«Nella domenica di Pasqua vorremmo evocare un particolare anniversario: cinquant’anni fa, nel 1964, veniva pubblicata per la prima volta l’opera di un teologo evangelico tedesco, Jürgen Moltmann, 88 anni, emerito della prestigiosa università di Tubinga, uno dei teologi più letti del nostro tempo. Quel saggio s’intitolava Teologia della speranza e il sottotitolo specificava Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologia cristiana. […] Moltmann, esaltando il primato della speranza cristiana, proiettava lo sguardo del cristiano oltre l’orizzonte del concreto nel quale sono impantanati i nostri piedi: “Nella vita cristiana, la priorità appartiene alla fede, ma il primato alla speranza”. Tra parentesi ricordiamo che l’opera fu tradotta nel 1970 in italiano e vinse subito il Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba. Era evidente che il teologo tedesco dialogava con il suo connazionale filosofo marxista Ernst Bloch che pochi anni prima (1954-1959) aveva elaborato i tre tomi del suo Principio speranza. Ora, quella dell’Israele biblico – a cui peraltro, Bloch apparteneva almeno per matrice etnico-culturale – è agli occhi di Moltmann una religione della promessa, dell’attesa, non della presenza definitiva divina, tant’è vero che l’anima di quella fede è il messianismo, visto come meta futura. Il vangelo non è tanto il pieno adempimento di quelle promesse, quanto piuttosto la loro convalida che Cristo suggella efficacemente protendendoci però verso un ulteriore necessario compimento, l’escatologia appunto. Alla domanda della Critica della ragion pura di Kant, “Che cosa posso sperare?”, la risposta cristiana è nell’evento storico della risurrezione di Cristo: essa fa intuire in modo esplicito quale sarà il futuro definitivo dell’umanità, che non sarà una dissoluzione nel nulla ma una nuova vita, una risurrezione. In sintesi potremmo dire che la cosiddetta “cristologia escatologica” di Moltmann proclama questo asserto: nella risurrezione di Cristo sono gettate le basi del futuro dell’umanità. Ma per impedire che la speranza evapori in utopia o in un vago ideale, è necessario radicarsi alla realtà storica della morte e risurrezione di Gesù, Figlio di Dio».
G. Ravasi, in
Il Sole 24 Ore del 20 aprile 2014