La problematica relativa ai rapporti interpersonali all'interno di modelli culturali, pratiche sociali e ordinamenti giuridico-istituzionali, caratterizzati da una situazione di conflittualità e di richiesta di coesistenza plurale tra gli umani, chiama in causa la ridefinizione della teorica dell'intersoggettività quale indicazione di senso effettivo per la costruzione dell'identità personale e della convivenza tra gli umani nel rispetto e nel riconoscimento reciproco.
Il tema del riconoscimento è stato da più parti affrontato come forma regolativa dell'esistenza plurale degli esseri umani. La pluralità non egemonica è possibile se gli individui si onorano reciprocamente e cioè reciprocamente si riconoscono di essere servi e signori dell'altro, in ciascuna delle infinite parti delle loro esistenze. L’argomento è diventato di particolare interesse a seguito delle rivendicazioni, specialmente da parte di gruppi minoritari, di diritti collettivi e di parità di trattamento. Il riconoscimento è stato definito un vero e proprio bisogno umano vitale per lo stretto legame esistente tra esso e l'identità personale. Quest'ultima, intesa come la visione che un soggetto ha di sé, viene in parte plasmata dal riconoscimento dell'altro/altri che lo circondano, i quali gli rimandano un'immagine della sua identità personale contribuendo a definire e connotare la formazione della sua personalità. Un errato o mancato riconoscimento significa proiettare su di lui un'immagine che lo limita, lo sminuiste, lo misconosce.
Al di là dei casi concreti, la relazione di riconoscimento sembra essere quel codice unitario, su cui innestare la convivenza pacifica di identità plurali, poiché costituisce un'esigenza innegabile e avvertita da tutti. L’autore, il teologo tedesco Christoph Böttigheimer, docente di teologia fondamentale presso l'università cattolica di Eischstatt-Ingolstadt in Baviera, parte dalla presa di coscienza che il bisogno di riconoscimento è un costitutivo antropologico fondamentale attraverso il quale l'essere umano è in grado di formare la propria identità e personalità, e rileva, anche, che l'idea di riconoscimento assume un ruolo fondamentale all'interno della storia della salvezza, in quanto la fede in Dio Padre, che riconosce gratuitamente gli esseri umani come figli, conferisce loro la forza di praticare e realizzare il riconoscimento incondizionato dell'altro da sé. Il volume che presentiamo, utilizzando un metodo interdisciplinare, delinea «un'antropologia cristiana nel cui focus c'è l'idea del riconoscimento», con lo scopo di chiarire «l'aspetto specifico della fede cristiana in ordine alla persona e alla personalità dell'umano», dal momento che «la fede non si comprende come un accidente umano, ma come un'opzione fondamentale che riguarda tutta la persona», per cui «tale opzione fonda la dignità dell'umano e assicura riuscita alla sua vita, che è sempre orientata al perfezionamento» (p. 6).
Nell'articolare le due traiettorie riflessive della tradizione filosofica, l’una scandita dalle categorie antropologiche fondamentali incentrate attorno al tema della persona come realtà relazionale, dato che «l'uomo non può diventare persona senza il suo rapporto con altri», per cui «questo significa che l'essere umano non può vivere senza riconoscimento» {p. 37), e l'altra propria della tradizione teologica all'interno della quale la relazione interpersonale si apre verticalmente a Dio del quale l'essere umano è «immagine» la cui realizzazione piena si ha nell'evento-persona Gesù Cristo, Christoph Böttigheimer struttura l'opera in tre parti, ognuna delle quali si sviluppa in due capitoli.
La prima parte (pp. 9-102), intitolata Formazione della personalità, presenta un'ampia panoramica sul patrimonio culturale, filosofico e teologico concentrato sul tema dell'essere umano come persona, soggetto di «relazioni in relazione», che, proprio per il suo utilizzo in teologia trinitaria, assume la connotazione di un essere-in-relazione, che chiama in causa la realtà sociale, le relazioni e il riconoscimento che può avvenire solo in un rapporto reciproco e libero. Facendo riferimento ai classici della modernità e della riflessione filosofica e teologica contemporanea, l'autore cerca di integrare la riflessione filosofica sul tema del riconoscimento all'interno di quella teologica. Pur riconoscendo la distinzione tra il concetto filosofico di persona e quello psicologico di personalità, Böttigheimer sostiene che un chiaro concetto relazionale della persona, oltre a dare un significativo orizzonte comprensivo per lo sviluppo e la formazione della personalità, contribuisce a cogliere la rilevanza non solo concettuale della categoria del riconoscimento per la comprensione delle identità personali e dei rapporti tra gli umani; dal momento che è attraverso le relazioni e fe interizioni tra le persone che avviene la formazione delle personalità.
In questo senso, nella seconda parte (pp. 103-188), intitolata Prospettive di salvezza, risulta praticabile assumere la categoria del riconoscimento come un'ermeneutica del messaggio di salvezza del cristianesimo, in quanto esso può identificarsi come il luogo centrale sia nella relazione tra Dio e uomo, nella quale la fede in un Dio che riconosce l'uomo è alla base di un ethos di reciproco riconoscimento tra le persone, sia della relazione tra gli uomini, chiama a concretare rapporti sociali e comunitari di mutuo riconoscimento. Da questo punto di vista, Böttigheimer, nel far emergere che «la fede cristiana promette all'uomo un illimitato e incondizionato essere riconosciuto e un essere approvato da parte di Dio che precede di principio il divenire persona e ne è il fondamento» (p, 106), mostra che l'essere umano è collaboratore di Dio nella formazione della propria personalità, in ragione del fatto che l'esperienza della salvezza «è vincolata alla liberta della persona umana e si realizza nella formazione della propria personalità nelle relazioni con gli altri esseri umani», perché «lì dove l'uomo, con libertà e in amore, si apre all'altro, si può verificare la salvezza» (p.158).
Alla luce di queste considerazioni, nella terza parte (pp. 189-260), intitolata Prospettive di redenzione, l'autore cerca di verificare se la prospettiva della redenzione possa essere declinata mediante la categoria del riconoscimento. Chiedendosi, infatti, se oggi «i concetti di espiazione e sacrificio possano ancora sviluppare il loro potenziale salvifico e liberante» (p. 233), o se ci siano categorie salvifiche più adatte a chiarire l’aspetto salvifico della morte di Gesù, Böttigheimer propone il «riconoscimento come alternativa», mostrando come tale categoria non sia estranea al concetto biblico di peccato, il quale «è più che una mera opposizione alla norma», perché nel rappresentare «il definitivo rifiuto del diritto di Dio, un no all'attenzione e al riconoscimento di Dio» (p. 203), il discorso sul peccato e sulla redenzione nella prospettiva biblica è sempre conseguente all'annuncio della salvezza. Affermando che Gesù ha manifestato l'incondizionato riconoscimento dell'essere umano da parte di Dio, l'autore critica le idee di sacrificio, espiazione e di sostituzione vicaria, optando per altre prospettive comprensive in grado di mettere maggiormente in evidenza l'agire di Dio, gratuito, amorevole e perdonante. Gli spunti riflessivi offerti dall'opera di Christoph Böttigheimer sono molteplici e meriterebbero una migliore formalizzazione riflessiva, specialmente nella terza parte, cheaffronta in maniera non omogenea le questioni e i nodi che richiederebbero di essere sciolti prestando particolare attenzione al tema del sacrificio, anche nella sua evoluzione storico-concettuale, per essere meglio ridefinita dal punto di vista antropo-teologico, utilizzando come strumentario euristico proprio la categoria del riconoscimento che, in fondo, è pur sempre una categoria relazionale, come lo è, del resto tutta l'esperienza credente, teologale e teologica.
C. Caltagirone, in
CredereOggi 3/2022, 168-171