Fra ebraismo e cristianesimo c’è una convergenza di fondo che, non negando la loro diversità e divergenza su alcuni punti, esprime la loro «ineliminabile coappartenenza». Il decorso storico che ha portato, sin dagli albori del cristianesimo, a uno scontro e una separazione è giunto a un tornante propizio che trova le due religioni poste in condizioni che permettono un reciproco incontro e apprezzamento delle radici e delle ramificazioni comuni. In modo particolare, questo tempo ci permette come cristiani di sostare dinanzi al consistente apporto che l’ebraismo ha donato al cristianesimo.
A questo apporto e a quest’eredità comune si dedica il testo di Mons. Bruno Forte, La santa radice. Fede cristiana ed ebraismo, edito dalla Queriniana per la collana «Giornale di teologia» (n. 400). Un manifesto di ossequio all’ebraismo frutto di un «amore cresciuto – scrive l’autore – con lo sviluppo della mia consapevolezza di discepolo dell’ebreo Gesù, in cui riconosco compiutasi l’attesa messianica e al tempo stesso inauguratosi il “frattempo” che sta fra la prima e la seconda venuta del Figlio dell’uomo».
Il testo declina otto istanze fondamentali che partono dall’impatto di entrambe le religioni con l’alterità di Dio con cui la relazione religiosa presente si vive nel respiro della memoria (passato) e dell’attesa (futuro) fino a toccare la provocazione del giudeo-cristianesimo alla società moderna, «“società senza padri”. Dove non ci sono rapporti verticali, ritenuti sempre di dipendenza, ma solo orizzontali, di parità e reciprocità».
Dio e il silenzio
Il Dio giudeo-cristiano è un Dio che viene verso l’uomo con la parola-evento (dabhar), ma questa parola non nega il silenzio, anzi, lo presuppone e lo custodisce. Il silenzio di Dio è presupposto dell’accoglienza libera della sua parola. Scrive André Neher riguardo al Dio che si vela rivelandosi: «Dio si è ritirato nel silenzio, non per evitare l’uomo, ma, al contrario, per incontrarlo; è tuttavia un incontro del Silenzio con il silenzio. Due esseri di cui l’uno tentava di sfuggire all’altro sulla scena luminosa del Faccia a Faccia, si ritrovano nel rovescio silenzioso dei Volti nascosti… Cessando di essere un rifugio, il silenzio diventa il luogo della suprema aggressione. La libertà invita Dio e l’uomo all’appuntamento ineluttabile… dell’universo opaco del silenzio».
Il Dio onnipotente si offre nelle sembianze dell’opposto, nella debolezza e nel nascondimento. Le motivazioni di questa radicale absconditus Dei sub contrario sono quelle della teologia negativa perché la negazione veicola il divino meno adeguatamente. Rivelazione e nascondimento di Dio non si contraddicono, ma raffinano il dire Dio che è absconditus in revelatione – revelatus in absconditate. Dinanzi a questo stile della rivelazione l’ascolto è possibile solo nell’obbedienza (ob-audio = hyp-akoê) della fede.
Il nascondimento della Parola apre alla ricerca del Dio straniero e quando l’uomo si fa domanda si pone nella prospettiva giusta delle risposte. «Il mio nome è una domanda – scrive Jabès – e la mia libertà è nella mia propensione alla domanda». La domanda nasce dal dolore, dall’incompiutezza, dal desiderio, dall’essere gettati verso la morte. Ma là dove è domanda, lì germoglia la sapienza. L’esperienza dell’interruzione apre all’interrogazione. Dove è precarietà, lì nasce la preghiera (preghiera da precor, precarius).
L’idea della fede e le ideologie
Un altro interessante filone di pensiero è tracciato nel capitolo quarto che riflette sulle radici ebraico cristiane dell’Europa, con un sottotitolo già per sé programmatico: il futuro dalla memoria.
L’A. parte dal titolo del saggio scritto nell’autunno del 1799 da Georg Friedrich von Hardenberg, Die Christenheit oder Europa (La cristianità ovvero l’Europa). Il pensatore poeta, noto meglio come Novalis, delineava una prospettiva messianico-spiritualista per superare le crisi prodotte dai vari eventi del momento, tra cui la rivoluzione francese. Questa riflessione di Novalis non puntava a un ritorno nostalgico irrealizzabile, ma a una specie di ressourcement, a un ritorno creativo.
Secondo Forte, il caso rappresentato da La cristianità ovvero l’Europa risulta emblematico in un tempo come il nostro, caratterizzato da una crisi di proporzioni non dissimili da quella che ha fatto seguito alla rivoluzione francese, come il crollo del muro di Berlino che ha segnato la fine delle ideologie che avevano dominato il sistema dei due blocchi contrapposti e che ha mostrato che l’Europa recente è stata frutto di modelli ideologici incapaci di sostenere le proprie promesse. Da qui, l’A. mette in evidenza il rischio di proporre per il futuro dell’Europa nuovi modelli ideologici, compreso quello di eventuali radici da ritrovare.
In un paragrafo evocativo, l’A. esprime il potenziale pro-vocativo della proposta giudeo-cristiana: «L’eredità ebraico-cristiana, se vorrà servire al superamento delle difficoltà attuale della coscienza europea, non potrà essere pensata in termini di ideologia rassicurante, di ritorno al passato. La vera posta in gioco è capire se e in che misura il “Grande Codice” che è la Bibbia (Frye Northrop) possa ispirare oggi una prassi sociale e politica, che soddisfino il bisogno diffuso di nuovo consenso etico. Le radici ebraico-cristiane dell’Europa non vanno cercate insomma nella riproposizione di assetti ormai superati, ma nella visione biblica del Dio personale, della storia orientata al compimento della sua promessa è del protagonismo decisivo della persona, rivelato nelle sue potenzialità e nel suo destino dalla vicenda del Figlio eterno ho fatto uomo per noi. Più che stare alle nostre spalle, il potenziale delle radici ebraico cristiane dell’Europa provoca come qualcosa che sta davanti a noi e chiede passi di libertà audace e scelte di intelligenza creativa».
La sfida giudeo-cristiana vince la tentazione di una canonizzazione della storia senza cadere in una soteriologia della fuga. La salvezza è una salvezza della storia, non dalla storia. «L’“oggi” dell’uomo è assunto e redento dall’“oggi” del Figlio dell’uomo e può divenire, nell’accoglienza di lui, l’“oggi” di Dio». Questa scelta di una via media si contrappone alle ideologie del progresso entrate in crisi perché sono totalità chiuse che hanno voluto imporsi come ultime, mentre erano semplicemente penultime.
Il progresso nella visione giudeo-cristiana non è il semplice progresso lineare verso un futuro intramondano. Sebbene entrambe le religioni abbiano a cuore la storia nel suo passato, presente e futuro, esse non cadono nel circolo vizioso dell’escatologia intramondana, ma si aprono alla sorpresa del Deus adveniens.
R. Cheaib, in
Theologhia.com 5/2017