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Il dogma in divenire
Michael Seewald

Il dogma in divenire

Equilibrio dinamico di continuità e discontinuità

Prezzo di copertina: Euro 35,00 Prezzo scontato: Euro 33,25
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 203
ISBN: 978-88-399-3603-5
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 288
Titolo originale: Dogma im Wandel. Wie Glaubenslehren sich entwickeln
© 2020

In breve

«La chiesa è quello che è oggi soltanto perché ha saputo legare insieme continuità e discontinuità: ha saputo svilupparsi, per portare in modo sempre nuovo il vangelo nel suo presente. È questo il fine per il quale essa è inviata» (Michael Seewald).

«Tracciando la storia della teoria sullo sviluppo dei dogmi, Seewald illustra sia la mutevolezza delle espressioni dogmatiche sia i diversi sforzi compiuti per comprenderle. La determinatezza del contenuto del dogma è qualcosa che continua a provocarci e indubbiamente richiede sempre nuove determinazioni, ma in definitiva corrisponde al fatto che il Dio di Gesù Cristo si è voluto determinare facendosi umano. E vale la pena rifletterci, proprio in un tempo stanco dei dogmi come quello che abitiamo» (Jan-Heiner Tück, Christ in der Gegenwart).

Descrizione

Indicando dei punti fermi, i dogmi hanno il compito di assicurare la trasmissione inalterata della fede nel corso del tempo. Ora, che rapporto esiste fra vangelo e dogma? Anzi, che cosa s’intende per “dogma”: una dottrina fissa, definita una volta per sempre? Oppure un insegnamento vivo, realmente aperto allo sviluppo?
Nella storia del cristianesimo forse mai quanto oggi si è discusso di cambiamento. Di rado, però, si riflette su ciò che significa esattamente in senso teologico “sviluppo” – e sviluppo del dogma, in particolare. Eppure la chiesa è stata fin dal principio una comunità dinamica che ha cercato di annunciare il vangelo, nel mutare dei tempi e delle culture, in modo comprensibile. Altrettanto ricca è la tradizione, spesso dimenticata, di teorie dello sviluppo in campo dogmatico. Vale la pena, allora, disseppellire questi approcci e dar loro criticamente nuova vita.
La chiesa in passato è stata assai più capace di cambiare di quanto molti non siano disposti a concedere. Perché non dovrebbe essere capace di farlo anche in futuro?

Recensioni

Lo sforzo compiuto da M. Seewald in quest'opera consiste in una storicizzazione del dogma. Egli ritiene che tale impresa sia necessaria per una teologia che intenda essere sempre più consapevole della necessaria appartenenza tanto del magistero ecclesiale quanto della tradizione cristiana ad un orizzonte culturale. La cornice dogmatica stabilita dal magistero rappresenta una tra le forme attraverso cui la fede cattolica si mostra. […]
G. Guglielmi, in Rassegna di Teologia 1/2023, 103-117

Tra le tante crisi che le indagini sociologiche evidenziano in fatto di religione e dei modi di vivere la fede della chiesa di matrice (non solo) cattolica va rilevata anche quella relativa ai dogmi tradizionali. Calano i praticanti, tuttavia non si smette di credere e scommettere sulla «propria» fede. Accanto alle(alla?) verità accettate con formulazione dottrinale di fede si costruiscono verità basate sull'autocrate ragione. Non si perde più tanto tempo a «discutere» i dogmi come un tempo. E nemmeno si tenta, all'estremo opposto, di eroderne la solidità. Non fanno più la differenza. Punto. Non bisogna concludere subito precipitosamente che questo sia un affare che riguarda la chiesa solamente. Probabilmente è anche quella che ne soffre di meno. È più probabile che rientri nell'alveo (ne sia un corollario non del tutto deleterio, peraltro) della più ampia crisi di «tutti» i dogmi che si trascina dietro la post-modernità. Hanno buon gioco qui i tanti esponenti di altre discipline, da quelli delle scienze dure ai filosofi e politici mainstream, ad afferire alle chiese (guarda caso in genere quella cattolica) ogni «dogmatismo» a distrazione da loro evidenti difficoltà. Perché è vero: nella nostra cultura (secolarizzata) il linguaggio dogmatico tradizionale della chiesa non sembra più essere immediatamente comprensibile, quando non si presta a malintesi, anche per molti cristiani. La storia e la formazione poi non aiuta molto: dogmi e verità che ci hanno trasmesso non abbiamo avuto modo di valutarle, di domandarci se come ce ne hanno parlato sono «consonanti» con quanto proviamo (è la chiesa tutta che di continuo "prova'') a vivere e celebrare, se ci appartengano ancora così come sono dette o se abbiamo anche il dovere di trovare quell'equilibrio dinamico e di continuità e discontinuità, come recita il sottotitolo di questo bellissimo testo.

Michael Seewald (giovane promettente teologo di Germania) ci offre un testo che dimostra con metodo, chiarezza e precisione che proprio la chiesa è il luogo geografico e l'ambio mentale dove meno sferza il dogmatismo (a parte l'attitudine di certi esponenti di riparare la loro debole fede dietro la crosta logica delle paratie lessicali (una febbre che colpisce più il cuore che il cervello). Sembra un testo un po' fuori dalle preoccupazioni teologiche (e pontifìcie) odierne, che sono più pastorali. Ma non è così. Il dogma in divenire aiuta il lettore a comprendere il senso teologico del suo necessario sempre inderogabile (direi quasi obbligatorio) «sviluppo». Purtroppo ieri come oggi il magistero di papa Francesco ne sta facendo le spese – la retorica batte la logica e la certezza va a farsi benedire.

No. Va dato atto all'autore di aver saputo intercettare questa questione e di darci la possibilità di venirne fuori. Dobbiamo rimettere in marcia il processo di tradizione delle verità della nostra fede. Non è qui il caso di tematizzare criteriologie sullo sviluppo dei dogmi (cf. Newman), l'integrità dell'asset cristologico, ecc. Si vuol solo dire che un'intelligenza più profonda dei misteri della fede è necessaria a maggior ragione oggi alle prese come siamo con la confusione delle opinioni (basti solo navigare tra bloggers babelici pro o contro ogni vox ecclesiastica, sindromi ipercattolicemiche o parossismi laicisti), con stravaganti evangelizzazioni catodiche e, soprattutto, nello scarso appeal delle varie teologie.

Non si tratta tanto di stabilire ciò che è e ciò che non è. Ma di riuscire a dirlo oggi nella diversità delle situazioni umane, dei mondi culturali, delle Weltanschauungen. Ma dobbiamo prima di tutto (e con urgenza) capire bene per evitare di far spiaggiare la teologia nelle secche aride delle polemiche che s'innescano in gran parte per difetto o eccesso di approssimazione. Qui sta il valore di questo testo. Otto capitoli ben orchestrati tra un'importante introduzione (pp. 7-15} e un breve epilogo (pp. 247-248). Due capitoli di precisazioni concettuali (pp. 16-59) e bibliche (pp. 60-87) scritte benissimo. Quattro capitoli che illustrano lo sviluppo storico della questione (pp. 88-226): una fatica che porterà al lettore guadagni preziosi in termini di convincimento e di approfondimento. L’ottavo e ultimo capitolo (pp. 227-246) riservato alla ripresa e alle prospettive è certamente il migliore. Si legge con godimento.


D. Passarin, in CredereOggi 2/2022, 181-183

Il Dogma nel suo divenire è preso in esame da Michael Seewald, teologo e presbitero cattolico della diocesi Rottenburg-Stuttgart (Germania). Sono al centro del suo interesse: lo sviluppo del pensiero religioso, le domande fondamentali della teologia dogmatica, gli aspetti fondativi della fede, interrogativi che lo hanno portato e rintracciare nella storia della chiesa e della teologia il filo rosso che lega gli snodi dello sviluppo dogmatico; nei tempi attuali egli ritiene sia sempre più evidente l’urgenza di doversene occupare (p. 249).

Seewald si pone sulla scia dei già noti testi scritti da voci autorevoli, Z. Alszeghy e M. Flick, M Blondel, B. Sesboüé pubblicati già in collane della stessa Editrice Queriniana, rispettivamente: Lo sviluppo del dogma cattolico GdT 10, Storia e dogma GdT 214, Introduzione alla teologia. Storia e intelligenza del dogma Introduzioni e trattati 48.

La sua opera si presenta quanto mai singolare nello stile. Il Dogma in divenire, infatti, è ordinatamente disposto in otto capitoli, dei quali il primo e l’ultimo ne costituiscono l’introduzione e, infine, la conclusione. Peculiare della redazione del testo è lo stile disteso ed immediato con il quale l’autore porge dei contenuti densi, determinanti per la teologia, con chiarezza e concisa incisività. Sembra infatti scegliere la via dell’immediatezza della forma linguistica, senza però abbandonare la puntualità del dettato accademico, sia nei riferimenti, che nella scrittura dei passaggi chiave.

Il testo coinvolgente, per noi racchiuso in 283 pagine, contiene una riflessione chiara sulla storia del pensiero teologico dai primi secoli fino all’età contemporanea, ma non sembra portare il peso del tempo. Si parte dalla domanda se sia il caso di collegare la necessità dei mutamenti ad una riflessione sul “fenomeno dello sviluppo dogmatico”; si cerca di “dare un contributo” nel contesto teologico e della storia dei dogmi (cf. p. 14-15), spazio nei quali possono avvenire dei mutamenti. La chiesa ha saputo legare continuità e discontinuità proprio nell’accogliere le differenti modalità con cui il Vangelo è entrato nella storia e nelle differenti culture che lo hanno accolto.

Dopo aver individuato il significato della parola “dogma” ed aver seguito i tentativi di definizione e gli altrettanto iniziali approcci di lettura del suo sviluppo, il testo delinea alcuni profili che hanno caratterizzato la teologia del XIX secolo. Si apre nel terzo capitolo un significativo ambito di riflessione sulla Bibbia e sulla necessità di una “arte della ricerca” in cui porre in relazione le idee contenute nella Bibbia, in modo che esse possano riferire lo sviluppo sotteso o implicito, che hanno definito il dogma, senza però strumentalizzarne il senso (p. 80). La teologia biblica e quella dei Padri sono quindi poste come lente attraverso la quale vedere il contenuto della fede Trinitaria; emerge chiaramente una pneumatologia che riaggancia il tempo degli eventi della vita storica di Cristo e quelli della comunità post-pasquale e della Chiesa dei primi secoli: “la comunità si considera posta sotto la guida dello Spirito Santo. La guida antieretica e la pedagogia divina rappresentano, tuttavia, due momenti che sottolineano punti di vista diversi della deduzione dello sviluppo dogmatico” (p.98).

Affronta il tempo della Controriforma, dopo aver trattato delle questioni medievali ed il progresso della conoscenza con la teologia della Scolastica, e brevemente asserisce che gli autori fedeli alla tradizione cattolica non fecero che sviluppare quanto, su questo tema, Tommaso d’Aquino aveva già affermato.

Interessante la sintesi teologica svolta dai capitoli sesto all’ottavo, in particolare per i nessi individuati nella teologia di J.S. Drey, del suo discepolo J.A. Möhler ed il confronto con la sintesi teologica di J.H. Newmann per il quale il cristianesimo è un fatto “che entra nella storia del mondo, si svolge in essa ed è inseparabile da essa” come realtà che dura nel tempo essa è “la medesima cosa dall’inizio alla fine” (p. 166). Sebbene si temano gli sviluppi erronei, alla chiesa è lasciato il compito di non irrigidirsi, ma di lasciarsi muovere dalle trasformazioni che essa sperimenta nella storia, così da manifestare il suo essere viva.

L’autore è critico verso le letture superficiali della storia della teologia. Così afferma in quella che chiama “fase calda” delle teorie dello sviluppo dogmatico che individua tra il XIX ed il XX secolo: “L’idea che la storiografia si limiti a rappresentare ciò che è stato e che la storia della teologia restituisca semplicemente ciò che è stato pensato in teologia, è ingenua. Infatti, ciò che si trova dipende infatti da ciò che si cerca. Un’esposizione interessata al problema dello sviluppo dei dogmi raccoglie materiale precisamente per questa domanda e lascia fuori altri aspetti. Ciò conduce a volte ad una prospettiva deformata” (p. 173).

Nei passaggi finali del libro, è stringente il riferimento offerto sulla teologia di J. Ratzinger, il quale propone una impostazione dinamica dello sviluppo del dogma; infatti, è a partire dal Dio che si rivela che “l’uomo può conoscere il mondo e se stesso. In questo, la Scrittura serve come norma della rivelazione, che si articola nel dogma, e per questa ragione secondo Ratzinger, al dogma spetta una funzione ermeneutica dell’esegesi della Bibbia” (p. 215); al contempo il dogma è ciò che sa leggere, in modo sempre nuovo, quello che è stato interpretato in passato.

Appare chiaramente che la lettura credente della teologia dogmatica che Seewald affronta, sia coerentemente svolta come una conoscenza della fede attuata per la forza dello Spirito di Dio, volendo che la teologia, intende presentare quanto sa, nella forma di un sapere che in dialogo con gli altri saperi si esprima come “scienza della fede” (p. 246). Per questo, come ogni discorso su Dio, tutte le teologie devono essere continuamente pensate; pertanto, non si può individuare una formula fissa che lasci cogliere lo sviluppo dogmatico, al contrario si tratta di una realtà dinamica, sempre nuova.

La chiesa cattolica secondo Seewald oscillerebbe in un movimento alternato tra un sano conservatorismo ed un altrettanto sano evoluzionismo, ciò le permetterebbe di rimanere sé stessa attraverso i millenni e di restare al contempo sempre giovane (p.248). Proprio gli accenti dei toni ed i giudizi chiari, sebbene mai azzardati che offre l’autore, rendono questo volume un contributo significativo per la storia della teologia.


A.M. Putti, in Gregorianum 4/2022, 922-923

Con il libro Il dogma in divenire Michael Seewald, il più giovane professore di teologia in Germania, che a soli 29 anni è diventato docente di dogmatica e di storia dei dogmi alla Westfälischen Wilhelms-Universität di Münster, vuole sollecitare la riflessione sul futuro del cristianesimo e della chiesa, tenendo conto della necessità del mutamento. Infatti, «il processo di tradizione, che cerca di portare il vangelo a un presente sempre nuovo, è precipitato oggi in una crisi senza precedenti, che muterà la forma sociale della chiesa non solo in Europa ma in tutto il mondo» e dove stia il confine tra lo scandalo del vangelo e quello che lo ostacola «non lo si può stabilire con un atto di autorità» (247). Per questo nel suo opusculum – come lo definisce egli stesso – si propone di accompagnare il lettore alla scoperta della tradizione del pensiero teologico sullo sviluppo dogmatico, lungi da “tabù del pensiero” e paraocchi. In esso è contenuto un tesoro di importanza vitale per la chiesa di oggi, che continua per lo più a sonnecchiare inutilizzato.

Se la situazione attuale della chiesa sembra segnata dalla precarietà più di quanto lo sia stata all’indomani del concilio Vaticano II, ci si può chiedere se il suo mutamento la stia portando alla morte oppure al suo ringiovanimento. La domanda sollecita la riflessione e, dando uno sguardo alla tradizione, si nota che sin dall’inizio la chiesa è stata una «comunità altamente dinamica» (247). Ne è un esempio la storia dello sviluppo dogmatico, che necessariamente deve essere raccontata assieme alla storia della fede in Gesù Cristo e dell’annuncio del vangelo all’uomo di ogni tempo e luogo.

Il problema dello sviluppo dogmatico è stato posto di recente «in modo esatto ed esplicito solo con il XIX secolo» (K. Rahner, cit. p. 79) a seguito della ripresa degli studi biblici e delle primitive confessioni di fede del cristianesimo. La questione di fondo si presenta con due aspetti da distinguere senza doverli separare: è «giustificata la pretesa di verità del cristianesimo che il dogma formula proposizionalmente»? il dogma è «un’espressione adeguata al vangelo»? (13). Si tratta di due questioni dinamiche che in passato hanno prodotto degli sviluppi e che in futuro potrebbero produrne di nuovi. Infatti, il mutamento va interpretato in relazione a quanto rimane sempre attuale. Per questo si deve ritenere che appartiene alla teoria dello sviluppo dei dogmi il compito di riflettere «sull’instabile simultaneità di continuità e discontinuità» (13). Di rado nella storia del cristianesimo si è riflettuto su tale relazione tra “cambiamento” e “continuità”, come invece è stato necessario fare in tre occasioni: la dogmatizzazione della dottrina dell’assunzione di Maria alla Gloria celeste (1950); l’indizione del concilio Vaticano II per un necessario “aggiornamento” teologico-pastorale dovuto ai capovolgimenti in atto; le affermazioni contenute nei nn. 300-305 di Amoris laetitia (2016), che hanno prodotto un tale sconcerto in alcuni porporati da indurli a presentare dei gravi dubia nei confronti del magistero di papa Francesco.

L’A. parte da queste considerazioni iniziali per dedicare i primi due capitoli alle Precisazioni concettuali: dogma e sviluppo (cap. II) e alla Bibbia come risultato e criterio di giudizio dello sviluppo dogmatico (cap. III). A tal proposito, nel XIX secolo, il teologo di Tubinga Johann Sebastian Drey ebbe il merito di chiarire il concetto di “sistema”, distinguendo storia dei dogmi e storia del sistema dogmatico. La teologia poté così iniziare a mettere in luce il “sistema”, cioè l’idea centrale, il nucleo che tiene insieme i singoli dogmi da poter pensare come scienza. Altrettanto importante fu la distinzione tra “canone della verità” e “canone della Scrittura”; il primo precede il secondo nel dare forma al Nuovo Testamento. Fu significativo anche il fatto di affidare alla comunità cristiana l’incarico di “custodire” quanto ricevuto (1 Tm 1,11; 6,20) a condizione di mettersi alla scuola dello Spirito, maestro di tutta la verità, in continuità con Gesù. Perciò, ripercorrendo storicamente la formazione del canone e la dialettica tra tradizione orale e Scrittura ritenute valide per la vita di fede (regola della fede), si avverte come non ci sia stata “univocità” nella determinazione della dottrina della fede. Lo stesso modello per la confessione della fede, centrato sulla morte e risurrezione di Cristo, venne ampliato in avanti (sviluppo della dimensione escatologica) e all’indietro (sviluppo della cristologia della preesistenza). Seewald nota perciò che «le teorie dello sviluppo dogmatico nascono per lo più a partire dalla necessità […] di connettere reciprocamente in modo riflesso la discontinuità fattuale con la continuità normativa» (87).

Egli, poi, nei capitoli successivi (IV e V) porta l’attenzione sul processo dello sviluppo dottrinale, sulle sue possibilità e limiti, forme e leggi. […]

Ma il periodo più suggestivo e interessante per un ricercatore della storia dei dogmi è senza dubbio il XIX secolo e l’inizio del XX secolo, definito dall’A. «la fase calda delle teorie» (149). Egli ricorda che con la cosiddetta “scuola di Tubinga” prese avvio un nuovo modo di argomentare intorno alla crescita dei dogmi; vennero prese le distanze dalla scolastica, volgendo l’interesse per la temporalità e la dimensione storica dell’evento della Rivelazione. Come punto vitale del cristianesimo venne ritenuto «Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e che nel proprio Spirito vivifica la chiesa» (155). I dogmi cominciarono così a essere pensati come un «sistema, costituito da Dio e mantenuto insieme dal suo Spirito» (156).

Su questa linea di pensiero tracciata da J.S. Drey, secondo il quale «non occorre aver timore della crescita dei dogmi cristiani» (151), si collocarono alcuni grandi teologi, come J.A. Möhler e J.H. Newman. Questi però rimasero periferici rispetto a ciò che accadeva nella teologia cattolica del loro tempo. Infatti, la cosiddetta “scuola romana” (J.B. Franzelin, G. Perrone, C. Passaglia e Cl. Schrader), secondo la quale non vi può essere una “crescita obiettiva” del deposito della fede, ricollocò al centro dello sviluppo dei dogmi la dottrina della tradizione, sebbene con sfumature interpretative diverse (M.J. Scheeben, R. Shultes e F. Marín-Sola).

Prima di giungere alla rielaborazione del Vaticano II, le teorie dello sviluppo dei dogmi passarono attraverso la crisi modernista, a cui seguì l’antimodernismo papale, che pose sotto silenzio l’idea di evoluzione dei dogmi. La ripresa avvenne per merito soprattutto di H. de Lubac (i dogmi sono grandezze storiche) e di K. Rahner (un vero evento storico sotto l’impulso dello Spirito), ai quali fecero seguito i contributi di J. Ratzinger (occorre collegare continuità e mutamento) e di W. Kasper («dogma come servizio d’amore per la comune confessione di fede», 220), che diedero una impostazione altamente dinamica allo sviluppo dei dogmi.

Giunto al termine del suo opusculum l’A. conclude dicendo che la tradizione di pensiero teologico «contiene un tesoro di teorie dello sviluppo dogmatico che attualmente continua per lo più a sonnecchiare inutilizzato» (227). In un’epoca come la nostra, in cui si avvertono forti pressioni per il cambiamento, si dovrebbero ricavare da questo tesoro “cose antiche e cose nuove”. Nessuna delle teorie del dogma esaminate è necessaria e possibile, ma dallo sviluppo dei dogmi si possono trarre tipologie e modelli che aiutano a guardare avanti, poiché «i dogmi della chiesa non sono fini a se stessi, bensì hanno una funzione di servizio» (236). Dal momento poi che esiste un’instabile simultaneità di continuità e discontinuità che interessa sia la chiesa sia la dottrina, sia il presente sia il futuro del cristianesimo, c’è motivo per sperare che il vangelo continui a ispirare la vita dell’uomo in tutti i labirinti della storia.

Seewald offre un contributo prezioso e utile perché la fede del tempo presente continui a essere affascinante, senza pagare il prezzo della nostra contemporaneità. Anzi, come sostiene l’A., essa «ha la possibilità di realizzarsi soltanto se la fede porta in sé anche il marchio del presente» (9). Spetta alla chiesa annunciare il vangelo in termini attuali come lieta notizia, proteggendolo dalla musealizzazione.


G. Zambon, in Studia Patavina 1/2022, 151-155

Il libro offre una riflessione accurata su uno dei punti più delicati e controversi della teologia di tutti i tempi, ritornato di attualità per le necessità emerse dalla nuova evangelizzazione. Michael Seewald, docente di teologia dogmatica all’Università di Münster, sviluppa un percorso in tre momenti successivi: prima illustra il significato dei concetti di dogma e di sviluppo (cap. 2); poi ripercorre l’intera storia della teologia cercando i contributi più significativi sulla problematica (capp. 3-7); infine presenta una sistemazione in 11 modelli teorici di sviluppo dei dogmi (cap. 8). L’ultima parte è quella più interessante, perché offre un buon contributo, fondato storicamente e dottrinalmente, al discernimento ecclesiale tra il custodire la rivelazione ricevuta e il presentarla in maniera adeguata alle nuove generazioni.

Per definire i concetti di dogma e di sviluppo l’autore parte dal fatto che il cristianesimo nasce da una rivelazione collocata in uno spazio e un tempo definiti, ma che ha un valore universale e permanente per la salvezza dell’umanità. Pertanto, egli ritiene che il compito primario della Chiesa, sotto l’azione dello Spirito di Dio, sia quello di «proteggere il Vangelo dalla musealizzazione e annunciarlo continuamente in termini attuali come lieta notizia» (p. 10). In questa prospettiva, il «dogma», inteso come dottrina di fede espressa in forma proposizionale e in modo vincolante per il credente, appare come un mezzo necessario per il raggiungimento del fine, che è l’esposizione del Vangelo in forma comprensibile per il destinatario.

Oltre che alla forma del dogma, l’autore presta attenzione anche al contenuto, in quanto la realtà della storia e la diversità delle culture hanno fatto emergere il problema dello sviluppo della dottrina e della sua continuità. Secondo lui, «se una dottrina di fede si sviluppa, si produce in essa un’innovazione che appare esternamente come una discontinuità, ma che avanza la pretesa di garantire la continuità in una misura maggiore» (p. 43).

Il concetto di «sviluppo» ha avuto culturalmente diversi significati. L’autore mette in luce come in teologia ogni sviluppo dottrinale trovi il suo criterio di giudizio nella parola di Dio, custodita e interpretata dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero. Infatti, la seconda parte del libro è dedicata all’analisi del discernimento di continuità e sviluppo della dottrina nelle diverse epoche storiche, a partire dall’insegnamento di Gesù sul Paraclito, il quale ricorda ogni cosa e conduce alla verità intera (cfr Gv 14,26; 16,13), e dell’insegnamento di Paolo a Timoteo sulla custodia del deposito ricevuto (cfr 1 Tm 6,20).

Tra i diversi autori che vengono presentati, troviamo, ad esempio, in ambito antico, Vincenzo di Lérins, con i criteri del «dovunque, sempre e da tutti», che ebbero notevole influsso nella storia della teologia; Agostino di Ippona, con la distinzione tra «segni e cose», in cui le parole e i segni possono cambiare, ma la fede deve rimanere sempre la stessa; e Tommaso d’Aquino, con la distinzione tra «sostanza e spiegazione» della fede e il dispiegamento di ciò che è implicito. Per l’epoca moderna, viene ricordata la scuola di Tubinga, con i contributi di J. S. Drey e J. A. Möhler, in cui la Chiesa appare come una realtà vitale che deve essere sempre custodita; la figura di J. H. Newman, per il quale la vita umana è un continuo mutamento; e la Nuova filosofia scolastica, con la distinzione di J. B. Franzelin tra «oggetto e forma» delle verità rivelate. Per l’epoca contemporanea, vengono presentati i contributi di K. Rahner, J. Ratzinger e W. Kasper, fino all’ampliamento del concetto di dogma nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) del 1992, in cui si parla di verità «necessariamente collegate» (CCC 88) alle verità della rivelazione.

Il lungo e accurato percorso storico ha permesso all’autore di sistemare i diversi contributi trovati in 11 modelli di sviluppo dei dogmi: modelli che organizzano contesti complessi alla luce di un unico principio ideale e guidano la comprensione dei cambiamenti reali. Essendo però il dogma una confessione vincolante della fede della Chiesa, il suo sviluppo non può fare a meno dell’autorità della Chiesa, la quale sola può riconoscere la continuità necessaria all’interno dei possibili cambiamenti.


L.M. Gilardi, in La Civiltà Cattolica 4118 (15 gennaio 2022), 201-203

Che cosa è il dogma? Cosa significa affermare il suo «sviluppo»? L’a., il più giovane professore di Teologia della Germania, si sofferma con la sua robusta riflessione a disseppellire i vari approcci che hanno costellato la ricca tradizione di teorie dello sviluppo in campo dogmatico i quali, nel corso della storia, spesso sono stati consegnati all’oblio. Ne emerge una Chiesa che nel suo passato ha dimostrato di essere in grado di mutare più di quanto molti oggi siano disposti a concedere. Un’indagine che merita di essere letta per contrastare la corrosiva stanchezza dei nostri tempi.


D. Segna, in Il Regno Attualità 20/2021, 643

Il denso testo di Michael Seewald affronta il tema delicatissimo della dogmatica cattolica. L’autore ha un approccio soprattutto storico, analizza infatti il concetto e la pratica teologica del dogma nella sua formazione e poi nello sviluppo, fino alle ultime riflessioni su di esso elaborate da Joseph Ratzinger, non ancora divenuto papa, e da Walter Kasper. Lo studio è diretto a cogliere l’equilibrio esistente tra una concezione puramente statica del dogma, che non prevede alcun adeguamento alle trasformazioni che l’umanità subisce di continuo, e una concezione dinamica che rischia invece di staccarsi dalla tradizione e fondarsi sulla cultura dominante più che sulle scritture e sull’insegnamento apostolico. Molto interessanti risultano la posizione molto elastica elaborata da Ratzinger, e fondata sulla componente soggettiva-ricevente e mutevole della rivelazione, e l’interpretazione offerta da Kasper che individua il dogma come servizio d’amore all’interno della “carità ecclesiale”.


S. Valzania, in Radio InBlu. La Biblioteca di Gerusalemme 21 novembre 2020