto».

Il crollo della teodicea ha fatto discutere i teologi e i filosofi contemporanei. Perché Dio ha permesso la morte di milioni di innocenti nei campi di sterminio nazisti? E perché tutto ciò si ripete anche oggi? Queste domande angoscianti sul silenzio di Dio impedirebbero ogni spazio non solo alla filosofia, come disse Adorno, ma anche alla teologia. Sentenza su cui Durand non concorda: pur ponendosi sulla scia di Bonhoeffer che nella debolezza di Dio vede il segno della sua presenza accanto all’umanità ferita, a suo parere un Dio che si fosse spossessato della sua potenza sarebbe altrettanto sospetto di un Dio sovrano che sta a guardare e tollera in maniera incomprensibile gli eccessi del male stesso. […]


R. Righetto, in Avvenire 27 ottobre 2022

Fino ad anni non troppo lontani la Provvidenza divina costituiva il legame, e non solo nel cuore dei semplici, fra l’azione quotidiana di Dio nella vita delle persone e il suo governo degli eventi di portata globale, di cui si occupa la teologia della storia. Oggigiorno la consapevolezza di questa presenza “a tutto campo” è entrata in crisi e l’idea di una sovranità di Dio che abbraccia l’intera umanità e il mondo al pari di ogni singola creatura non è più un’acquisizione tacitamente condivisa. Nondimeno, come opportunamente osserva l’A. del presente saggio, la Rivelazione evidenzia un legame irrinunciabile fra il vangelo, che annuncia la salvezza, e la Provvidenza divina, una relazione che non deve essere abbandonata all’odierna insignificanza o a un fideismo ingenuo, ma abbisogna piuttosto di essere rivisitata e chiarita nell’attuale contesto socioculturale e poi riproposta in forme rinnovate. Questo, in sintesi, è lo scopo che percorre e anima il presente lavoro di Emmanuel Durand.

Si tratta di uno sforzo che oggi si rende necessario anche per altri tre ordini di ragioni, come evidenzia l’A. Anzitutto la sensibilità odierna sottolinea, e non senza fondamento, l’ampiezza universale dell’offerta della salvezza, ribadita anche da numerosi documenti del Vaticano II che fanno appello alla Provvidenza e al suo ruolo, specialmente nel caso dei non cristiani. Si tratta poi di illustrare questa universale azione divina nel contesto odierno segnato da “un paradosso teologico” visto che la sovranità di Dio “è lungi dall’essere evidente per la ragione dei credenti” (vedasi l’Introduzione, p. 6, anche per una sintetica rassegna delle cause). Infine, si rende opportuno superare le piste seguite finora nella riflessione teologica sulla Provvidenza, di ascendenza ebraica e filosofica, ritornando al vangelo della salvezza, dando ampio spazio alla Rivelazione, esigenza anche questa in linea con gli orientamenti dell’ultimo Concilio.

A questo punto il percorso seguito nel saggio dal teologo francese appare quasi ovvio, nella sua chiarezza. Nel primo capitolo viene definito lo status quaestionis del tema sia nella teologia che nella cultura scientifica e filosofica del nostro tempo, con le rispettive rivendicazioni, segnalando opportunamente le aporie di ciascun “modello” espressivo ed esplicativo usato. Nel successivo viene preso in esame il concetto filosofico di “azione” e le prospettive e i limiti quando questo venga applicato analogicamente all’agire di Dio nel contesto umano, biblico e teologico. Seguono tre altri capitoli che illustrano ulteriormente questo agire facendo ricorso a tre nomi illustri della tradizione teologica riproposti in modo creativo, nell’ordine Agostino, Tommaso d’Aquino e J.H. Newman. Al termine di questo itinerario attraverso la cultura e la teologia l’A. colloca il sesto capitolo, breve ma denso, che si misura con il tema del male, particolarmente sentito in Occidente dopo la Shoah e altri eventi terribili del secolo scorso, una aporia che costituisce come un macigno sul percorso di ogni teologia della Provvidenza e, in generale, dell’agire di Dio nella storia. Nel far questo l’A. non si propone di additare soluzioni facili ma di “prendere le misure” del problema avviando cosí il lettore, con un percorso coerente e capace di coinvolgimento, a prendere in esame la Bibbia, nel penultimo capitolo, per cogliervi le caratteristiche dell’azione di Dio, dall’evento dell’Esodo fino al compimento pasquale colto nella profondità della narrazione giovannea.

Quasi come una conclusione aperta si colloca l’ultimo capitolo, l’ottavo, che contiene la proposta dell’A. per questo nostro tempo, che invita a riflettere e a mantenere desta l’attenzione per cogliere tutte le diverse mediazioni storiche concrete della Provvidenza di Dio, dalla parola e dai sacramenti, fino ai testimoni che hanno sperimentato e condiviso concretamente il suo Amore nella loro vita.


A. Ricupero, in Studia Patavina 3/2019, 574-575

La palabra "Providencia" se ha evaporado del panorama católico. La soberanía de Dios ha dejado de ser un dato evidente. Pero, durante siglos, los cristianos han testimoniado que la Providencia existe y no podemos dejar de creer y confiar en la intervención divina en favor de la humanidad. El dominico francés Emmanuel Durand, profesor de teologia sistematica en el Colegio Universitario Dominico de Ottawa (Ontario, Canada) se propone con este texto repensar la doctrina sobre la Providencia. Y lo hace partiendo del evangelio de la salvación y orientando pragmaticamente la teologia hacia una renovada conciencia pascual de la acción de Dios para nosotros. Divide su estudio en ocho capitulos. En el primero, El caracter problematico de la accion de Dios, analiza en la cultura y la teología contemporanea la acción de Dios, para poder afrontar el tema de la Providencia en nuestra cultura dominante, marcada por una reivindicación de la autonomía del orden creado, de la pérdida de fe en el sentido de la historia y la primacía de la mirada científica sobre el mundo: "lnevitablemente, la pérdida de fe en la inteligibilidad de la historia pone en crisis también la representacion de un Dios 'soberano', 'causa', 'autor' o garantía de la historia" (pag. 25). Se debe reconocer una distinción entre "una accion divina generaI, permanente, comun o global y una accion divina llamada especial" (pag. 43). El objetivo es explorar "la posibilidad y la característica de una accion divina especial que no entre en el campo de la intervencion milagrosa" (pag.45).

En el capítulo segundo, "La analogía de la accion en prueba", qué se quiere decir cuando esta es atribuida a Dios en el lenguaje humano, biblico y teológico? La analogia de la acción comporta tres elementos elave en su uso teológico: una implicación ética, alguna obra asociada y una virtud reveladora."En el ambito teologico de la Alianza, la accion de Dios es semejante alina relacion entre Persona y persona o entre Persona y comunidad mas que una relacion entre agente y paciente. La analogía teologica de la 'accion' divina se refiere mas directamente al ambito de la accion ética que no al registro de la causalidad física" (pag. 65). En el capitulo tercero, La accion salvífica de Dios en las Confeciones de Agustín, el autor discierne sobre qué modalidad Agustin comprende la acción salvifica de Dios en una vida humana singular, cuando intenta confesar la guia de Dios en su vida y en su itinerario, llegando a la conclusión de que "la economía de la misericordia divina queda la mayor parte de veces velada, baio la alternancia de dulzura y dureza" (pag. 111). Ya en el capitulo cuarto, La Providencia en la salvacion de cada uno según Tomas de Aquino, el dominico Durand remarca que "la insistencía oportuna sobre la dimension historica de la salvacion no debe ocultar el hecho de que toda criatura humana está llamada a la salvacion a través del itinerario contingente que le es propio, en cuanto persona libre y singular” (pag. 113). Y, "la atencion divina se extiende hacia todos los humanos, incluyendo aquellos que no han tenido acceso a la figura de Cristo y a la mediacion sacramentaI de la Iglesia" (pag. 113). El autor recuerda que "entre la Providencia eterna y el gobierno temporal de Dios existe una diferencia de modalidad importante. Mientras que la Providencia eterna es concebida de modo inmediato, sin ningun intermediario creado, el gobierno divino se vale de la mediacion de las causas segundas" (pag. 118). Señala también que "sin constituir una alternativa a la deliberacion y a la accion, la oracion de peticion ofrece también una modalidad eminente de cooperacion no concurrencial entre la criatura libre con la Providencia divina" (pag. 129). Y nos recuerda que "no es Dios quien responde a nuestras oraciones, sino que son mas bien nuestras oraciones las que responden a su llamada. Las oraciones de los fieles se integran en el orden providencial de Dios de toda la eternidad, en motivo de su gratuita voluntad, segun la cual se asocia a los humanos como sujetos libres de efectuar temporalmente su diseño" (pag. 145).

El profesor Durand, en el capítulo quinto, Encarnacion y Providencia particular segun John Henry Newman, remarca que "la meditacion sobre la Providencia y la contemplacion de la encarnacion se intercalan con eficacia en Parochial and Plain Sermons de Newman" (Pag. 160). Dos son las convicciones fundamentales que guían a Newman a encuadrar sus meditaciones escriturísticas sobre la Providencia: "de una parte, el primado de lo invisible sobre lo visible y, por otra, la virtud iluminativa de la Escritura" (pag. 161). Pues, mediante el advenimiento de la encarnación, "la Providencia salvifica de Dios ha sido revelada pIenamente, hasta en su caracter personal, particular y adaptado. Finalmente la Providencia divina aparece como lo que es: tangible y concreta en cuanto la mirada y el afecto de Cristo Jesús por todos los humanos que encontraba. La encarnacion del Hijo y el ministerio de Cristo son así para Newman ellugar privilegiado de revelacion y de cumplimiento del misterio de la Providencia en la carne. Esto es coherente con toda la economia sacramentaI de la salvacion, de la que la encarnacion es el principio mas alto" (pag. 188).

En el capítulo sexto, La aporía de la desmesura del mal, el autor, para realizar una teologia de la Providencia desarrollada en el ambito de la soberania divina, "se encuentra inevitablemente con la desmesura del mal" (pag. 189). Pero "una victoria de Dios sobre el mal se revela en la resurreccion de Jesús de entre los muertos. El combate contimia y esta pendiente de su epílogo escatologico" (pag. 191). Asi, "se podría dar que la aporia de la desmesura del mal encuentre en el misterio pascual, no una solucion, pero una via de salida" (pag. 211). En el capítulo séptimo, Tres miradas biblicas sobre la Providencia con su modulacion pascual, el autor quiere repensar la acción de Dios y la fe en la Providencia divina en estrecha conexión con la Biblia cristiana, con la ayuda de las imagenes y del lenguaje que le son propios. "Para esto, a partir de corpus distintos, se circunscribe en la relectura del éxodo en Sabiduría 10-19, después la predicación y Las gestos de Jesús en el evangelio de Lucas, seguido del rol propio del Espíritu en la confrontacion de los testimonios de la Palabra en el Libro de los Hechos de los Apostoles, y, finalmente, en el discurso sobre las obras del Hijo y la narracion de la pasión en el evangelio de Juan" (pag. 212), llegando a la conclusión de que "la pasión revela que en definitiva que ninguna situacion humana es lo suficientemente compleja para que el Hijo de Dios no pueda hacerse presente y manifestar un ofrecimiento de salvacion" (pag. 255). Y ya en el capitulo octavo, La Providencia salvifica y su mediacion, el profesor Durand nos recuerda que "la teologia de la Providencia sería incompleta si no estuviese presente en las capas intermedias a través de las cuales la accion salvifica de Dios asuma a todo humano singular, al menos segun el modo de la interpretación y de la oferta" (pag.275). Asi, pues, concluye el autor diciendo que "la divina Providencia coincide originariamente con el disefio de Dios Trinidad para la humanidad, que esta llamada a la alianza y a la pIena comunión" (pag. 289).


J.L. Vázquez Borau, in Actualidad Bibliografica 2/2018, 163-164

Il libro che vi presento oggi è un libro di teologia che mi ha fatto tanto bene, al pensiero e, quindi, al vissuto. Non vorrei ingannare il lettore che cerca letture semplici. È un libro di teologia, dicevo, e quindi è scritto per chi non è allergico alla fatica del pensiero e dell'approfondimento. Ma è scritto bene e fa bene. Dopo questa dovuta premessa personale, andiamo a vedere di che si tratta.

Si tratta del volume Vangelo e Provvidenza. Una teologia dell’azione di Dio, scritto dal teologo domenicano Emmanuel Durand. È – per quanto io sappia – il primo volume dell'autore che viene tradotto in italiano, mentre la sua bibliografia francese è più nutrita. Il volume si pone una problematica familiare ai teologi che si pongono la questione di come comprendere e intendere l'intervento di Dio nella storia. Durand è cosciente di porre il problema in tempi in cui sono «divenute dominanti le figure del ritiro, dell'autolimitazione, della kenosi, della discrezione, o addirittura quelle dell'assenza o dell'impotenza, in forma di paradosso. La sovranità di Dio è lungi dall'essere evidente per la ragione dei credenti. Quando è riaffermata, lo è a prezzo di lunghi giri di parole o costruzioni complesse». Per questo motivo, l'a. intende soffermarsi ad approfondire ilsenso specifico dell'azione di Dio alla luce della Bibbia e della teologia.

In ambito teologico, l'autore si interfaccia a tre teologie della Provvidenza assai diverse fra loro: quella di sant'Agostino, nella forma particolare delle Confessioni, quella di Tommaso d'Aquino nella Summa contra gentiles e quella del beato John Henry Newman nei suoi Parochial and Plain Sermons. Dopo il confronto con queste visioni, l'a. si sofferma a riflettere sulla questione dell'azione di Dio nel suo incontro e scontro con quanto non si possa ignorare in questo ambito: la questione del male, anzi, la questione della dismisura del male.

La tendenza moderna della discrezione ha preso il sopravvento probabilmente per le dimensioni massicce che ha assunto il fenomeno del male nel XX secolo. Quei «dov'è Dio?» ripetuti hanno spinto a una specie di reazione: «Poiché Dio non agisce, tocca all'uomo farlo». La. spinge l'argomento alle sue estreme conseguenze: «Dopo la Shoah, ora Dio è tenuto, nei confronti dell'umanità devastata che aveva fede in lui, a restare esclusivamente discreto, poiché essa ha tolto ilsuo mantello di Noè e Dio è apparso così com'è: silenzioso e impotente di fronte allo scatenarsi di libertà malvagie». Questa percezione della realtà ha suscitato risposte esistenziali come quella di Dietrich Bonhoeffer (Solo il Dio sofferente può aiutare) oppure quella di Etty Hillesum (Dio non ci può aiutare. Siamo noi ad aiutare Dio). Per quanto forti ed esistenzialmente segnati e segnanti come risposte, «dal punto di vista teologico, - osserva Durand - sarebbe affrettato e incerto convalidare queste due caratteristiche come le sole che corrispondono a una definizione dell'azione di Dio, e non sono le più adatte. [...] Non conviene accoglierle come affermazioni di un nuovo discorso sull'azione di Dio, ma piuttosto come testimonianze di una nuova risposta esistenziale al sentimento dell'inattività di Dio».

La. manifesta la complessità della questione dell'azione di Dio nella storia offrendo una griglia con vari modelli raccolti da lan G. Barbour nel suo libro Religion in an Age of Science. I modello sono quella della teologica classica, deista, neotomista, kenotica, esistenzialista, linguistica, incorporazione e processo. La presentazione di questi modelli manifesta quanto sia complesso riflettere a fondo sulla provvidenza che non è possibile ridurre a un semplice schema e la conseguente importanza «di costruire una teologia della Provvidenza che non ceda troppo rapidamente all'invocazione facile di un governo divino, e che non sia nemmeno una negazione dell'immersione degli umani in una storia tortuosa».

L’azione salvifica, come presentata da Agostino nelle Confessioni, costituisce un esercizio di memoria e di rilettura che cerca di cogliere l'azione di Dio sul vivo. Dio è presente a tutte le cose in virtù della sua azione creatrice. Egli chiama alla salvezza e per questo fine si avvale di tutte le mediazioni umane, che siano lucide o cieche, rette o cattive. Così, ad esempio, Agostino parla del rapporto con il vescovo Ambrogio: «A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te».

«Nelle Confessioni, il discernimento dell'azione salvifica di Dio interviene a posteriori, attraverso uno sguardo retrospettivo, e l'interpretazione dipende interamente da una convinzione di fede. Allora bisogna forse temere che l'azione di Dio si riduca in fine interamente all'ermeneutica confessante condotta da Agostino stesso sulla propria vita? Sicuramente no. Certo, lo sforzo di rilettura è creativo sul piano letterario, ma di per sé non è creatore delle misericordie e delle grazie ricevute. lnnanzitutto, la memoria delle misericordie di Dio è continuamente sottoposta all'inquadratura delle Scritture, come una griglia di interpretazione veridica».

San Tommaso d'Aquino ci presenta la questione in chiave collettiva e generale parlando della provvidenza di salvezza verso ciascuno. Per Tommaso, fra la Provvidenza eterna e il governo temporale di Dio, esiste una differenza di modalità importante. Mentre la Provvidenza eterna è concepita in modo immediata, senza alcun intermediario creato, il governo divino si avvale della mediazione delle cause seconde». Le scelte umane restano veramente libere, ma non per questo sono al di fuori del campo di applicazione della Provvidenza divina. La fede nella Provvidenza divina non giustifica né il fatalismo né il quietismo e impegna l'uomo attivamente nella realizzazione del progetto provvidenziale di Dio. Scrive Durand: «Lungi dal deresponsabilizzare i soggetti etici attraverso una sorta di fatalismo o di quietismo, Dio sollecita l'azione umana mediante l'ordinamento e il governo della sua Provvidenza. Per questo l'impegno raddoppiato della fede, della preghiera, della deliberazione e dell'azione costituisce una risposta umanamente appropriata e spiritualmente pertinente al silenzio e alla discrezione di Dio, proprio mentre la sua "assenza" o il suo "ritiro" possono essere sentiti in modo estremo in certe situazioni limite».

Tommaso d'Aquino inquadra il concorso della preghiera come caso particolare ed eminente dell'inclusione dell'azione umana nella Provvidenza divina. Così scrive nella Summa Theologiae: «È necessario che gli uomini compiano certe cose, non per cambiare coi loro atti le disposizioni divine, ma per attuare così codesti effetti secondo l'ordine prestabilito da Dio. [...] Infatti noi preghiamo non allo scopo di mutare le disposizioni divine: ma per impetrare quanto Dio ha disposto di compiere mediante la preghiera dei santi; e cioè, come dice san Gregorio [nei Dialoghi]affinché gli uomini "col pregare meritino di ricevere quanto Dio onnipotente aveva loro disposto di donare fin dall'eternità» (STh II-II q. 83 a. 2 ad 2).

Il terzo medaglione, quello di John Henry Newman è più cristologico e riflette sull'incarnazione e la provvidenza particolare. Newman scarta l'ipotesi deista di un Dio in semplice ritiro davanti all'autonomia del suo creato. Agli occhi di Newman, «la sovranità divina è così potente che le chiamate provvidenziali di Dio si fanno tanto imperiose attraverso la coscienza, gli avvenimenti e le circostanze, quanto lo erano in passato per i familiari di Cristo, attraverso la voce carnale del Figlio di Dio». Secondo Newman, lo studio delle Scritture permette di evitare due errori simmetrici, sia l'ignoranza totale della Provvidenza particolare, sia la sua stretta limitazione a se stessi. In compenso, «la Scrittura ci rappresenta questo privilegio [dell'amore particolareggiato di Dio] come una parte che spetta a tutti gli uomini, presi uno per uno». L’umanità di Cristo è l'espressione carnale di questa personale misericordia e attenzione di Dio dispensata nella carne.

Scrive Durand, riassumendo la prospettiva newmaniana: «Ogni avvenimento che coinvolgere le creature di Dio possiede due facce. Attraverso il velo del visibile, sotto il sistema del mondo e al di là delle ombre del peccato, un'altra dimensione traspare più o meno nettamente allo sguardo dei credenti. Gli attori invisibili, le realtà soprannaturali, le grazie divine e il disegno di Dio squarciano in certi momenti l'opacità del visibile, mentre essi sono la verità definitiva che è alla base del nostro mondo in ogni tempo. Lo svelamento è massimo attraverso la frequentazione evangelica dell'umanità concreta del Figlio di Dio, nei giorni della sua carne come nel tempo della Chiesa».

Le tre prospettive proposte sono portate poi dall'a. davanti al tribunale della «aporia della dismisura dei mali» dove «davanti alla declinazione dei mali e delle sofferenze, talvolta la bontà e la sovranità di Dio sono messe radicalmente in questione, o addirittura sotto processo». La., mettendosi in ascolto di questa questione scottante, evidenzia come l'aporia sollevata, troppo grande per una soluzione astratta e facile, trovi nel mistero pasquale «non una risoluzione, ma una via d'uscita». L’idea è che «per onorare la sovranità di Dio fin nella dismisura dei mali, bisogna addentrarsi in una teologia della passione».


R. Cheaib, in Theologhia.com 17 dicembre 2018

Pochi sanno che a coniare il termine «teologia» non sono stati i cristiani ma Platone nella sua Repubblica (n. 379a), ove considerava la theologhia, cioè il "discorso" o l'indagine su Dio, come una delle mete di ricerca non solo del pensiero ma anche dei «versi epici o lirici o dei testi della tragedia». Il suo discepolo Aristotele nella Metafisica (n. 1026a) articolerà meglio il tema, mettendo la teologia al vertice delle scienze "contemplative" (in greco theoretikai), cioè la matematica, la fisica e appunto la teologia. È su questa base che il vocabolo entrerà nella tradizione cristiana: nel Nuovo Testamento abbiamo, infatti, solo i due anelli che compongono la parola ma non congiunti tra loro: da un lato, théos, «Dio», citato ben 1317 volte, e logos, «discorso», presente 330 volte.

Questa premessa filologica vuole inquadrare il rimando a una solida e duratura collana dell'editrice bresciana Queriniana il cui titolo è emblematico: «Biblioteca di teologia contemporanea». Essa fu inaugurata nel 1969 col saggio di un autore nato in Baviera nel 1928 e allora docente a Münster, Johann Baptist Metz, Sulla teologia del mondo, apparso in tedesco l'anno prima. L'opera, che rifletteva l'atmosfera socio-culturale e non solo ecclesiale di quel periodo, divenne una sorta di manifesto della cosiddetta "teologia politica", preoccupata di calibrare meglio il rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la fede e il divenire storico, nella consapevolezza che «la salvezza, a cui si riferisce nella speranza la fede cristiana, non è una salvezza privata». Cristo stesso non si era auto-recluso nell'intimo del suo incontro col Padre, né si era isolato nell'oasi protetta del sacro, ma si era immerso e incarnato nella realtà storica e sociale.

Da quel volume è discesa una genealogia bibliografica contrassegnata da una costante identità anche grafica e cromatica ma soprattutto aperta a tutte le voci più importanti, significative o anche provocatorie del fecondo arco post-conciliare. Tanto per fare qualche nome, pensiamo a Bonhoeffer e a Ratzinger (la sua Introduzione al cristianesimo ebbe un numero enorme di riedizioni, anche prima della sua ascesa al pontificato), a Moltmann, a Küng, a Pannenberg, a Congar, a Bultmann, a Kasper, Drewermann, von Balthasar, Boff, Gutiérrez, Brown, Meier e così via. Si ha, così, un vero e proprio panorama della riflessione teologica contemporanea, anche con l'incursione recente di figure minori rispetto a quelle appena elencate, segno forse di un affanno in cui si dibatte l'attuale ricerca teorica cristiana.

Ora la collana sta veleggiando verso i duecento titoli: tra gli ultimi segnaliamo la trilogia dei numeri 189, 190 e 191 che toccano temi segnati da un'impronta di originalità. Basta la titolatura del primo, Vangelo e Provvidenza, a rispolverare un vocabolo in passato trionfante non solo nella predicazione ma anche nella retorica apologetica popolare, una realtà ora sostituita dalla ben più realistica "previdenza". Emmanuel Durand, domenicano francese docente a Ottawa in Canada, mostra la complessità della categoria "provvidenziale" che comprende una vera e propria ermeneutica dell'azione di Dio nella storia, tipica di una religione "incarnata" com'è il cristianesimo. È su questo terreno che ci si scontra col tema del male: esso si erge come un picco roccioso che perfora il manto paterno di una Provvidenza divina ma che si combina con l'intervento della redenzione, della salvezza e dell'escatologia. Le lezioni di tre grandi della teologia come Agostino, Tommaso d'Aquino e Newman sono convocate per ripensare una concezione impallidita all'interno di una cultura smaliziata che, nel desiderio di buttar via l'acqua sporca del provvidenzialismo ingenuo, ha rigettato anche il canone clelIa speranza, della fiducia e del senso dell'essere e dell'esistere.

Passiamo, così, al secondo saggio, affidato a un tema in passato divisivo per la cristianità, al punto tale d'essere stato il germe dello scisma d'Occidente, quello luterano. Alla "giustificazione per grazia" sulla base della lezione paolina si dedica, invece, uno dei nostri più noti studiosi dell'Apostolo, Antonio Pitta, docente nella romana Università Lateranense. Certo, a differenza del soggetto "Provvidenza", la "giustificazione" è un termine che risuona più familiare ai nostri giorni, anche per coloro che hanno solo una conoscenza generica delle vicende che contrassegnarono un secolo straordinario come il Cinquecento. Ritornare alla matrice, cioè all'epistolario di Paolo, permette non solo di delineare il progetto d'insieme, ma anche di inseguirne la formulazione progressiva. Infatti, dalla "prova d'autore" che è la Lettera ai Galati, ove la giustificazione è connessa al motivo della nostra adozione divina a figli, ci si inoltra nel capolavoro paolino della Lettera ai Romani, il vessillo della Riforma protestante ma anche il cuore della questione, e si approda alla Lettera ai Filippesi ove il tema si configura come processo di conformazione e trasformazione del credente in Cristo. È indubbio il corollario ecumenico che comporta una simile investigazione esegetica, non solo per le antiche polemiche tra Agostino e Pelagio nel V secolo, per le tensioni radicali tra il cattolicesimo e Lutero o Calvino, ma anche per la vigorosa ripresa del tema nella teologia dialettica di Barth (la cui Lettera ai Romani è curiosamente ancora in catalogo da Feltrinelli).

Sorprendente è, fin nel titolo, l'ultimo saggio del nostro trittico: Grazie all'immaginazione, opera del gesuita parigino Nicolas Steeves, docente alla Gregoriana di Roma. Essa è stata considerata a lungo la folle du logis, la "pazza di casa", una formula attribuita ora al filosofo Malebranche, ora a Teresa d'Avila, ma di paternità ignota. Certo è che per molti teologi l'immaginazione è stata ritenuta una sorta di nebula da spazzar via col vento cristallino della ragione, del rigore epistemologico, della logica formale. Il tentativo di questo ampio studio è quello, invece, di integrarla proprio nella teologia fondamentale che è la base su cui si regge e si edifica l'architettura dell'intero sistema teologico nelle sue varie articolazioni. Effettivamente la stessa Bibbia(si pensi solo all'Apocalisse)così come la tradizione cristiana si sono liberamente e gioiosamente consegnate al caleidoscopio delle immagini, dei simboli, delle parabole fecondando e alimentando l'atto di fede, la spiritualità, la liturgia, l'etica. Le pagine di Steeves sono una vivace navigazione in questo mare creativo nel quale si incastonano le grandi isole dei molteplici sistemi teologici bagnati da quelle onde. Dopo tutto – come conferma, purtroppo negativamente, l'eccesso immaginario contemporaneo aveva ragione Bachelard quando affermava nella sua Poetica della reverie (Dedalo 2008) che «l'uomo è un essere capace di immaginare e che va immaginato».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 16 dicembre 2018

Una domanda innerva il saggio dell’a., frate domenicano francese: è ancora possibile leggere nelle pieghe della prosa quotidiana l’intervento divino? Ha ancora senso la parola «Provvidenza», la sovranità di Dio che nella congiuntura storica degli ultimi cento anni sembra suonare del tutto inappropriata?

Ripensare la dottrina della Provvidenza è, pertanto, lo scopo del saggio che muove dalla constatazione che per secoli i cristiani l’hanno testimoniata con parole e opere. Rileggendo le mirabili lezioni di Agostino d’Ippona, di Tommaso d’Aquino e di John H. Newman si evidenzia come Dio sia ben lontano dal congedarsi dalla sua creatura umana. Una divina Provvidenza, pertanto, ben presente tra noi se ripensata in termini più schiettamente biblici.


D. Segna, in Il Regno Attualità 14/2018

«Quale teologia della Provvidenza è richiesta oggi dal Vangelo della salvezza?»: sin dalla prima riga lo studioso domenicano Emmanuel Durand, docente di Teologia sistematica a Ottawa, arriva al nocciolo della questione in questo saggio appena uscito da Queriniana. Sono due le premesse da cui prende il via la sua indagine sull'azione di Dio nella storia, sulla sua realtà e sulla sua efficacia: da una parte la tragedia della Shoah, che buona parte della teologia ebraica, ma anche cristiana, del dopoguerra ha visto come una pietra d'inciampo non di poco conto sulla possibilità stessa di impostare un discorso oggi sulla Provvidenza; e dall'altra la convinzione sempre più radicata fra i credenti dell'universalismo della salvezza, idea sancita dal Concilio Vaticano II che estende la sua eventualità anche ai fedeli di altre religioni e ai non credenti. Il tentativo di Durand è anche di evitare l'aporia della ricaduta nel vicolo cieco della teodicea («che giustifica razionalmente il male e salvaguarda Dio con minor spesa») e nell'ingenuità del provvidenzialismo («che imputa direttamente ogni avvenimento a Dio»).

Ma è la dismisura del male a porsi come un limite alla presenza di un disegno divino sulla storia umana (il famoso ritornello manzoniano «là c'è la provvidenza»). Un male che nel corso del '900 si è fatto come non mai radicale e pervasivo e che l'orrore incomparabile dell'Olocausto ha condotto molti teologi, nell'affrontare il discorso su Dio, a parlare insistentemente di ritiro, auto limitazione, discrezione se non addirittura di assenza e di impotenza. Annota Durand: «Dopo la Shoah, ora Dio è tenuto nei confronti dell'umanità devastata che aveva fede in lui, a restare esclusivamente discreto, poiché essa ha tolto il suo mantello di Noè e Dio è apparso così com' è: silenzioso e impotente di fronte allo scatenarsi di libertà malvagie». L'inazione divina per il pensiero ebraico soprattutto lascia il posto alla responsabilità e all'azione umana. Perché Dio ha permesso la morte di milioni di innocenti nei campi di sterminio nazisti? Perché non è intervenuto come nell'Antico Testamento per salvare il suo popolo? Queste domande angoscianti, che a mio parere spiegano anche come mai molti intellettuali ebrei si dicano oggi atei o agnostici, pongono la questione del silenzio di Dio e impedirebbero ogni spazio non solo alla filosofia, come disse Adorno, ma anche alla teologia.

Sentenza su cui Durand non concorda, pur ponendosi sulla scia di Bonhoeffer, che nella debolezza di Dio vede il segno della sua presenza accanto all'umanità ferita. Davanti alla dismisura del male, un Dio che si fosse spossessato della sua potenza sarebbe altrettanto sospetto di un Dio sovrano che sta a guardare e tollera in maniera incomprensibile gli eccessi del male stesso. Certo, per il cristiano Durand la vittoria di Cristo sulla morte è il sigillo della vittoria di Dio sul male e proprio per questo non è possibile supporre che Dio sia imprigionato in un ritiro kenotico per tutto il tempo in cui dura la storia degli uomini: «Se realmente Dio ha fatto risorgere Gesù dai morti, la sovranità salvifica di Dio si estende continuamente alla vita e alla morte, così come la sua sovranità creatrice si estende all'essere e al nulla. Perciò occorre elaborare una teologia confessante dell'azione di Dio sotto l'orizzonte della sovranità divina e non sotto la costruzione di un ritiro permanente».

Il saggio di Durand non evita anche le aporie sul senso della storia, spaziando dalla negatività dell'approccio di Löwith e Benjamin che giudicano impossibile una qualsiasi filosofia della storia ai tentativi compiuti da teologi e storici cristiani come Daniélou, von Balthasar e Marrou i quali, ben lungi dal sostenere una visione razionalistica della storia, non chiudono il discorso, ma aprono lo spazio all'esistenza di una sua finalità.

Ampio spazio è poi dedicato al declinarsi dell'azione di Dio nelle vicende umane ripercorrendo le posizioni di sant'Agostino, Tommaso d'Aquino e del cardinale Newman. Dio non agisce come una forza fisica: la sua azione si pone sempre come gesto gratuito, come dono che si rivolge alla disponibilità delle creature, scontrandosi frequentemente con la resistenza degli uomini. Le sue gesta non sono per un suo accrescimento, ma la concessione di una presenza: «Dio agisce in modo continuo attraverso la donazione alle creature della loro esistenza e dei loro poteri propri, Dio agisce anche, per di più, mediante la salvaguardia e la guida delle sue creature verso un compimento escatologico».

Ma una teologia della Provvidenza deve anche guardare agli esempi concreti dell'azione di Dio: poiché non è in grado di affrancarsi dai limiti attuali della sua visione, il teologo deve rivolgersi alla virtù illuminativa delle Scritture, che non sono pura mitologia e non rappresentano un racconto di vicende del passato, ma come dice Newman svelano il senso del tempo presente sotto l'angolazione del disegno di Dio. Si pensi all'attualità della predicazione multilingue degli apostoli al momento della Pentecoste. O si pensi al tema del Giusto, rappresentato dalla figura di Giuseppe abbandonato dai fratelli, oppure dalle pagine di Isaia sul Servo sofferente o ancora a Gesù di fronte al buon ladrone o al centurione. Il mistero della Rivelazione si presenta allora con alcune schiarite che ci consentono di sostenere la fede nella Provvidenza nelle situazioni complesse.

«In certi casi - ammette poi Durand - la sola luce possibile rimane l'emblema della croce, la cui ombra si sovrappone a ogni Pasqua singolare, per quanto sia oscura per chi la sperimenta nel presente». E più avanti conclude: «In un mondo complesso, perturbato dalle concatenazioni anarchiche del male, Dio assume e abita le circostanze e le contingenze, anziché disporle o comandarle: questa è la luce che la passione di Cristo getta sull'applicazione della Provvidenza a ogni situazione concreta». Il Crocifisso non è assente né si è ritirato dal mondo: egli si presenta continuamente attraverso il volto della vittima, del fratello o della sorella segnati dall'afflizione.


R. Righetto, in Avvenire 22 giugno 2018

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